In questo periodo in cui non è possibile incontrarsi di persona, abbiamo pensato di promuovere alcuni incontri informali a distanza con amici e amiche su alcuni temi che appaiono urgenti con riferimento all’attuale situazione di emergenza da covid 19 e al futuro che ci attende.
Nel primo incontro, per il quale era stata mandata una traccia di discussione, al centro è stato il tema del lavoro, in particolare il lavoro che si è adattato al forzato isolamento (lavoro a distanza e smart working) e il lavoro che improvvisamente si è interrotto per una larga parte della popolazione attiva, con conseguenze durissime per chi ha attività autonome o lavoro precario.
Qualificata e numericamente molto buona è stata la partecipazione (circa 25 persone, tenendo conto che l’invito è stato mandato a un numero non molto ampio, per ovvie ragioni di gestione dell’incontro), nonostante qualche inevitabile difficoltà tecnica che non manca mai in esperimenti di questo genere.
Non abbiamo la pretesa di riassumere tutti gli interventi e anzi ci scusiamo con i partecipanti se in questa sintesi non tutti si ritroveranno. Proviamo piuttosto a enucleare alcuni nodi che possono rappresentare altrettante questioni su cui continuare a ragionare e magari formulare qualche proposta attuabile.
Un primo aspetto riguarda le possibilità che le tecnologie a distanza offrono per rimodulare l’orario di lavoro per chi svolge un tipo di attività, soprattutto dipendente, che non richiede obbligatoriamente la presenza fisica. L’esperienza forzata di questi giorni dimostra che tali possibilità possono essere meglio sfruttate, consentendo di ridurre gli spostamenti (meno tempo perso, meno inquinamento, meno pericoli), e una maggiore flessibilità e tempo per una presenza in famiglia. La presenza fisica “in sede” ci sarebbe comunque, ma più limitata, in certi casi anche sensibilmente. Ma, è stato detto, il lavoro a distanza presuppone anche modifiche organizzative e gestionali a monte: lo smart working infatti si svolge per obiettivi, più che sulla “routine” del normale lavoro d’ufficio. Di contro, c’è il rischio di una parcellizzazione del rapporto di lavoro e della mancanza di crescita professionale, cioè quello di diventare sempre più lavoratori/lavoratrici “consulenti” più che essere parte di una “squadra” che partecipa attivamente alla vita dell’azienda/cooperativa/pubblica amministrazione ed evolve con essa. Questo aspetto del lavoro progettuale di équipe in realtà è molto interessante da porre ma anche da sottolineare nella sua preziosità possibile anche a distanza, anzi ancora di più perché le collaborazioni possono allargarsi a dismisura. Quindi i mezzi digitali potranno introdurre nelle attività lavorative di ogni tipo una maggiore attenzione alla collaborazione e cooperazione piuttosto che una individualizzazione del lavoro. Ma bisognerà avere attenzione a questo fattore che non è scontato per una dirigenza o programmazione superficiale o tradizionale.
Riguardo alla scuola, è stato sottolineato che la presenza fisica è dimensione irrinunciabile del rapporto insegnanti-alunni/e ma anche che in alcune circostanze il collegamento a distanza potrebbe avere i suoi pregi. Tutto ciò, tenendo conto che accanto alla relazione “uno-tanti” si afferma sempre più, in tutti gli ambiti, quella “uno-a-uno”, più personale e diretta. Si è parlato dei “corpi” reali e della loro necessità all’interno della relazione educativa, soprattutto dei più piccoli e più fragili.
Un altro, enorme, ambito di riflessione che si è aperto, partendo proprio dalla grave crisi che intere categorie di persone stanno vivendo, è quello relativo a una possibile e necessaria “nuova economia”, che porti a un superamento delle immense disuguaglianze e a un diverso modo di produrre, sostenibile e giusto, e a una politica che persegua la redistribuzione fra tutti delle risorse, in particolare in questa fase storica in cui molte persone potrebbero trovarsi in situazione di grave disagio se non di povertà.
Su questi temi negli ultimi anni e anche in questi giorni molti e ricchissimi sono i contributi di riflessione, segno di una vivacità di pensiero che speriamo si possa tradurre sempre più in scelte concrete. Una riflessione che, non condividendo lo slogan “tornare come prima” (che pure gode ancora di notevole credito tra gli ideologi dei “cicli” del capitalismo), è un po’ in bilico tra “nulla sarà come prima” e “nulla dovrà essere come prima”: dove la prima di queste due affermazioni può essere interpretata sia in maniera (eccessivamente?) ottimista (“il mondo capirà che questo modo di vivere, produrre, consumare ecc. non può più andare avanti”) oppure (eccessivamente?) pessimista (“ci saranno conseguenze pesanti che richiederanno scelte molto difficili); mentre la seconda affermazione presuppone una constatazione sui limiti dell’attuale modello di mercato e punta sulla necessità che la politica, le forze produttive e sociali e gli stessi cittadini sappiano costruire, sulla base di questa tragica emergenza che nessuno avrebbe voluto, un diverso sistema economico, più rispettoso dell’ambiente e più capace di rispondere alle necessità ineludibili delle persone. Quindi, nessun “automatismo”, ma una profonda revisione e una nuova capacità di costruzione di modelli innovativi ispirati a valori etici condivisi.
E’ emerso chiaramente il kairos presente che ci permette di ragionare meglio e con calma insieme, pur circondati da un immenso dolore, che tocca anche persone vicine e care: quando la tempesta finirà e tutto ripartirà avremo una nuova frenesia e nuove esigenze che forse non ci permetteranno di essere così lucidi? E’ un rischio. Quindi pensiamo utile procedere con questi momenti di confronto che potranno suscitare gruppi di lavoro per proposte politiche ed economiche nuove.
Il confronto continua!
Spunti di riflessione in vista dell’incontro sul lavoro sociale
“La Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2 della Costituzione).
In questo secondo incontro vorremmo riflettere sulla rilevanza delle attività e del lavoro sociali, del terzo settore e del volontariato.
In questo periodo è emerso in modo chiarissimo, ancora una volta, come una società si regge se ci sono reti di solidarietà che si attivano, in modo particolare (e fortunatamente), in emergenza ma che sempre, anche nella “normalità” (che poi soggettivamente, per chi è nel bisogno, non è purtroppo tale), rappresentano una risorsa fondamentale per il ben-essere della comunità e dei suoi componenti.
Per inciso, vediamo come anche chi “svolge il suo lavoro” nei settori in questo momento prioritari (a partire da quello sanitario, ma non solo) venga chiamato in queste settimane a “dare” molto di più rispetto al solo adempimento dei propri compiti: ciò rappresenta da un lato uno sforzo enorme e responsabilizzante (forse anche troppo, in certi casi) ma nello stesso tempo rivela, proprio grazie a questa “eccedenza”, il senso più profondo del proprio lavoro. Ma questo in realtà vale, spesso, anche per chi fa altri mestieri e attività.
Al di là di ciò, mentre ammiriamo i giovani e meno giovani che dedicano tempo ed energie agli altri in questi momenti difficili (resi ancora più difficili dai rischi di contagio), ci chiediamo se tutto questo non debba essere maggiormente riconosciuto come fattore fondamentale per la coesione sociale e il benessere delle persone e se non vada in qualche modo ancora più rilanciato e promosso, non arriviamo a dire come “obbligo” ma almeno come impegno fortemente richiesto a ciascun cittadino/a, a seconda delle sue possibilità, anche in ossequio a quanto previsto dall’art. 2 della Costituzione, citato all’inizio.
Sappiamo che in Italia sono milioni le persone che svolgono attività di volontariato in tutti i campi, eppure si ha l’impressione che si possa fare ancora di più e meglio, anche con una spinta delle istituzioni, che non deve essere invadente ma promotrice e capace di fornire corrette cornici normative.
Tutto ciò – sia chiaro – senza che le istituzioni stesse vengano meno ai loro doveri, “delegando” ad altri compiti che sono loro propri, magari utilizzando le risorse per obiettivi non prioritari proprio grazie all’apporto del terzo settore in ambiti che invece lo sono.
Chiara Giaccardi in un recente articolo su Avvenire, sulla scia di tanti altri pensatori e pensatrici, evoca il passaggio dall’ homo sapiens all’ homo donans… Utopia?
C’è poi il grande tema delle persone addette alla cura – educatori/educatrici, operatori/operatrici socio sanitari/e, assistenti familiari (“badanti”), eccetera. In questi giorni tanti si sono “accorti”, ancora più che in passato, della loro importanza, della delicatezza del loro ruolo, delle fatiche e persino dei rischi che esso comporta (si pensi alle operatrici/operatori “chiusi” nelle case di riposo insieme ai “propri” anziani). Il riconoscimento sociale, professionale e anche economico spesso non corrisponde all’importanza della loro funzione…
Temi ampi e complessi… Proviamo a scambiarci qualche idea!
Sandro Campanini – Daria Jacopozzi