“Pellegrino di Roma”, pubblicato nel 1945 con il sottotitolo “La generazione dell’esodo” (e ripubblicato alcuni mesi fa dall’editore Aragno), è ad un tempo il racconto della vita di Ernesto Buonaiuti (1881-1946), la sua confessione e l’illustrazione della sua visione della missione del cristianesimo nel mondo contemporaneo.
Carlo Arturo Jemolo (1891-1981) introduce il libro di questa originale figura del modernismo italiano, ordinato sacerdote a Roma nella Basilica Lateranense nel dicembre 1903 a ventidue anni. Jemolo – amico personale di Buonaiuti, che celebrò le sue nozze nel 1921 – individua tre tipi di modernismo: quello dottrinale o teologico di Giorgio Tyrrell, che si collegava alla grande personalità del cardinale Newman, teso a scuotere la teologia tradizionale; quello storico, che è la revisione della storia ecclesiastica risalendo e rischiarando in particolare la prima età cristiana e che si propone di rispondere ai bisogni di comprensione di ogni generazione; infine il modernismo politico di Romolo Murri, che accoglie le istanze socialiste ma non quelle liberali.
Buonaiuti, modernista lo è stato sul piano teologico e storico, non su quello politico. Secondo Buonaiuti i dogmi del cristianesimo devono corrispondere ad esigenze e inquietudini dello spirito umano contemporaneo, che sono diverse da quelle dei secoli in cui furono definiti. E del resto le prime comunità cristiane non formularono dogmi; questi vennero dopo. Il cristiano è l’uomo che si sente cittadino di una città superiore che si traduce in forme di bontà, di temperanza, di mitezza, di condiscendenza, di perdono, da esercitare a favore di tutti i fratelli; e questo al di sopra e al di là di tutte le specificazioni politiche. Il potere religioso – pensava Buonaiuti – è inconciliabile col potere politico; la mescolanza della Chiesa con lo Stato è dannosa per la Chiesa. I valori del Vangelo devono costituire l’anima di tutte le rivendicazioni sociali, tendenti ad un livellamento delle classi e ad un affratellamento degli spiriti; ma Buonaiuti non condivideva l’azione di don Romolo Murri di fondare un movimento politico democratico cristiano. Il cristianesimo, a suo avviso, non può offrire un connotato specifico e inconfondibile rispetto ad una qualsiasi organizzazione politica. Il cristianesimo è spirito e vita: non è un codice, non è un formulario economico.
Buonaiuti considerò l’enciclica di Pio X del 1907, Pascendi dominici gregis, uno dei più funesti documenti della Curia romana. In essa erano fissate le sanzioni e le pene che avrebbero dovuto colpire, dovunque e in qualsiasi momento, i patrocinatori prossimi o remoti delle idee moderniste. Nell’enciclica vi era una spietatezza disumana contro la sacralità della libera cultura e della libera vita spirituale. Un atteggiamento repressivo che, a sua volta, provocava la reazione delle posizioni più aggressive contro la Chiesa.
Il 14 gennaio 1921, nonostante nel frattempo fosse cambiato il papa, Buonaiuti viene scomunicato dal Sant’Ufficio e le sue opere sono inserite tra i libri proibiti come pure le riviste con le quali collaborava.
Nel 1931, poi, gli venne tolta la cattedra universitaria di Storia del cristianesimo perché si rifiutò di prestare giuramento al fascismo. Buonaiuti fu invece accolto bene a Losanna nel cantone di Vaud dove si recò come “gastprofessor” tenendo un ciclo di lezioni all’Università.
Vivendo a contatto col mondo accademico svizzero e con la pratica di culto di quell’ambiente gli era sembrato che lo spirito riformatore del secolo XVI avesse deposto i suoi migliori germi e avesse fruttificato le realizzazioni più seducenti. Nessuna intransigenza dogmatica, nessun odio teologico, nessuna avversione confessionale, nulla gli aveva dato il sentore di quelle angustie farisaiche e di quegli ostracismi violenti di cui aveva fatto così amara esperienza negli anni del suo tribolato sacerdozio cattolico. La Chiesa nazionale del cantone di Vaud gli era lucidamente parsa come una delle comunità in cui, in pieno secolo ventesimo, la spiritualità cristiana avesse assunto più nobili e dignitose fattezze. La stessa esistenza della Chiesa libera nel medesimo cantone gli era testimonianza della intensità e in pari tempo della liberalità con cui, in una comunità educata al più alto rispetto delle libertà religiose, poteva attuarsi la coesistenza di gruppi credenti autonomi e in pari tempo fraterni. Lo spirito della Riforma quale gli si era rivelato vivo e operante nella piccola Chiesa nazionale del cantone di Vaud, gli appariva di esemplare magnanimità e di squisita duttilità culturale e teologica.
Nel suo testamento spirituale Buonaiuti ribadisce che il modernismo volle essere soltanto risurrezione di pure idealità evangeliche e afferma di sentirsi partecipe, in speranza e comunione, con quella nuova Chiesa cristiana ecumenica patrocinata da diversi gruppi che erano spinti da un’autentica vocazione alla fraternità.
In armonia con lo spirito del suo grande fratello Giorgio Tirrell, Buonaiuti scrive di desiderare che siano incisi sulla sua tomba i simboli dell’eterno sacerdozio cristiano: il calice e l’ostia. Il libro si chiude con un’appendice che riporta la lettera inviata subito dopo la scomunica al papa Benedetto XV e al cardinale Pietro Gasparri.
Nel corso degli anni, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, molte idee di Buonaiuti sono diventate parte costitutiva del patrimonio culturale del cattolicesimo moderno e delle encicliche dei papi. La costituzione pastorale “Gaudium et Spes”, del dicembre 1965, affermava infatti che “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia”.
Nel 2014 si è costituito un Comitato promotore per una migliore conoscenza e per la riabilitazione di Ernesto Buonaiuti nella Chiesa e nella società. Il manifesto sottoscritto da centinaia di adesioni ricorda che Buonaiuti, pur professandosi cattolico convinto, fu tra gli ecclesiastici più contrari al Concordato, e mantenne una posizione radicalmente critica nei confronti della politica vaticana in questo ambito, al punto da essere considerato un elemento di disturbo sia da parte ecclesiastica sia da parte governativa. Era sgradito, come cattolico, ai partiti di sinistra, e, come scomunicato, ai politici di obbedienza vaticana. Non fu mai riabilitato ufficialmente, anche se molte delle sue posizioni riecheggiarono nei dibattiti del Vaticano II e furono riprese nei documenti ufficiali. È nota la stima che aveva per lui Angelo Roncalli, al tempo degli studi romani.
Buonaiuti morì a Roma nel 1946 e fu persino privato della sepoltura ecclesiastica, essendosi rifiutato di ritrattare le proprie posizioni. La sua memoria restò nell’ombra per decenni, dal momento che, data la sua irriducibile fedeltà alla propria coscienza e alla propria onestà intellettuale e morale, fu considerato scomodo da tutti i centri di potere, nonostante la sua figura di testimone eticamente e giuridicamente superiore a ogni motivo di critica.
Salvatore Vento