Enrico Letta ha inaugurato il meeting di Rimini di Comunione e Liberazione. Ha avuto una buona accoglienza. Era prevedibile. Per tre semplici ragioni: Letta è persona seria e perbene; il suo governo di necessità e di servizio, al momento, è privo di alternative; egli ha un’indole e una vocazione terzista. Ma questa edizione del meeting ciellino si segnala anche per un’altra notizia: l’esclusione di Formigoni dal cartellone degli interventi e la sua reazione stizzita. Dopo venti anni nei quali egli ha rappresentato il referente politico incontrastato del movimento di CL e dunque l’attore protagonista di tutte le precedenti edizioni del meeting agostano. È il sigillo sulla chiusura di un ciclo e di una leadership politica in Lombardia e oltre. La circostanza è perfettamente spiegabile: sta nell’imbarazzo e nella conseguente presa di distanze degli organizzatori da un uomo politico investito da molteplici indagini giudiziarie, le quali, quale che ne sarà l’esito, hanno già comunque certificato un metodo di governo spregiudicato e uno stile di vita in vistoso contrasto con le alte idealità etiche e religiose proclamate con enfasi.
Eppure, per paradosso, sotto un certo profilo, il disappunto di Formigoni vanta una sua giustificazione. Troppo facile e ingiusto, scaricarlo così da parte di un movimento che deve molto a lui in termini di potere politico ed economico. Un movimento che, nel tempo, ha sostenuto e persino osannato nell’ordine: Andreotti, Craxi, De Mita, Berlusconi, Monti e ora Letta. E, come si diceva, sempre Formigoni, pur nel variare dei cicli politici. Che si archivi Formigoni si spiega. Ma CL non può passare ancora una volta, con un mix di leggerezza e di disinvoltura, a nuovi, ulteriori referenti politici, esorcizzando persino l’eclisse di Formigoni, senza aprire una riflessione su se stessa. Almeno su due questioni di prima grandezza.
La prima: il rapporto stretto e persino la contaminazione con il potere politico ed economico da parte di un movimento che pure formalmente rivendica la sua natura ecclesiale ed educativa. È un caso che i referenti politici (cui sono andati sostegno e voti, in cambio di una partecipazione massiccia a posti di potere un po’ in tutti i settori della vita economica e civile) siano volta a volta coincisi con chi deteneva il potere politico nazionale? Come si conciliano tali pratiche con la retorica dell’autonomia della società civile e con l’enfasi sul principio di sussidiarietà?
Seconda questione: il lungo connubio con Berlusconi e con il berlusconismo. La cui ispirazione e i cui comportamenti, pubblici e privati, stridono così palesemente con una genuina ispirazione cristiana. Eppure, ancora alle ultime elezioni, buona parte del movimento non si è affrancata da quel carro, pur così usurato, e, con qualche isolata eccezione, ha seguito la giravolta dell’ultima ora di Formigoni che è rinculato goffamente entro il recinto berlusconiano in cambio del piatto di lenticchie di un seggio al Senato. In Lombardia mollando Albertini e convergendo su Maroni che lo aveva sfiduciato.
Conosciamo perfettamente la risposta di rito ai due quesiti cui si è fatto cenno: 1) la formale distinzione tra responsabilità in capo al movimento di CL e quelle riconducibili ai singoli che fanno riferimento al movimento; 2) l’accusa di moralismo o addirittura di fariseismo che puntualmente scatta verso chi semplicemente constata il contrasto tra valori enunciati e comportamenti praticati. Diciamo la verità, due reazioni esorcistiche: 1) è di tutta evidenza il nesso organico e persino il cortocircuito stabilito tra “azione cattolica” e “azione politica” nella teoria che presiede alla vita di CL e che è stata oggetto di vivaci discussioni dentro la stessa cattolicità italiana; 2) il ripudio del cosiddetto moralismo si spinge sino al giustificazionismo dell’indifendibile, diciamo più precisamente al machiavellismo. Politico e apostolico.
Il distanziamento tardivo da Formigoni esigerebbe l’abbozzo di un ripensamento critico che spetterebbe a CL circa le basi teologiche, la cultura politica e il modello educativo praticato dal medesimo movimento. Dentro una riflessione critica retrospettiva, che gioverebbe anche e più largamente alla Chiesa italiana tutta, sul ventennio alle nostre spalle.
Franco Monaco
23 Agosto 2013 at 12:21
La questione non riguarda solo CL.
Un ripensamento critico lo auspico da parte di settori del c.d. mondo cattolico nei quali l’azione politica, gli stili personali di vita e di impegno, gli obiettivi ( a partire da uno sviluppo pieno della persona) che avrebbero dovuto derivare, almeno come – inappagabile…- tensione, dall’ispirazione cristiana, si sono diluiti nel grande mare dei silenzi, del non visto, di un collateralismo e di una cultura politica deboli. Il moderatismo prudente, direbbe forse Martinazzoli, è prevalso in noi rispetto alla rivoluzionaria moderazione dell’ispirazione cristiana.
Come si concreta, oggi, il profondo legame, nel merito e nel metodo, tra ispirazione cristiana e azione politica? Non è, ripeto, solo un problema di CL. E’ questione che certo non riguarda tutti, ma molti sì. Troppi.
3 Settembre 2013 at 19:08
il ragionamento non fa una grinza, c’è però da augurarsi che questo cammino da CL venga lentamente compiuto, non so come nè da chi. Anche da questo punto di vista questa per noi è un’epoca di cambiamenti che forse alla fine aprono una terza fase dell’Italia Repubblicana e una nuova fase per la Chiesa Cattolica. segni dei tempi, chiamiamoli ( non è definizione molto originale, me ne rendo conto)