Che a Ernesto Galli della Loggia non piaccia papa Francesco rientra nell’area delle legittime preferenze. Che egli si impegni in un editoriale (1) molto addentro a dinamiche di tipo teologico è già un po’ più particolare. Appare però addirittura curiosa l’argomentazione che egli svolge. Il suo tema è la novità di una Chiesa che non ha più impatto politico perché si accontenta di un’ideologia, dimenticando il proprio elemento identitario più vero. Galli della Loggia ritiene infatti che “il discorso pubblico di Francesco inclina a perdere ogni specificità di tipo religioso”. Addirittura, sarebbe messo da lui sullo sfondo il messaggio evangelico. Non ci sarebbe alcun richiamo alla conversione e nemmeno alla trascendenza. E in questa linea egli rincara la dose: i destinatari dei suoi interventi non sono più i consueti “uomini di buona volontà” ma solo i marginali movimenti sociali; egli ha dimenticato la dottrina sociale centrista tra socialismo e liberalismo e si è sganciato da quell’“universalismo umanistico” interno all’orizzonte occidentale. Insomma, un quadro deleterio, in cui resterebbe solo “un’ideologia a sfondo populistico-comunitario-anticapitalistico”. La prova finale di tutto ciò? La Chiesa non riesce più a fare politica perché non riesce a influire nello scontro interno all’Ue o non ha una parola da dire sulla crescita dei poteri russo e cinese.
Che dire? Che si tratti di una lettura piuttosto affrettata ed esterna, che non coglie alcuni codici essenziali del dibattito cattolico contemporaneo? Ma sembra di scorgere qualcosa di più: un pizzico di pregiudizio secondo cui il “vero religioso” sia qualcosa imparato da piccolo, consegnato imbalsamato dalla tradizione e che non possa cambiare mai. Qui invece mi sembra il punto: Francesco si inserisce in una storia in cammino, sostiene posizioni diverse da alcuni suoi predecessori, ne sviluppa altre nuove, tutte dentro la sinfonia non univoca della grande tradizione cristiana. La Chiesa non è un libro stampato una volta per tutte…
Avanzo solo alcuni telegrafici spunti di riflessione, che sarebbero potenzialmente tutti da sviluppare.
- Chi abbia solo sfogliato l’enciclica “programmatica” “Evangelii gaudium” si è fatto un’idea della centralità della gioia del Vangelo nella vita prima ancora che nella riflessione di Francesco. È da tale messaggio essenziale, riletto senza glosse particolari, che scaturisce la forza religiosa intrinseca del suo argomentare. Che si centra sulla misericordia divina, che non è un concetto sociologico. La rivelazione da parte di Gesù Cristo di un Dio pieno di misericordia per gli esseri umani è la verità del Vangelo, è l’unico modo di concepire la trascendenza. La quale non si fonda su una dottrina filosofico-veritativa, ma su questa esperienza fontale di rapporto con una presenza amante. Da qui l’appello alla conversione continua come impegno prima di tutto della Chiesa nei confronti del suo Maestro: non a caso questo è diventato un punto essenziale dalla pastorale bergogliana: i mali della Chiesa sono legati alla mancanza di questa conversione essenziale alla misericordia del Padre.
- In secondo luogo si dovrebbe sfogliare la “Laudato si’”, seconda grande enciclica, leggendola come grande affresco religioso sul mondo creato: il mondo creato è la “madre terra” consegnata dalla benevolenza di Dio alla cura degli esseri umani in società fraterna. Si può leggere in questa riflessione una benevola ma anche ferma critica dall’interno della modernità occidentale, rischiosamente sottoposta a un “eccesso antropocentrico” che ha portato alla logica tecnocratica di dominio del creato e di massimizzazione dell’utilitarismo tra gli esseri umani. Quindi non c’è contrapposizione all’umanesimo occidentale, ma istanza critica: come la fede cristiana ha sempre rivendicato nei confronti di tutte le culture e le civiltà, a partire dal rapporto primigenio con l’ellenismo classico.
- C’è sicuramente in Francesco una relativizzazione della classica dottrina sociale intesa come ideologia identitaria (ma lo stesso Giovanni Paolo II aveva precisato che si trattava precisamente di teologia morale, non di una ideologia politica). Ma non è questione di un suo annullamento, anzi: è una ripresa collegata a un progetto di costruzione dal basso di assetti nuovi nel mondo sociale e politico. Tale indicazione appare tutt’altro che populistica: il popolo secondo il papa non è un dato di fatto immobile cui appellarsi (come appunto nelle ideologie populistiche, in cui il leader è portatore di questa unità preconfezionata), ma è un mito da costruire con la responsabilità e l’impegno quotidiano di ciascuno, nella legge di progresso della storia. In cui i movimenti sociali sono alcuni tra i soggetti, ma non si intestano per principio di nessuna verità scontata e automatica.
- I destinatari del messaggio quindi non sono affatto settoriali, ma universali, questo sì. Staccandosi dall’ipotesi di un’alleanza particolare con alcuni mondi e alcune civiltà, per animare tutte le culture. La storia di Bergoglio come gesuita cresciuto alla scuola del Vaticano II tra Europa e America Latina depone a favore di questo allargamento di orizzonti. Non ci sono esclusivismi di principio.
- In termini di ricadute politiche, abbiamo certamente in Francesco un’impostazione che rifugge dall’idea tradizionale di una Chiesa come un potentato sociale tra gli altri: i tempi della secolarizzazione sono avanzati, i tempi della cristianità definitivamente seppelliti. L’autorità della Chiesa è quella di un messaggio di autenticità – che piaccia o meno al professor Galli Della Loggia -, di natura evangelica. Tramite il quale il papa fa la scelta di provare a influire nei modi possibili: riscontriamo molteplici e reiterati appelli alla solidarietà europea; esiste un nuovo accordo con la Cina dopo anni che cerca di mettere su un piano di riconoscimento la presenza della Chiesa nell’immenso paese; c’è un dialogo sotterraneo mai interrotto con il mondo dell’ortodossia, in preda a una difficile transizione. Ma sono tutte cose che bisogna un poco conoscere, che non fanno la cronaca dei quotidiani, attenti forse ad altri aspetti più epidermici.
Guido Formigoni
14 Maggio 2020 at 18:58
Caro Guido,
Spunti molto interessanti. I tuoi punti sono dei capitoli di un vademecun sulla attuale dottrina sociale della Chiesa. Aspetto da voi storici e sociologi analisi piu’ distese e approfondite per comprendere meglio i “segni dei tempi”. Non posso, nel concludere, constatare che Galli della Loggia, intellettuale e storici di indubbio valore, prima di papa Francesco era uno degli “atei devoti” che dava la linea. Anche alla Chiesa italiana. Inutile dire quale stagione, e quali tipo di riflessioni, trovi piu’ evangelica e preferisca.
16 Maggio 2020 at 11:27
Condivido queste considerazioni. Costui è uno degli opinionisti brillanti, e a volte capaci di vedere e suggerire cose anche utili e interessanti. Però (almeno io, che pure non sono un’aquila) non ho mai dato rilievo ai suoi scritti e alle sue “suggestioni”; spero che, come si evince anche dallo scritto di Formigoni, non continuiamo a inseguire questi che vogliono continuamente insegnare alla Comunità credente cosa fare … ma solo se serve alla loro visione. Vorrebbero sempre una Chiesa al servizio di disegni (per usare un termine di Francesco). Quando, e qui il discorso si sposta sul piano civile, si metteranno “a servizio” di un progetto solidaristico, personalistico, comunitario, di economia civile, di partecipazione popolare, allora sarà giusto prenderli inconsiderazioni, così come lo si fa con ognuno di noi quando lavora per la costituzione il Concilio la cittadinanza