di Sandro Antoniazzi
Lerner ha scritto un libro bello e importante che porta il titolo “Gaza”, ma che, in verità, tratta maggiormente di quanto indica il sottotitolo “Odio e amore per Israele”.
Il rapporto israeliani-palestinesi viene affrontato e senza esitazioni, ma il libro è soprattutto una riflessione su Israele, su cosa è stato, che cosa è e come si presenta per l’avvenire.
Lerner è ebreo, con bisnonni materni presenti in Palestina da oltre cento anni, parla l’ebraico, ha parenti in Israele, conosce bene il paese dove è stato varie volte.
Pur avendo la sola cittadinanza italiana, si sente molto legato a Israele e si dichiara sionista, cioè, crede in un Israele democratico.
D’altronde, i primi dirigenti ebrei del 1948 erano in maggioranza laici e diversi anche socialisti e per un lungo periodo di tempo c’è stato uno sviluppo civile e culturale che Lerner definisce “Rinascimento”.
Ora però questo slancio si è fermato, si sono manifestate correnti ultraortodosse che affermano Israele come patria esclusiva dei soli ebrei e prevedono l’espulsione per coloro che non lo sono.
La legge approvata nel 2018 va in questa direzione perché stabilisce Israele come “casa nazionale del popolo ebraico” e sostiene “lo sviluppo degli insediamenti ebraici come valore nazionale”.
In altre parole, l’intera terra della Palestina è “eretz Israel”, terra di Israele, e dunque i palestinesi dovrebbero andarsene.
Purtroppo, la questione palestinese è stata rimossa, come se fosse ritenuta impossibile qualunque soluzione; questo ha determinato la scomparsa della sinistra e ha alimentato le posizioni più conservatrici.
Anche la bella idea di Raniero La Valle del 1988 di proporre l’ingresso dei due stati, l’israeliano e il palestinese, nell’Unione Europea, è caduta nel dimenticatoio.
Ma è difficile vivere in Paradiso quando di fianco c’è l’Inferno; è sufficiente paragonare i redditi degli ebrei e dei palestinesi per constatare la differenza abissale nelle condizioni di vita: il reddito medio di un israeliano è di 55.000 dollari annui, quello del palestinese di 1.300.
Esiste ancora una maggioranza laica nel paese, ma la situazione si è così deteriorata che oramai pochi credono ancora ai “Due popoli, due stati”.
Anche l’arrivo di ebrei da altri paesi in Israele si è arrestato (salvo la parentesi della guerra in Ucraina che ha portato a 76.000 nuovi ingressi) e sono parecchi coloro che scelgono la via dell’espatrio o che preferiscono avere la doppia cittadinanza.
L’immagine di Israele tra gli altri popoli è diventata sempre più negativa: viene vista come l’ultimo residuo del colonialismo bianco (il 90% degli ebrei vive oggi o in Israele o nei paesi anglosassoni), più espressione di forza e di vendetta che di giustizia.
L’opposizione a Netanyahu è volta a salvare la coscienza di Israele, fatta di ebraismo e di democrazia; Israele ha una grande tradizione universalistica che gli deriva dalla Bibbia, a cui deve in larga misura la sua sopravvivenza, come ha sempre conosciuto la tolleranza.
A questi valori e tradizioni occorre fare riferimento per contrastare la tendenza all’isolazionismo e all’uso esclusivo della forza per estendere il potere e i confini della terra: visione conservatrice che è sfociata da ultimo nel cruento e sproporzionato intervento a Gaza.
Le vicende di Israele riguardano il mondo intero e anche noi: una conseguenza dell’involuzione di Israele è che oggi i suoi maggiori sostenitori si trovano a destra.
Anche gli ebrei presenti in Italia si sono irrigiditi e molti ritengono più gravi una scritta antiebraica o una bandiera calpestata, che non la morte di decine di migliaia di palestinesi a Gaza.
E il rabbino di Roma Riccardo Di Segni critica la Santa Sede perché non riconosce il carattere divino del legame tra Israele e la terra (“eretz Israele”).
Ma come ricorda giustamente Lerner un passo del Levitico (25,23) afferma “Mia è la terra, perché voi siete stranieri e residenti provvisori”.
Ciò dovrebbe scoraggiare di considerare la terra come proprietà o un’eredità.
Piuttosto essere “residenti provvisori” può essere considerato un carattere permanente dell’ebraismo, coscienza della realtà in cui siamo immersi, da tenere ben distinta dalla paura del pericolo che invece ha prevalso determinando tante reazioni istintive contradditorie.
Ho riassunto, molto sinteticamente, lo scritto di Lerner che è come un racconto pieno di considerazioni e di riferimenti: le frasi devono essere soppesate perché è facile essere considerato un traditore, un nemico.
E’ molto difficile oggi un dialogo sereno con molti ebrei, troppa è la pulsione alla difesa e a sostenere Israele in ogni caso, per paura di indebolirlo.
Va riconosciuto il merito di Lerner di parlare chiaro e di mostrare Israele per quello che è, coi suoi meriti e coi suoi difetti, soprattutto attuali.
Tutti confidiamo che la situazione di Israele possa evolversi, perché un Israele democratico è troppo importante per riportare la pace in Medio Oriente, per nuovi rapporti coi paesi arabi e per stabilire buoni rapporti con le comunità ebraiche nei paesi che li ospitano.
9 Agosto 2024 at 22:16
Grazie, Lerner.
Proprio stasera, don Fabio Masi (ultranovantenne, ma solo per l’anagrafe) citava lo stesso passo del Levitico.