Lo scenario globale che stiamo vivendo avrebbe dovuto invitare i partiti ad impegnarsi a fondo per il futuro del Paese, e sfidarsi poi alle elezioni, senza giocare sulla pelle di uno degli uomini più influenti e autorevoli della politica e dell’economia mondiali, con tutto quel che ne deriva per l’Italia. Ma ora le elezioni sono alle porte. Quel “o noi o loro”, detto dal segretario del Pd, Enrico letta, non è solo sensato – si tratta di provare a raggiungere la massa critica per giocare al meglio la partita maggioritaria -, è che, proprio nel fatto di volerlo fare, dimostra un coraggio politico apprezzabile. L’autore presiede i Circoli Dossetti, un gruppo di operatori sociali e culturali proveniente dal cattolicesimo democratico e sociale sorto a Milano nel 1998 sotto la spinta del compianto Giovanni Bianchi (l’articolo è uscito come editoriale del loro sito).
Qualche anno fa, in una delle pause nei lavori degli Incontri Riformisti, avevo espresso (magari lo ricorderà) a Pierluigi Castagnetti quello che era, insieme, un modesto appello ed una espressione di disagio; entrambe le cose, da militante: “Pierluigi, il PD ha bisogno di alleati”.
Che il Partito Democratico soffra di una certa, per certi versi difficile da interpretare, solitudine, è evidente fin da subito dopo la sua fondazione. La questione in realtà è stata discussa in lungo e in largo e non è il caso di richiamarla qui se non per chiudere i conti, dal nostro punto di vista, circa un fatto che negli ultimi anni ha tenuto banco nella dialettica (o nella polemica, se ci riferiamo ad alcuni specifici personaggi) politica nel centrosinistra: il tentativo del PD di costruire una coalizione con il Movimento 5 Stelle.
La distanza fra i due soggetti è – si potrebbe dire – un fatto fisico: attiene alla sostanza dei partiti, ma anche a quella di molte persone, coi loro stili, i loro modi e perché no, la loro concezione di ciò che è giusto fare, per quanto in buona fede si sia.
Questo tentativo, tentato da Zingaretti prima, sotto le insegne del Progresso, e da Letta poi, sotto quelle della Responsabilità di Governo, andava comunque fatto. Anche a costo dei tanti (sovente sensati) mal di pancia che ne sono derivati, e delle fondate critiche circa la possibilità di riuscita.
Fisica per fisica, tuttavia, le cose hanno teso per gravità a tornare nel proprio luogo naturale.
Era del resto impensabile che si potesse arrivare alle elezioni con quell’assetto: in prossimità delle elezioni i partiti, specie quelli di rincorsa, hanno bisogno di ripulirsi l’immagine, e questo vale anche per molti Presidenti del Consiglio; le prospettive sul proprio futuro sono tali, a tutti i livelli, da condizionare la stabilità dei Governi quanto quella delle Amministrazioni locali, spesso fatte cadere in ragione del mero calcolo elettorale.
Il Governo del Paese, insomma, come variabile dipendente della poltronabilità.
Niente di nuovo, dunque?
Non proprio, in effetti: perché lo scenario globale che stiamo vivendo avrebbe dovuto avere l’effetto di ricondurre a più miti consigli uomini e partiti, ad impegnarsi a fondo per il futuro del Paese: e semmai a sfidarsi alle elezioni, non sulla pelle di uno degli uomini più influenti e autorevoli della politica e dell’economia mondiali, con tutto quel che ne deriva per l’Italia.
Tant’è! I conflitti e i personalismi interni al M5Stelle, le troppe correnti personali di Forza Italia, la corsa (leale, ma dura) intorno alla leadership del centrodestra e le tensioni interne alla Lega, insieme all’effetto dirompente del drastico taglio dei Parlamentari, hanno prodotto elezioni anticipate. Anticipatissime, se consideriamo che siamo nel pieno di una torrida estate, il che limiterà molto le possibilità di una vera campagna elettorale.
Conteranno insomma molto le posizioni già conquistate negli anni scorsi, nel decidere l’esito: chi non è pronto ora, difficilmente potrà rimettersi in corsa. Chi si è definito in un certo modo, non avrà il tempo necessario per riconvertirsi su una proposta diversa.
Ottimo ci è sembrato il Quirinale per tempismo e manovra: del resto il Presidente Mattarella ha sempre dimostrato idee chiare, celerità e risolutezza nella gestione delle tante crisi di Governo.
Viste le previsioni, piuttosto cupe, circa l’economia globale a partire dall’autunno, è tutto sommato un bene che non si sia tentata la strada di un governo di scopo: sarà il prossimo Governo, così come determinato dal voto, a dover gestire la delicatissima fase che avremo davanti. Certamente, però, è umiliante che l’Italia non trovi la giusta dimensione etica che porti i partiti ad iniziare una competizione elettorale continuando tuttavia a lavorare per il Paese rispettando gli impegni presi e i bisogni dei cittadini.
E no, rispondiamo seccamente a quei personaggi della destra che lo ripetono continuamente, i bisogni dei cittadini non sono “andare a votare”; o non si spiegherebbe la crescente astensione quando poi a votare ci si va davvero.
In un contesto nel quale davvero tutti, partiti, correnti personali e singoli, sembrano cercare solo il miglior posizionamento elettorale possibile, la novità positiva ci sembra rappresentata dal Partito Democratico.
Enrico Letta ha fin qui gestito nel modo migliore l’atteggiamento del proprio partito rispetto alla possibile coalizione, al governo Draghi, alla crisi, al Paese. Ha avviato per tempo un percorso costruttivo sublimatosi nelle Agorà e prosegue disegnando, per il proprio partito, una dimensione che pare diversa: abituati alle tante incomprensibilità del passato, incluso l’ancoraggio continuo al Governo anche quando c’era un palese disagio degli elettori, in questa fase la visione di Letta ci sembra invece particolarmente lucida, priva di quelle ambiguità che lo stato attuale (post pandemico, bellico, di recessione certa e stagflazione probabile) non solo non consente, ma qualifica surreali.
E punta a vincere la partita maggioritaria, ben sapendo che stante la storica solidità dell’elettorato della destra tripartita, sarà molto difficile che questo accada.
Certo c’è una campagna elettorale tutta da affrontare e ci sono i tempi: quelli che viviamo, in cui tutto sembra poter cambiare con grande velocità e diventa difficile dare per acquisite le cose: siamo davvero sicuri di quale sarà la risposta degli elettori di Lega e Forza Italia rispetto agli scossoni interni, e al passaggio comunque poco cristallino cui abbiamo assistito in occasione della caduta del Governo?
Al netto di debacle clamorose, comunque, la partita proporzionale è lì, pesante, ma non fa guadagnare un solo seggio: quel che c’è ci sarà, a grandi linee.
È invece al maggioritario che si deciderà la partita elettorale. La partita al maggioritario, se da un lato toglie proporzione alla rappresentanza parlamentare (la quale per la verità è in autonoma e sovrana crisi anche senza le forzature del maggioritario) dà respiro, anche alla Politica. Esula dalla logica dei bilancini e ci mette nella condizione di dover competere davvero; e in uno scenario in cui le opzioni che si vanno delineando non sono due, ma ancora tre o forse addirittura quattro (si farà, il centro moderato di ispirazione cattolica e costruito al di fuori degli attuali partiti?) richiede una ponderata analisi, una faticosa entrata nella giusta prospettiva; ma può aprire opportunità: Letta sembra averlo ben chiaro e la sensazione è che dall’atteggiamento rispetto alla crisi, ai rapporti con gli alleati fino al tentativo di costruzione di una coalizione (e, immaginiamo, di un premier) stia facendo le mosse giuste per giocarla con qualche possibilità.
Possibilità di vittoria, è la speranza; ma ad ogni modo, quel “o noi o loro”, detto da un dem, Enrico, ci garba proprio tanto. Non è solo sensato, lucido, strategicamente corretto: costruire coalizione, trovare alleanze, stringere accordi, provare a raggiungere la massa critica per giocare al meglio la partita maggioritaria. E’ che, proprio nel fatto di volerlo fare, suona molto, molto meglio di tante altre “chiamate alle barricate” del passato, che sapevano un po’ di training autogeno, di sopravvivenza elettorale più che di prospettiva politica.
I tempi sono gravi, il momento del coraggio è ora: quando, se no?
Luca Emilio Caputo
(Circoli Dossetti)
9 Agosto 2022 at 16:03
L’auspicio è apprezzabile, anche se evita di riflettere sulla responsabilità di aver rinviato continuamente la riforma del sistema elettorale, che comporta con il Rosatellum una sfida bipolare sul maggioritario, Ed il bipolarismo spinge alla radicalizzazione, alle ammucchiate; e favorisce una destra che punta al potere, senza preoccupazioni per la coerenza dei programmi, senza attenzione all’unità del paese. Ripeto anche qui che “le idee contano, ma la realtà conta di più”. Le idee diventano politica quando si confrontano con il contesto storico, con la questione davvero “centrale”, che fa diventare propaganda ingannevole tutte le altre questioni. Come si può evitare che il presidenzialismo (cfr.Dossetti) e la riforma della Costituzione (cfr. Dossetti), è questa la questione centrale di questa fase, siano consegnate alla destra, come preda di guerra? La personalizzazione ha condizionato questa fase, l’incertezza sulla proporzionale ha costretto anche Letta ad alleanze e a “giochi di società” che stanno favorendo la Destra e che alimentano il disorientamento degli elettori “popolari”. Ormai si tratta di resistere, sapendo che “perdere divide”, che dovremo affrontare dopo il 25 settembre, problemi non più rinviabili…
12 Agosto 2022 at 17:01
La risposta dell’ on. Bodrato tocca effettivamente alcuni importanti nervi scoperti: che per metodo avevo escluso da quella che voleva essere una riflessione soprattutto elettorale, ma che certamente toccano noi tutti.
All’inizio di una campagna elettorale che promette di essere ricchissima di uscite a vuoto, e di polemiche sui programmi tarate molto male, può forse essere utile fare un passaggio sulla cruda e materiale sostanza delle cose: a partire dal fatto che al termine di una legislatura, in cui l’intero sistema politico è sembrato entrare in una crisi così grave da sconvolgere in maniera trasversale tutti i partiti (tranne, naturalmente, chi ha avuto la sagacia di stare all’opposizione di tutto), proprio a causa della legge elettorale l’unica strategia vincente non è quella che porta al 51% nel Paese, ma al 40% nel 51% dei collegi.
Mi sembra perciò positivo il fatto che proprio il PD, che si è posto stabilmente come partito di governo e delle istituzioni: 1) sembri godere di una relativa salute; 2) abbia resistito alle sirene identitarie e ultra-maggioritarie che portano il centrosinistra a sistematica sconfitta; 3) sia uscito dall’angolo della difesa del lavoro svolto; 4) sembri avere recuperato uno spirito coalizionista: con questo, assolvendo al ruolo di soggetto di riferimento di un’area politica dai contorni sempre molto incerti, e percorrendo l’unica strada possibile nel tentativo di contendere alla destra una vittoria larghissima; che incombe, da anni, proprio grazie a questa legge elettorale, verso la quale (mi perdonerete) non trovo epiteti che siano insieme sufficientemente educati ed adeguatamente descrittivi da essere espressi.
Ma la legge è questa, e per potersi aspettare, dopo il 25 settembre, qualcosa di buono dall’area che gravita intorno al Partito Democratico, è necessario saper stare al gioco ed evitare una troppo ampia vittoria della destra: non solo, o non tanto, per le possibili derive autoritarie, ma proprio per non lasciare loro, nel nuovo Parlamento, l’iniziativa sulle riforme della Costituzione: pur senza allarmismi e richiami alle barricate antifasciste, non mi sembra che possiamo aspettarci qualcosa di positivo dalle idee della varia destra rispetto alla preminenza istituzionale di un cittadino; e le prime uscite di queste ore promettono malissimo.
O perchè non sembra che possiamo fidarci dell’impatto della normativa che una destra-destra potrebbe produrre rispetto al posizionamento economico e culturale del Paese sul quadro internazionale.
Quanto al merito delle questioni autorevolmente sollevate da Bodrato, la sua risposta ha innescato un discreto dibattito nel Dossetti: ci stanno tutte, in effetti, particolarmente a cuore, e non posso che condividere il rammarico per il fatto che da così tanto tempo giacciano irrisolte, probabilmente schiacchiate dalla contingenza politica ed elettorale. O, per meglio dire, dalla subalternità di molte forze politiche alla contingenza.
Senza la pretesa di esaurirle in questa sede, dirò che l’idea, più che del presidenzialismo (su cui bisogna essere aperti, di fatto c’è già), di una riforma complessiva delle istituzioni che garantisca la governabilità ci è sempre sembrata preminente; e vi dedicheremo, insieme agli amici della rete C3Dem, una parte importante del nostro lavoro futuro. Proprio per non lasciarlo, nel nostro piccolo, alla destra.
Non so dire, invece, se è questo il momento di trattarle, nel pieno della campagna elettorale: sicuramente dovremmo noi tutti, inclusi i partiti del centrosinistra, saper dire qualcosa di valido, ma in questo momento non mi ci farei attrarre più di tanto; la triste realtà di oggi è fatta dallo stato di guerra in Europa, l’instabilità globale e la probabile stagflazione: è solo una mia idea, ma temo che un problema nella tenuta sociale del Paese possa portare un governo, che si preannuncia fortemente connotato a destra, a fare molto molto male, più sull’ordine pubblico e sulla fiducia dei cittadini verso le istituzioni democratiche, che non sulla questione istituzionale.
Molto difficile poi pensare di poter smantellare il Rosatellum: questa legge è una concessione al centrodestra, il quale è sempre stato così bravo, in un Paese tendenzialmente orientato alla conservazione dei privilegi e all’indebolimento dello Stato a vantaggio dei privati, o delle autocrazie regionali, a vincere le elezioni semplicemente stando unito, senza fare niente prima e senza necessariamente fare niente di buono dopo. E continuerà a farlo. Chi l’ha pensata e voluta ha prodotto il caos, non so quanto involontariamente; chi non ha saputo opporvisi, avrebbe dovuto farlo, affrontando contestualmente il problema correlato: ossia il ruolo dell’ex segretario. Ma la peggio l’ha avuta il Paese.
Trovo peraltro indecente che la legge elettorale sia sempre a disposizione dei Partiti -quando non dei gruppetti di parlamentari- per confermare sè stessi: quando parliamo di crisi della rappresentanza democratica dovremmo porci seriamente il problema della legittimità di un meccanismo nel quale il rappresentante decide da sè, volta per volta, i termini attraverso i quali riceve il proprio mandato.
Per non dire della selezione del personale politico, o anche dei partiti che si presentano alle elezioni: possiamo fidarci del proporzionale, quando si verificano oscillazioni elettorali così forti da spostare il 20% di elettori in quota ad un solo partito in una legislatura, o quando esperienze politiche estemporanee (potremmo definirli Instant-Parties?) raccoltisi intorno a un singolo tema, possono presentarsi alle elezioni e superare agevolmente lo sbarramento?
Di tutto questo naturalmente vogliamo continuare a parlare: con le nostre modeste forze, restiamo però liberi dalla contingenza politico-elettorale e da improvvide convenienze.
Sperando che, giocando bene la partita del maggioritario, l’interlocutore partitico migliore di cui disponiamo sia sufficientemente libero da ascoltarci, e forte da accompagnarci.
Cordialmente, e con stima.