di Giampiero Forcesi
E’ un libro molto intrigante. Che ha per centro Giuseppe Dossetti e le sue idee sullo Stato, la sua critica alla concezione liberale, la sua tensione verso la proposizione di uno Stato che si dia il fine di riformare la società, per promuoverne eguaglianza e giustizia sociale. E’ insieme un libro su Dossetti e un libro di Dossetti. Ed è un libro con molti autori, che parlano in prima persona: da Aldo Moro a Mario Romani, da Baget Bozzo a Giorgio La Pira, da Costantino Mortati a Francesco Carnelutti. E’ la ricostruzione, con molteplici piste di attualizzazione, di un appassionante dibattito accesosi nel corso del III Convegno nazionale di Studio dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, nel novembre del 1951. In quel convegno fu chiamato a tenere la relazione generale Giuseppe Dossetti, che aveva 38 anni e aveva appena lasciato la politica. Tema: funzioni e ordinamento dello Stato moderno. Il discorso, straordinario per intensità e per la radicalità della critica alla prevalente concezione liberale dello Stato, fu fatto da Dossetti sulla base di appunti e fu trascritto dalla registrazione. Fu pubblicato, insieme alle altre relazioni e al dibattito, sulla rivista Iustitia, e più tardi (nel 1977) dalla casa editrice Cinque Lune. Per ultimo, Giuseppe Trotta lo ha inserito nella raccolta di Scritti politici da lui curata nel 1995, ma oggi quasi introvabile.
Enzo Balboni, docente di Diritto costituzionale alla Cattolica di Milano, già amico e collaboratore di Giuseppe Lazzati, e vicino a Dossetti negli anni del suo ritorno sulla scena pubblica tra il 1994 e il 1996, decise, con il benestare di Dossetti stesso, di rieditare quel discorso e di corredarlo di una serie di note e di aggiornamenti. Ne è uscito, ben dieci anni dopo l’avvio, un libro straordinario di circa 300 pagine che si legge come un romanzo (Giuseppe Dossetti, “Non abbiate paura dello Stato!”. Funzioni e ordinamento dello Stato moderno. La relazione del 1951: testo e contesto, Vita e Pensiero, Milano 2014). Si apre con il testo, finalmente corretto, del discorso di Dossetti (circa 60 pagine). Segue un’ampia sintesi delle altre relazioni (i relatori furono Aldo Moro, Mario Romani, Ubaldo Prosperetti, Gianni Baget Bozzo, Antonio Amorth e Giorgio La Pira) e della vivacissima e tesa discussione che soprattutto la relazione di Dossetti ebbe a suscitare.
Il più fiero, e autorevole, avversario di Dossetti fu Francesco Carnelutti, il prestigioso presidente onorario dei Giuristi cattolici e presidente-moderatore del convegno stesso. Tra i due si sviluppa un avvincente duello: astensionista e liberale, Carnelutti, considerato figlio ed interprete autentico dello Stato liberale di diritto dal punto di vista cattolico; interventista e sociale, Dossetti, convinto dell’urgenza di promuovere un radicale rinnovamento della società ad opera dello Stato. Nel dibattito Dossetti interviene quattro volte, e di ognuno di questi interventi Balboni offre la lettura pressoché integrale. Alla discussione partecipano non solo gli altri relatori ma molti dei convegnisti: giuristi, avvocati, economisti. Tra questi: Eugenio Minoli, Costantino Mortati, mons. Pietro Pavan, Santoro Passarelli, il rosminiano padre Giuseppe Bozzetti. Questa seconda parte del volume è di circa novanta pagine.
Balboni, consapevole del grado di attualità dei temi in discussione (più società o più Stato?; il ruolo dei partiti politici; prima la libertà o prima la solidarietà?; libero mercato o bene comune e dunque impegno pubblico di programmazione? …), ha poi voluto riprendere il filo del discorso individuando ben tredici “parole-chiave”, per ognuna delle quali ha ricostruito le diverse posizioni in gioco: quelle sostenute da Dossetti, e con lui, in più o meno larga consonanza, da Mortati o Moro o La Pira, etc., e quelle sostenute viceversa da Carnelutti e da altri giuristi di area liberale. Queste le parole-chiave (cui Balboni dedica altre sessanta interessanti pagine): 1. Fine – Finalismo – Funzioni dello Stato; 2. Aequalitas – Aequitas; 3. Bene comune – Bonum humanum simpliciter; 4. Consapevolezza – coscienza; 5. Cristallizzazioni (parola davvero chiave per Dossetti, che sia nella società e nello Stato sia nella Chiesa sempre vide con acutezza le posizioni di chiusura che ostacolavano le necessarie dinamiche di rinnovamento); 6. Diritti sociali – Funzioni sociali; 7. Divisione – Separazione dei poteri; 8. Felicità umana – Benessere (Dossetti, infatti, avanzò nel suo discorso questo tema tomista); 9. Giustizia; 10. Libertà – Quali libertà (a questo tema cruciale sono dedicate quindici pagine); 11. Masse – Popolo; 12. Partiti politici; 13. Reformatio del corpo sociale.
Non pago, Balboni è tornato di nuovo su alcuni nodi del dibattito, li ha approfonditi, citando ancora una volta i protagonisti di quella discussione, ma fornendo anche nuovi elementi, tratti sia da interventi fatti da Dossetti in altre occasioni, anche più recenti, sia da autori che sulle posizioni di Dossetti, in questi cinquant’anni, si sono confrontati, come Elia, Scoppola, Nicoletti, Campanini, ed altri). Approfondimenti, anch’essi di grande interesse, che Balboni ha suddiviso in “Incursus” ed “Excursus”. Gli “Incursos” riguardano, il primo, la posizione di Dossetti nei confronti della concezione della libertà, con la sua consonanza con le posizioni del padre del welfare state, William Beveridge, che riteneva che la proprietà dei mezzi di produzione potesse essere sacrificata se questo poteva assicurare la piena occupazione. Il secondo riguarda la sua concezione del lavoro e del ruolo dei sindacati; qui Dossetti subisce le critiche di dirigenti illustri della Cisl per il suo non pieno riconoscimento della funzione positiva dell’autonomia sindacale. Il terzo si sofferma sugli “amori extragiuridici” della sua formazione, da S. Tommaso a Rosmini, con una indagine sulle sue affinità con il liberalismo critico dell’autore roveretano. Uno degli “Excurus” riguarda le aspre polemiche che scaturirono da una frase del suo discorso del ’51, quando ebbe a dire che “lo Stato fa la società”, polemiche che giungono fino ad oggi e tendono a liquidare Dossetti definitivamente per il suo statalismo. Ma Balboni contestualizza quella frase e ingaggia una discussione con Sergio Cotta, Ernesto Galli Della Loggia, Augusto Del Noce, Pietro Scoppola, Giovanni Orsina, Franco Rodano, Umberto Allegretti, Mario Tronti, ed altri ancora, osservando in conclusione che “solo una democrazia in senso sostanziale, e dunque efficiente ed efficace perché partecipata dai cittadini e da loro convintamente sostenuta, avrebbe potuto edificare in modo soddisfacente le strutture dello Stato, costituzionale di diritto e sociale, compensando sacrifici e benefici, doveri e diritti”). Infine, un excursus è dedicato al distacco di Dossetti, nei decenni successivi, da quella sua pur così originale e discussa relazione del ’51 (quasi una rimozione), i cui temi – nota Balboni – mai più egli volle riprendere, almeno fino al 1995, ad indicare la forza del suo distacco sostanziale dalla politica per addentrarsi nella sua nuova vita di monaco.
Chiudono il volume due scritti di Balboni già pubblicati altrove: “Note su Dossetti costituente” (relazione tenuta a Bologna nel 2008) e “Coerenza tra mondo interiore ed esteriore in Giuseppe Dossetti” (in Appunti di cultura e politica, 2013).
Ritengo che si debba essere grati a Enzo Balboni di questa sua immersione, così ricca e avvincente, nelle problematiche aperte da Dossetti con quel suo illuminante discorso sullo Stato. Non solo perché ci offre l’opportunità di una lettura assai istruttiva e coinvolgente, ma perché c’è un gran bisogno, oggi, di tornare a far luce sulle coordinate di fondo con cui poter affrontare le questioni cruciali del lavoro, della giustizia sociale e della democrazia. E il libro di Balboni è un contributo molto utile in questo senso, anche perché l’autore, pur esprimendo certamente una forte adesione al pensiero di Dossetti, dà anche spazio alle critiche che a Dossetti sono state mosse, e di esse offre una versione attenta ed equilibrata. Basti solo ricordare la stima (“un senso di riverenza e gratitudine”) con cui dà conto di una riflessione di Francesco Carnelutti sul rapporto tra diritto e carità (riportata integralmente alle pagine 143-44), con la quale l’insigne liberale concludeva uno dei suoi interventi, ammonendo Dossetti a non pensare che la disuguaglianza tra ricchi e poveri si possa sopprimere con la forza del diritto.
Giampiero Forcesi