Pubblichiamo la relazione tenuta al convegno su “Meriti e bisogni”, organizzato a Milano lo scorso 26 novembre, da Mondo Operaio e Critica sociale
- Migrazioni, fenomeno ciclico, ora in crescita nel mondo.
I movimenti migratori sono stati, da tempo immemorabile, parte integrante della vita e del progresso delle popolazioni, sia pure con andamenti ciclici. Il numero di migranti internazionali è continuato a crescere: nel periodo 2000-2015, è stato di circa 70 milioni (tab 1). Da notare che dei 70 milioni di migranti del quindicennio, circa 20 milioni si sono diretti verso l’Europa, ma il 90% di questi erano spostamenti interni, talchè i flussi reali dall’esterno verso l’Europa sono stati abbastanza modesti, per un continente di 700 milioni o una Comunità europea di 500 milioni, flussi inferiori a 500mila l’anno. Il numero dei rifugiati è stimato dall’Onu in 20 milioni. La Turchia ne ospita il maggior numero, circa 2 milioni, seguita da Pakistan con 1,5 milioni, Libano 1,2 milioni, Iran 1 milione. Più della metà di tutti rifugiati proviene da tre paesi, Siria con più di 4 milioni, Afganistan con 3 milioni e Somalia con quasi 1,5 milioni. Adesso viviamo un ciclo di flussi migratori che proviene soprattutto da Africa, Asia e Medio Oriente e diretto soprattutto verso Asia, Europa e Nord America, ma non è stato sempre così. Nei sessant’anni che precedettero la prima guerra mondiale, dal 1850 al 1910 l’Europa è stato il continente col record mondiale delle emigrazioni, più di 40 milioni di persone emigrarono verso il nuovo mondo, cioè il 10% della popolazione di allora, infinitamente più alta della quota di popolazione africana che oggi emigra.
Da una ventina d’anni il ciclo si è invertito e l’Europa è diventata terra di immigrati, anche grazie al buco demografico e oggi, a partire dall’Ungheria, innalza muri per difendere un’economia in declino. Nel 2015 nella UE c’erano 34,5 milioni di stranieri e 59 milioni di immigrati, la differenza tra i due dati è relativa agli stranieri non più stranieri perché naturalizzati, ai rifugiati e transitanti ed agli illegali. I paesi europei con più alta quota di immigrati sono il Lussemburgo col 43% e la Svizzera col 26%, seguono Austria e Svezia col 17%, Germania col 15%, G.B. e Spagna col 13%. L’Italia, con 5 milioni di stranieri e 5,8 milioni di immigrati è all’8,2% come quota di stranieri e al 9,5% come quota di immigrati.
Tab 1 Flussi migratori mondiali 2000-20015
ARRIVI media annua PARTENZE media annua Arrivi-Partenze
milioni milioni % popolaz. milioni milioni %popolaz milioni
ASIA 25,7 1,7 0,04 36 2,4 0,06 -10,3
EUROPA 19,7 1,3 0,2 10 0,7 0,1 9,4
AMERICA latina 2,6 0,2 0,03 11 0,7 0,1 -8,4
AFRICA 5,9 0,4 0,04 11 0,7 0,06 -5,1
AMERICA nord 14,0 0,9 0,3 1 0,07 0,02 13,0
OCEANIA 2,7 0,2 0,6 1 0,07 0,2 1,7
MONDO 70,0 4,7 0,07 70,0 4,7 0,07 0
Popolazioni di riferimento (ml): Asia 4255, Africa 1100, A.latina 700, Europa 720, N.America 340, Oceania 35, mondo 7200.
Dati, elaborazione da, UN International Migration Report, 2015
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- Italia, da paese di emigrazione a paese di immigrazione. Il Pil stenta a crescere con una popolazione invecchiata.
L’Italia è, con l’Irlanda, paese col record mondiale di emigrazione. Dalla seconda metà dell’ottocento a prima della grande guerra, 1850-1913, sono emigrati definitivamente circa 20 milioni di italiani, più di 300mila l’anno, pari a circa il 10% della popolazione con destinazioni principali, Europa, Stati Uniti, America latina. Da una quarantina d’anni in Italia le nascite si sono dimezzate a mezzo milione l’anno e da una ventina d’anni le immigrazioni sono aumentate. Da qui i forti flussi migratori che hanno investito il paese a ritmi di 300mila l’anno dopo il 2000. Nel periodo 2000-2010 la popolazione residente è aumentata di tre milioni solo grazie agli immigrati. L’aumento di immigrati si è fortemente ridotto negli anni 2014-2015, mentre continuano gli sbarchi dal Mediterraneo, oggi prevalenti, mentre nel periodo di forte ondata migratoria 2000-2013 erano poco più del 5% di immigrati.
Dal 2000 sono riprese anche le emigrazioni dall’Italia per le difficoltà del paese di creare lavoro qualificato per i giovani più istruiti. Nel 2016 i cittadini italiani residenti all’estero, 5,2 milioni, per la prima volta ha superato quello degli stranieri residenti in Italia. Da notare che, aggiungendo agli stranieri residenti gli stranieri naturalizzati, la presenza complessiva di immigrati arriva quasi ai sei milioni. Nelle emigrazioni italiane sono sempre più numerose le persone istruite. Nel 2002 sono usciti definitivamente (cancellati dalle anagrafi) 14mila laureati e diplomati, nel 2015 ben 50mila. Questo è un triste paradosso, un paese che ha pochi giovani, per carenza di crescita innovativa non riesce a impiegare neanche quei pochi che ha.
Il futuro demografico del paese è addirittura peggiore del presente, perché la natalità sembra ulteriormente ridursi anziché aumentare – nel primo semestre di quest’anno sono nati meno bambini rispetto allo stesso periodo di un anno fa- e perché un forte sentimento anti immigrazione avanza sotto la spinta degli sbarchi continui dal Mediterraneo che impauriscono la gente, anche per la propaganda di odio anti immigrati diffusa dai partiti populisti. Il tutto favorito dal fatto che pochi conoscono i danni che un invecchiamento della popolazione da bassa natalità e bassa immigrazione, producono sul sistema produttivo e previdenziale. Sono uscite di recente due autorevoli “previsioni demografiche al 2050 a migrazioni zero” elaborate da Eurostat e dal prof. Massimo Livi Bacci che hanno avuto scarsissima circolazione mediatica. Il quadro che ne esce è preoccupante, non tanto per le consistenti riduzioni di popolazione previste, da 10 a 14 milioni, quanto per l’ulteriore invecchiamento. Un paese ad alta densità abitativa come l’Italia potrebbe vivere benissimo anche con 10 milioni in meno, ma non con 12 milioni di giovani in meno e 2 milioni di anziani in più (tab 2).
Tab 2 Italia, popolazione 2015 e 2050, parametri costanti, migrazioni zero
popolazione 2015 (000) popolazione 2050 (000) variazioni (000) %
Eurostat 60.795 51.500 -9.295 –15
0-59 anni 43.832 33.000 -10.832 -23
60 anni e + 16.963 18.500 +1.537 +9
M.Livi Bacci 60.795 46.123 -14.670 -24
0-59 anni 43.832 27.388 -16.444 -37
60 anni e + 16.963 18.735 +1.774 +10
Fonti, Eurostat , Massimo Livi Bacci, lezione all’Università di Verona, 10/10/2016
L’età media della popolazione passerebbe dall’attuale 45 a 53 anni, che decreterebbe il tracollo definitivo di una economia già fortemente stressata per l’anzianità della popolazione, fattore negativo per i consumi ed il Pil, che è fatto per l’80% di consumi oltre che per la forza lavoro. Come ben noto i consumi degli anziani sono molto più bassi della media, quasi zero per le abitazioni, 20% della media per turismo e viaggi, 50% per alimentari, etc.. Gli investimenti seguono le prospettive di crescita ed infatti da anni sono in calo in Italia. Gli industriali italiani investono più all’estero che in patria. Lo stesso avviene per altri due paesi “vecchi”, Giappone e Germania , pur con diverse prospettive di crescita –la Germania cresce un po’ più di Italia e Giappone intorno all’1% annuo nell’ultimo quindicennio – anche grazie agli immigrati.
- I migranti non rubano lavoro ai locali, anzi creano lavoro
Nel decennio 2000-2010, a fronte di una massiccia immigrazione di 3 milioni di unità, malgrado la crisi del 2009, si ebbe una crescita di occupazione di 1,3 milioni (Tab 3). Di contro, nel successivo quinquennio, 2010-2015, con una immigrazione annua meno della metà del decennio precedente, si ebbe un consistente calo di occupazione . Il tasso di occupazione (rigo 4 della tabella 3) vera misura dello stato occupazionale è aumentato nel periodo di forte immigrazione e si è ridotto nel periodo di debole immigrazione. Per capire l’apparente paradosso bisogna ragionare sui dati demografici, rivoluzionati da più di 40 anni, cioè dal 1975 quando le nascite si sono dimezzate. Quali sono gli effetti della denatalità sul mercato del lavoro? Vanno in crisi settori economicamente poco competitivi in periodo di globalizzazione , aumentano fortemente gli anziani e peggiorano gli indici di anzianità (rapporto tra ultra sessantacinquenni e popolazione in età da lavoro), dati che decreterebbero il declino finale dell’Italia, se non fossero compensati dagli immigrati. Infatti l’Istat, nelle sue previsioni demografiche, prevede per alcuni decenni un flusso annuo di 150mila-200mila immigrati. Perchè gli stranieri salvano lavoro italiano? Perché se le concerie non chiudono grazie agli immigrati si possono continuare a fare scarpe e borse, etc.. In Abruzzo, in Puglia, in Emilia e Lombardia, in Campania e nel Veneto, agricoltura ed allevamento sono mantenuti in vita dagli immigrati. I quasi due milioni di badanti e colf stranieri consentono il lavoro familiare ad altrettante persone. In Sicilia senza il lavoro di migliaia di tunisini la più grossa flotta di pesca d’altura del Mediterraneo resterebbe in porto e migliaia di siciliani, comandanti, motoristi, venditori di pesce resterebbero senza lavoro. Nel C.Nord molte industrie, con lavori usuranti sopravvivono grazie agli stranieri, concerie, fonderie, alimentari, abbigliamento, pulizia, infermieri, alberghi, etc..
Tab 3 Italia, Immigrazione ed occupazione nel periodo 2000-2015 (000)
2000 2010 2015
1 Stranieri presenti 2.122 5.122 5.789
2 Occupati 21.595 22.873 22.500
3 Popolazione 15-64 anni 38.840 38.968 40.540
4=2/3 Tasso di occupazione 55,6% 56,9% 55,5%
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In Europa i paesi a più alto tasso di occupazione sono proprio i paesi con la più alta presenza di immigrati: l’Austria, col 17% ha un tasso d’occupazione del 72%, la Germania, col 15% ha un tasso d’occupazione del 74%, la G.B. col 13% ha un tasso d’occupazione del 72%, la Francia col 12% ha un tasso di occupazione del 65%, l’Italia, col 9% ha un tasso d’occupazione del 56%, pari a 4 milioni di posti lavoro in meno rispetto all’Europa- Anche senza voler stabilire una correlazione assoluta tra tassi di occupazione e presenza di lavoratori stranieri, tutti i dati dimostrano che una presenza significativa di stranieri che tendono ad occupare posti non coperti dai locali, o per disagio/pericolosità e/o per basso salario rende possibile mantenere in vita attività ed imprese “tradizionali”,che altrimenti scomparirebbero.
- L’ Italia come l’Impero romano, implosione per il calo delle culle.
Nel 2015 in Italia ci sono stati 653mila morti e 488mila nati, con un saldo negativo di di 165mila unità, che in sé non è un problema per un paese ad alta densità abitativa. Il problema nasce dal fatto che il saldo negativo viene da un meno 265mila persone 0-60 anni e più 100mila ultrasessantenni . E’ questo il problema dell’Italia che dal 2000 non cresce economicamente perché il buco demografico da natalità produce un invecchiamento rapido della popolazione con conseguente calo dei consumi e quindi del Pil. Anche l’Europa soffre gli stessi mali, infatti nel mondo è l’unico continente che riduce la popolazione e il suo Pil cresce meno di tutti gli altri continenti. I tre paesi più vecchi del mondo Giappone, Italia e Germania sono quelli che crescono meno, nel periodo 2000-2015 il Giappone dello 0,8% annuo, malgrado le politiche espansive del primo ministro Abe, l’Italia lo 0%, la Germania è andata un po’ meglio, il Pil è cresciuto nel quindicennio poco più dell’1% annuo, grazie ad una politica di immigrazione più robusta, che ha compensato, in parte, l’invecchiamento. Perché questo? Perché la domanda di una popolazione anziana è molto debole, ad eccezione della domanda sanitaria ed assistenziale. E il primo elemento da combattere per riavere un po’ di crescita (più dello zero virgola ma meno del 2%, che sul medio periodo non tornerà più nei paesi industriali) è quella di migliorare le prospettive demografiche e/o le immigrazioni necessarie. Per aumentare la natalità anzitutto bisogna ridurre la precarietà d’impiego. Un saggio dello storico francese Michel De Jaeghere sta mettendo in crisi le vecchie tesi sulla caduta dell’impero romano che, secondo molti storici, era stata ‘colpa’ del cristianesimo e che invece è da attribuire principalmente alla denatalità. Il libro ha aperto un dibattito in Francia sulle vere cause della crisi imperiale romana e soprattutto con le somiglianze all’Europa di oggi. Il libro, recensito tra l’altro in maniera entusiastica dall’accademico francese D’Ormesson, sostiene che la causa principale del collasso di Roma, passata da un milione di abitanti ai tempi di Augusto ai ventimila del V secolo, sia stata la denatalità, insieme ad altre cause, certamente, tra cui la trasformazione dell’élite romana da guerriera e militare a terriera e latifondista, più interessata ai piaceri che alla difesa dell’Impero, che considera comunque eterno. Ad un certo punto i romani capirono che la denatalità preannunciava il disastro dell’impero, tanto che cercarono di porvi rimedio con i pannicelli caldi, ad esempio vietando l’aborto ai loro schiavi. La misura non bastò certo ad arrestare il fenomeno e Roma passò in 4 secoli da un milione di abitanti sotto Augusto a ventimila nel V secolo. Il calo generale delle nascite ridusse le capacità militari e la sicurezza, da qui il fallimento dell’impero.
- L’odio razziale cresce quando è alimentato da movimenti e partiti xenofobi.
Da qualche anno la paura dei migranti, insieme alla crisi economica, spingono settori sempre più ampi di ceti popolari verso movimenti di destra populista. I migranti sono diventati il primo argomento con cui le destre fanno politica in Europa ma anche negli S.U.. Tutte le analisi mostrano che la diffusione di sentimenti anti immigrati nelle popolazioni, più che essere legata a dati oggettivi come il peso degli stranieri e il tasso di disoccupazione, è legata alla cattiva organizzazione dell’accoglienza e ai movimenti populisti che politicizzano il tema migranti. E’ sufficiente dare uno sguardo ai paesi europei con la più alta presenza di immigrati, Svizzera 29%, Austria e Svezia, 17%, Germania 15%, Spagna e G.B. 13%, per vedere come i sentimenti anti immigrati crescano nei paesi a forte presenza di movimenti xenofobi. Ad esempio la Spagna che non ha visto nascere un partito xenofobo è uno dei paesi europei che, pur essendo ad alta disoccupazione e ad alta presenza di immigrati, registra una diffusione di sentimenti xenofobi nettamente inferiore alla media europea; di più la Spagna, oltre ad essere il paese europeo che, rispetto alla popolazione, ha più Rom di altri paesi (500mila contro i nostri 180mila, 1% della popolazione contro il nostro 0,25%) è il paese che ha meglio risolto il problema, oggi il 90% dei Rom spagnoli vive in abitazioni individuali, il 50% è occupato e tutti i bambini sono iscritti alle scuole elementari . Osservazioni in parte simili possono essere fatte per la Svizzera, il paese europeo a più alta presenza di immigrati, 29%, che, anche se registra periodicamente qualche successo locale di referendum cantonali anti immigrati (il più recente in Canton Ticino), non ha mai messo in discussione le politiche nazionali di accoglienza. Il quadro è completamente diverso nei paesi dove prosperano movimenti di estrema destra che hanno rivolto contro i migranti i tutti i carichi di paure e insicurezza della crisi: Austria, Germania, Olanda, Grecia, Francia, Italia e Gran Bretagna, sono paesi dove i sentimenti anti immigrati crescono insieme ai voti dei partiti populisti, a prescindere dai dati su disoccupazione e presenza di immigrati.
Che fare?
Una grande mobilitazione culturale, a cominciare dalle scuole, dove i dati reali sui flussi migratori, sulle opportunità create dagli immigrati e sui reali costi-benefici, siano diffusi per contrastare le bugie dalla destra xenofoba.
Secondo, organizzare meglio l’accoglienza e il trattamento dei richiedenti asilo in attesa di dichiarazione di status ed immigrati irregolari, perché non si concentrino intorno alle stazioni di transito, Milano, Roma, Como, Ventimiglia, non vagabondino senza controlli nelle strade, siano diffusi soprattutto nei Comuni in via di spopolamento che sono il 50% dei Comuni italiani, e perché impieghino i tempi di attesa in qualche attività socialmente utile.
Terzo, che lo Stato assuma responsabilità dirette nella gestione dell’accoglienza, senza escludere il ricorso a microstrutture del terzo settore ma esercitando controlli puntuali e continui punendo esemplarmente i casi di corruzione e apportando modifiche alla Legge, ormai inadatta a favorire sia l’accoglienza umanitaria, per sua natura non selettiva, che la migrazione “utile” che per sua natura implica scelta e selezione.
- Quanti migranti stanno arrivando in Italia nel 2016?
Il 2016 forse sarà anno record per gli sbarchi, superando anche i numeri del 2014, 170mila, arrivando intorno ai 180mila ed anno record anche per i morti in mare, già oltre 4300 a metà novembre. Essi sono aumentati per il blocco della rotta balcanica – patto di Visegard dei quattro paesi dell’Est, Ungheria, Polonia, Cechia e Slovacchia in opposizione alle Delocations decise dal Consiglio europeo – e la fine delle fughe dalla Turchia, dove l’accordo UE-Turchia funziona, sia pure in spregio a tutti i valori di solidarietà e civiltà. Quanti sono i migranti assistiti nei Centri nazionali di accoglienza e nei Comuni che aderiscono al sistema Sprar? Sono 173mila, cui vanno aggiunti 22 mila minori non accompagnati, in totale quasi 200mila immigrati, rifugiati e richiedenti asilo. Di questi quasi 150mila sono alloggiati nei Centri di prima accoglienza, dai CARA ai CIE, Centri di identificazione ed espulsione, questi ultimi sono i soli Centri dove i migranti sono reclusi come carcerati, più volte denunciati come le soluzioni più incivili per i migranti. E circa 25mila migranti sono accolti nella rete di seconda accoglienza dello Sprar, cui aderiscono solo 2.200 Comuni. Di tutti questi circa il 40%, dati Viminale, ottiene la qualifica di rifugiato. Mentre l’Italia fa tutt’intero il suo dovere, bene quello di salvataggio e con molte pecche quello di accoglienza, l’Europa fatica: aveva promesso 40mila trasferimenti dall’Italia entro settembre 2017, sinora è a meno del 4%. Ai quattro paesi di Visegard che si rifiutano di aderire alle Delocations decise dal Consiglio europeo, la Commissione sinora ha rivolto solo parole e inviti, senza minacciare alcuna ritorsione come il blocco dei fondi strutturali. Unica eccezione ad Est è la Serbia, che dopo la costruzione del muro ungherese e dei blocchi confinari croato ed austriaco, ha assistito oltre 100mila profughi (su una popolazione di sette milioni) senza aiuti da nessuno.
- Accoglienza diffusa, metà dei Comuni italiani si spopola, il modello Riace
Sinora solo 2200 Comuni su 8000 hanno accettato di ospitare migranti, eppure il Censimento del 2011 aveva individuato ben 3.225 Comuni in via di spopolamento, diffusi su tutto il territorio,da Nord a Sud. I casi più riusciti di integrazione dei migranti sono realizzati dall’accoglienza diffusa, grazie alla quale molti Comuni-fantasma si stanno risollevando. Il caso più noto è quello di Riace, Comune calabrese di 1726 abitanti, di cui 400 stranieri, perfettamente integrati, tanto che il sindaco Domenico Lucano, citato dalla rivista Fortune tra i 40 uomini più importanti del mondo, è stato già eletto due volte. Negli anni novanta Riace, con soli 250 abitanti nel centro storico era un paese fantasma in via di estinzione ma oggi, dopo un primo sbarco di immigrati avvenuto nel 1998, il paese si è ripopolato ed è rinato, la popolazione del centro storico è raddoppiata, alcune scuole sono state riaperte e molti laboratori artigiani sono sorti, dando lavoro anche ai locali. Oggi il progetto Riace, che per anni non ha avuto sostegno pubblico, vive con i 35 euro previsti per ogni migrante dal Ministero degli Interni, di cui solo una parte va agli immigrati, ma impiegato dal Comune anche per la ristrutturazione delle case, gli stipendi degli assistenti, la borse lavoro. Il caso dimostra che con una gestione intelligente del Comune i 35 euro sono più che sufficienti e avvantaggiano tutta la popolazione, locali compresi. Ad oggi più di 100 immigrati sono usciti dal programma Sprar e sono autonomi. Riace è un modello esportabile? Si, a patto di rispondere con intelligenza sia alla migrazione “umanitaria” di rifugiati e perseguitati che alla migrazione “economica”, che vanno affrontati in modo diverso. Purtroppo in Europa sembra che solo la Merkel, ed in parte Renzi, abbiano compreso i termini del problema. La politica migranti decisa dall’Europa fa acqua da tutte le parti. La Delocation non funziona e l’accordo con la Turchia funziona ma non in termini di solidarietà e civiltà.
- Rottamare le bugie ed organizzare meglio l’accoglienza
A) Organizzare al meglio le politiche di accoglienza ed evitare che i migranti girino incontrollati per le strade impaurendo la gente, e fare in modo che siano impegnati nello studio dell’italiano e delle nostre leggi, svolgano lavoro retribuito in misura anche simbolica. Bisogna inoltre che l’accoglienza sia diffusa al massimo, anche con incentivi ai Comuni, soprattutto quelli in via di spopolamento, diffusi al Nord, al Centro ed a Sud.
B) Combattere con rigore il lavoro nero, di stranieri ma non solo, accusato a ragione, di deprimere salari e condizioni di lavoro degli italiani.
C) Informare meglio i cittadini sui vantaggi che gli stranieri portano al paese, non solo in termini di reddito e di contributi pensione, nettamente superiori alle cifre che ricevono come previdenza, ma soprattutto come imprese private e pubbliche che chiuderebbero senza stranieri, ospedali, allevamento, agricoltura, pulizia città, industrie alimentari, siderurgiche, tessili, edilizia, etc. senza contare il milione e mezzo di badanti straniere, di cui la metà in nero, che assistono altrettanti anziani e consentono a milioni di donne di recarsi al lavoro.
D) Varare una nuova Legge che tra l’altro cancelli il reato di clandestinità, preveda il permesso di soggiorno temporaneo per la ricerca di occupazione, reintroduca la chiamata diretta.
Nicola Cacace
23 Dicembre 2016 at 19:27
Bravissimo caro Nicola! sono assolutamente d’accordo; oltre ad essere un diritto di ogni persona quello di abitare dove ritiene, è anche conveniente alla nostra società italiana. Grazie per le argomentazioni stringenti che smentiscono tanto populismo e tanto razzismo. Valentino Bobbio