Quando una guerra è in corso, il primo compito di chi ama la pace è fermarla, anche se la pace non è un assoluto (lo dico anche ai pacifisti) perché ci sono tante paci ingiuste… La Russia non ha giustificazioni per la sua aggressione, ma l’Occidente ha la responsabilità di non aver fatto niente per creare una politica internazionale dignitosa, un quadro comune di riferimento
Desidero intervenire su due questioni: se e come è possibile finire la guerra in Ucraina e le difficoltà che incontrano le posizioni pacifiste.
Su entrambi i problemi, per la loro natura fondamentale, è bene essere seri, cioè, a mio parere, nel contempo idealisti e realisti: essere idealisti e realisti significa avere degli ideali e vedere nella situazione concreta la possibilità di far fare alla realtà anche solo un piccolo passo in avanti.
Veniamo all’Ucraina: sul terreno si combattono due eserciti, quello ucraino e quello russo, mentre americani, europei, NATO assicurano aiuti e armi all’Ucraina, ma non intendono intervenire, per non allargare la guerra a un livello incontrollabile.
Così stando le cose, il rapporto di forze sembra giocare a favore dei russi (che potrebbero sempre ricorrere ad altre riserve), anche se recentemente le armi più moderne in dotazione hanno consentito agli ucraini di aumentare le loro capacità offensive; non penso, sinceramente, fino al punto di cambiare radicalmente la situazione.
Si potrebbe, forse, arrivare a una situazione di stallo. Quando Stoltenberg, segretario NATO, dice che la guerra sarà lunga, può voler dire due cose: 1) che non ha un’idea su come si possa concluderla; 2) che sostanzialmente sposa una situazione duratura di stallo, dove si continua a sparare senza grandi progressi né dell’una, né dell’altra parte. Anche l’America sembra condividere questa tesi.
La guerra, oltre alle già ingenti sofferenze e distruzioni che ha causato agli ucraini, per via delle connessioni globali sempre più strette sta portando a conseguenze negative per tutti (crisi energetica e del grano, inflazione a livelli record) ed è difficile sapere fino a quando questo sarà sostenibile, soprattutto per i paesi più poveri.
Sarebbe serio da parte della comunità internazionale prendere in mano la situazione e cercare di promuovere uno sbocco alla crisi, perché la guerra in Ucraina va al di là del Paese e chiama in causa gli Stati più potenti.
Un qualunque accordo possibile domani non riguarderà solo i due paesi interessati, ma certamente la Nato, l’America, l’Europa e pertanto sarebbe bene prepararsi e assumere l’iniziativa, anche perché solo potenze internazionali possono fermare l’aggressione e dialogare con la Russia sui nuovi equilibri da stabilire.
Quando una guerra è in corso, il primo compito di chi ama la pace è fermarla, anche se la pace non è un assoluto (lo dico anche ai pacifisti) perché ci sono tante paci ingiuste; però a volte nelle battaglie occorre sapere fermarsi, perché continuare potrebbe portare a conseguenze più negative.
In Ucraina ci sarà un momento, un punto, in cui bisogna fermarsi: il mio augurio è che giunga presto.
Vengo al tema del pacifismo; concordo a riguardo con l’affermazione di Franco Monaco, fatta in un diverso contesto, in cui sosteneva che i cattolici italiani si dividevano tra coloro che avevano sposato un tranquillo “americanismo” e i pacifisti Ingenui.
Questi due estremi hanno un’origine comune: la mancanza da decenni di una politica internazionale degna di questo nome.
Politica internazionale vuol dire un accordo di equilibrio sulle armi, una condizione minima di giustizia nei rapporti economico-sociali, rispetto dei diversi Stati e delle diverse culture.
Nulla di tutto questo esiste oggi nel mondo: gli Usa fanno interventi militari per interessi nazionali provocando disastri; si sono rotti accordi che invece andavano aggiornati; si è lasciato il mondo alla mercè del peggiore liberismo allo scopo di arricchire i più ricchi.
La Russia non ha giustificazioni per la sua aggressione, ma l’Occidente ha la responsabilità di non aver fatto niente per creare una politica internazionale dignitosa, un quadro comune di riferimento.
Per questo in un periodo di crisi diventiamo “americani” (ci mettiamo sotto lo scudo del più forte, come hanno fatto Svezia e Finlandia) e i pacifisti parlano al vento, perché le loro parole non hanno senso se non esiste una comunità mondiale che li ascolti.
Una volta a Gerusalemme, con un gruppo della diocesi di Milano, abbiamo incontrato mons. Pizzaballa, cui si è rivolta l’immancabile domanda sulle possibilità di pace tra ebrei e arabi; la risposta è un insegnamento valido anche per noi: “Voi pensate alla pace come a un accordo tra enti e forze politiche, ma se gli ebrei e gli arabi si odiano, quale pace ci sarà?”
Per concludere, il compito primo per chi crede nella pace è contribuire a costruire una politica internazionale degna di una comunità mondiale; dunque, quello che attende i pacifisti non sarà certo un lavoro tranquillo, ma un duro impegno di trasformazione di strutture, di politiche, di persone.
Sandro Antoniazzi