di Paolo Landi
Sono tanti i contributi che in questi mesi (soprattutto con il centenario della nascita) hanno avuto modo di citare il pensiero e le attività di don Lorenzo Milani. Lo ha fatto – girando l’Italia in lungo e in largo – uno dei cosiddetti “ragazzi di Barbiana”, spesso ospitato da scuole, associazioni, gruppi parrocchiali, con tanti giovani ascoltatori attenti. Molte sono le cose dette, e da ribadire, perché si diffondano le idee e si capiscano meglio.
Molto si è scritto su don Milani riferito alla scuola, la Lettera a una Professoressa, su tutto. Meno nota è la Lettera ai Giudici, un vero e proprio trattato di etica e politica, a cui si aggiungono i numerosi insegnamenti profusi attraverso le lettere personali.
Proviamo quindi a conoscere il don Milani educatore di etica e politica, passando in rassegna alcuni dei suoi insegnamenti. Anche sui temi del sociale e della politica emerge sempre il suo modo di porsi che è quello dell’educatore, di un “fustigatore di coscienze” che usa un linguaggio forte e radicale per far prendere coscienza, senza dare ricette e lasciando ai diretti interessati la scelta di soluzioni concrete.
Uscirne insieme è la politica, uscirne da soli è l’avarizia
In questo grande insegnamento riferito alla politica c’è il richiamo alla solidarietà, al prendere coscienza di una condizione di un problema, elaborare delle proposte, organizzare il consenso per raggiungere, con l’impegno personale e collettivo, l’obiettivo di “uscirne insieme”. Insegnava che quando si sa di fare una cosa giusta, anche se è rischiosa, questa si deve fare senza chiedere l‘autorizzazione al superiore. In altre parole: assumendosi sempre le proprie responsabilità.
La politica intesa come servizio per il prossimo
Il “prossimo” era la parola che don Lorenzo utilizzava, rispetto a ciò che altri chiamavano “classe”. Il prossimo richiama un concetto evangelico, basato sull’amore; la “classe” richiama un concetto ideologico, divisivo, e spesso riferito a interessi economici e di potere.
In uno scritto per la rivista II Borghese spiega come nelle varie epoche storiche, la gran parte dei cittadini, (eccetto coloro che sono al vertice o alla base della piramide sociale) è allo stesso tempo oppressa e oppressore, per evidenziare un limite anche sociologico del concetto di classe.
Nella lettera ai ragazzi di Piadena la parola “prossimo” viene utilizzata per spiegare la specificità della scuola di Barbiana: «a poco poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolare: non c’è né voti, né pagelle, né il rischio di bocciare … ma ci restava da fare ancora una scoperta: anche amare il sapere può essere egoismo … il Priore ci propone un ideale più alto: cercare di sapere solo per usarlo al servizio del prossimo.
Per don Milani la politica era sempre riferita ad un concetto nobile: la politica come servizio per il prossimo, per la collettività, mai era utilizzata per indicare corruzione, clientelismo, interessi corporativi; questi sono una distorsione, una aberrazione, l’esatto opposto della politica.
Leggi giuste e leggi sbagliate
Il criterio per capire se una legge è giusta o sbagliata lo spiega nella Lettera ai giudici. Avrebbe voluto che nella scuola fosse insegnato il tema della legalità, definita: l’arte di condurre i ragazzi su un filo di rasoio, da un lato insegnare ai ragazzi Il senso della legalità cioè il rispetto delle leggi, e dall’altro la possibilità di leggi nuove, cioè il senso politico.
Per leggi giuste, don Milani propone un criterio semplicissimo, sono quelle che rappresentano la forza del debole e dell’oppresso, al contrario sono leggi sbagliate quelle che Non sanzionano il sopruso del forte. E, in ogni momento che viviamo, ci sono leggi buone da difendere e leggi sbagliate da cambiare.
La parola e la testimonianza come “la leva delle leve” del potere
Per cambiare una legge, scrive ancora nella Lettera ai Giudici, la Costituzione prevede lo strumento del voto a cui affianca il diritto di sciopero, come strumento di pressione sul legislatore. Ma don Milani va oltre agli strumenti costituzionali del voto e lo sciopero, per richiamare la “forza della parola”. La parola è la chiave che apre ogni porta. Poi precisava che alla gente con le parole non gli si fa nulla, se in aggiunta alla parola non c’è anche l’esempio, la coerenza, la testimonianza, considerati da don Milani; “la leva delle leve del potere”.
La povertà dei poveri non si misura a pane, casa, caldo ma sulla cultura e sulla funzione sociale.
Per don Milani l’ingiustizia sociale era considerata una bestemmia. Ad un regista francese che stava preparando un film su Gesù suggeriva che quando gli spettatori usciranno dal cinema debbono avere la sensazione che Gesù è vissuto in un mondo triste come loro, e come il loro ha vissuto l’ingiustizia come una bestemmia e come loro si è battuto per un mondo migliore. Le disuguaglianze, quindi, non si misurano solo sul benessere; la povertà economica non è l’unico metro per valutare l’ingiustizia. In Lettera a una Professoressa denuncia l’ingiustizia riferita alla funzione sociale, quella di un Parlamento e delle segreterie dei partiti, monopolizzati dal “partito dei laureati”, persone che nella loro vita non hanno mai vissuto i problemi che sono chiamati a risolvere.
Le cariche non sono onori alla persona
In una lettera al Vescovo spiega anche la sua concezione delle cariche: «Dare, togliere, accettare e tenere le cariche come se le cariche fossero solo onori alla persona, problemi di carriera e non luoghi di servizio per i quali non si può pensare di servire senza una specifica competenza».
Don Lorenzo rifuggiva il populismo, la demagogia, la superficialità, era molto rispettoso della competenza e della esperienza. Su molti argomenti invitava a Barbiana amici per approfondire un certo argomento e approfittava sempre delle “competenze” che venivano in visita a Barbiana.
Un aneddoto personale. Quando partii da Barbiana per andare a Milano a fare il sindacalista, mi diede un paio di consigli: «Mai seguire la demagogia. La demagogia porta facili consensi ma non risolve mai un problema. Un dirigente è chiamato a risolvere i problemi e se questo rincorre la demagogia o la superficialità, non sarà mai considerato un dirigente».
Un secondo consiglio fu quello di tenere la bocca chiusa per un anno: «ascolta, impara, fai domande ma se ti viene di intervenire morditi la lingua. Dopo un anno se sei in una riunione e non condividi le cose dette, devi avere il coraggio di intervenire, dire le tue ragioni e le tue proposte, non devi restare zitto».
Consigli contro peccati che oggi sono molto diffusi, come la superficialità, la demagogia, la non assunzione di responsabilità, nella classe politica e di governo.
Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto fare le parti uguali fra disuguali.
Un principio che don Milani richiama in Lettera a una Professoressa, per ricordare agli insegnanti che la Costituzione impegna la scuola a rimuovere gli ostacoli e non a utilizzare gli ostacoli per bocciare, emarginare e allontanare dalla scuola i ragazzi più poveri. Un problema quello della dispersione e abbandono scolastico, tornato a essere grave con il Covid, la crisi e l’immigrazione non accolta. Ma anche nella politica sociale/fiscale. Il fare misure uguali fra disuguali rappresenta una ingiustizia, perché contribuisce ad aggravare le disuguaglianze tra ricchi e poveri.
Gli esempi sono numerosi, si pensi alla politica dei numerosi bonus elargiti dai vari governi, si pensi alle proposte sulla flat tax, una scelta questa, in contrasto con la stessa Costituzione.
I diritti possono diventare privilegi
I diritti, negli insegnamenti di don Milani, erano concepiti come il risultato di conquiste che hanno richiesto impegno, sacrificio e lotte da parte delle generazioni che ci hanno preceduto. Da qui la difesa di un diritto che cammina di pari passo con il dovere di difenderlo da ogni abuso. Occorre essere consapevoli che anche un diritto può diventare privilegio, quando a beneficiarne è una minoranza, o quando il suo costo è scaricato su un “prossimo” più povero ed emarginato.
Inoltre, a ogni diritto corrisponde un dovere. Al diritto ad un salario corrisponde al dovere di concorrere a creare la ricchezza. Al diritto alla previdenza, malattia o pensione, corrisponde il dovere di contribuire ad accantonare il risparmio necessario. Al diritto al voto corrisponde il dovere di difendere la democrazia,e la libertà. Al diritto di godere dei servizi dello Stato, corrisponde il dovere di concorrere con le tasse al loro costo. Se viene meno questa specie di equazione, i diritti finiscono per essere privilegi di pochi, o carta straccia perché destinati a non durare e decadere per insolvenza o default.
Don Milani nel suo far scuola di etica e politica non partiva mai dai diritti e doveri, ma dalla specifica condizione in cui ognuno vive, dalle possibilità di riscatto attraverso l’impegno individuale e collettivo, dalla volontà di concorrere a creare ricchezza con il proprio lavoro e intelligenza
Da qui una concezione della politica e del sindacato basata sulla dignità del lavoro e la solidarietà intesa come lotta contro le disuguaglianze. Da qui il rifiuto di un sindacato o di un partito che “difende” interessi e poteri corporativi, che ricerca il consenso sull’assistenzialismo e clientelismo rispetto a politiche attive per il lavoro, che responsabilizzano i diretti interessati. È un don Milani contro una scuola facile, così come è contro un lavoro deresponsabilizzante.
Il come bisogna essere: l’I CARE.
Sono i due concetti che insieme racchiudono gli insegnamenti del don Milani educatore di etica e politica.
I CARE: inteso come (mi sta a cuore, mi interessa, mi impegno, sono responsabile, mi occupo di te, nessuno deve rimanere indietro); il come bisogna essere: inteso come persona che s’impegna e rischia là dove vive, per cambiare il lavoro, la scuola, la società. In ogni occasione ci possono essere decine di alibi per giustificare la nostra passività: è colpa del sistema, della legge, della mancanza di risorse ecc.
La lezione di don Milani era: «rimboccarsi le maniche per cambiare il sistema e non aspettare che sia il sistema a cambiare noi».
Un invito valido anche per le difficoltà vissute nella Chiesa, dovute ad un malcelato concetto di obbedienza verso la gerarchia. Scriveva in una lettera al vescovo: «quando un figlio diventa adulto e vede il padre sbagliare, ha il diritto il dovere di dire al padre che sbaglia … Se non lo fa per opportunismo o carrierismo è grave e ancora più grave se a farlo è un prete». Per don Milani: «La fede non è qualcosa da infilare alla prima occasione nei discorsi, ma un modo di vivere e di pensare».
Don Milani profeta educatore
Don Milani per i suoi insegnamenti si può considerare un educatore del mondo, con Lettera a una professoressa, è stata pubblicata in oltre 20 paesi; tradotta in russo cinese e arabo; con la Commissaria Von der Leyen che propose l’I CARE come motto per un Rinascimento Europeo.
Tuttavia occorre ricordare che l’ impegno di don Milani era rivolto ai 20-25 ragazzi che frequentavano la scuola di Barbiana e a 60-80 giovani della Scuola Popolare di San Donato. Questo per ricordare a tutti noi che il nostro “segno”, la nostra “impronta” la dobbiamo lasciare là dove lavoriamo, viviamo, amiamo e preghiamo. Questo concetto lo spiega bene nella lettera a Nadia Neri: «Non si può amare tutti gli uomini … Ma non si può amare nemmeno una classe sociale se non potenzialmente. Di fatto si può amare solo un numero di persone limitato, forse qualche decina, forse qualche centinaio. E siccome l’esperienza ci dice che all’uomo è possibile solo questo, mi pare evidente che Dio non ci chieda di più».
La sua grandezza è d’aver parlato al mondo con pochi scritti e con un’esperienza e testimonianza concreta: la scuola di Barbiana.
Ai cappellani militari che invocavano una patria come divisione del mondo tra italiani e stranieri rispondeva: «nel vostro senso io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dell’altro. Gli uni sono la mia patria gli altri i miei stranieri». Questo per ricordare che a monte di tutta la sua esperienza e testimonianza c’era una scelta precisa verso il “prossimo” i più deboli e gli oppressi.
Nell’era dei social, dell’intelligenza artificiale, i suoi insegnamenti così semplici e dirompenti, restano di grande attualità e sono una grande risorsa per tutti coloro impegnati nel sociale. Il centenario della nascita sia l’occasione per rileggere i suoi scritti.
8 aprile 2023