I cattolici democratici e la terza via social-liberale

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A proposito dell’incontro di Paestum

 

La lettera di Nico Fornasir a proposito di Paestum,  ha sollecitato interventi. Provo ad inserirmi anch’io poiché la sua provocazione ritorna spesso. Ho letto le risposte di Formigoni e Monaco, assieme a quelle di Stefano Ceccanti e Paola Gaiotti. Condivido tutto. Tranne qualche dubbio su Ceccanti che chiarirò. Non vedo neanche io spazi politici per il cattolicesimo democratico. Confesso che li ho auspicati sino a una decina di anni fa. Ma a partire dalle esperienze uliviste e soprattutto “margheritine”, mi sono reso conto che non era più il tempo di una sua presenza organizzata. Nelle parole di Fornasir ho invece percepito, ben coperta da seria argomentazione, una certa nostalgia unitaria separatista che gli fa onore. Ma che oggi è superata dalla storia: sentirsi diversi non è sempre una buona cosa… molto meglio con-dividere con altri, senza conservare gelosamente per sé!

E’ stato già detto e ripetuto. Stare da cattolici democratici nella sfera politica ai nostri giorni, può (e a mio avviso deve) solo significare avere la possibilità di alimentare una tradizione ideale e culturale di tutto rispetto. La quale, guardando bene, per le misteriose “mescolanze” e “contaminazioni” che caratterizzano le “onde lunghe” della storia, è ormai in un certo modo patrimonio politico comune a culture politiche di altre radici. Specie di quelle che vogliono definirsi di sinistra posizionate sulla triade eguaglianza/giustizia/libertà… con al centro lo stare insieme nella socialità dei rapporti interpersonali. Dunque, una testimonianza culturale comunitaria. Attraverso quei Cantieri” proposti esattamente due anni fa da Guido Formigoni, o ricorrendo a “Forum periodici” auspicati anche qui molto tempo addietro da Giorgio Campanini per offrire l’opportunità dell’incontro e del confronto di idee, oggi in mano alla buona volontà francescana del coordinamento C3Dem. Ben sapendo tuttavia che per la sua specificità il cattolico democratico ha la fede alle spalle che lo porta a “leggere i segni dei tempi” e le epocali  trasformazioni in atto, con quel dialogo col mondo per il cui esercizio un approccio fenomenologico potrebbe aiutare. Quell’approccio cioè che non dà niente per scontato. Che ci fa intuire il futuro e nello stesso tempo ci aiuta a sospendere il giudizio inserendo dubbi nelle nostre certezze. E che, una volta guidati dalla nostra coscienza cristiana, ci fa mettere tra parentesi le nostre precedenti convinzioni, senza per questo farci cadere nel relativismo assoluto, ma alimentando dal basso dei nostri mondi vitali e comunitari la disponibilità a leggere senza pregiudizi i cambiamenti oggi in mano alla scienza-tecnica e alla globalizzazione.

Mi soffermo ancora un poco sulla terza via.. social-liberale di Stefano Ceccanti le cui competenze storico costituzionali, assieme al suo rigore analitico non ho mai messo in dubbio. Non è solo a voler declinare un liberismo di sinistra con dentro elementi di socialismo. Il tentativo è antico. Non ho letto il loro libro ma recentemente lo hanno tentato anche Alesina e Giavazzi, scatenando precisazioni e prese di distanza. A Ceccanti vorrei solo suggerire che sul piano della coerenza non è però un buon liberale colui il quale non mette al centro del suo stile di vita prima le sue libertà e solo dopo il sentirsi uguale agli altri; prima se stesso e solo dopo il resto; prima la sua “felicità” e solo dopo quella degli altri. Diciamolo brevemente: la filosofia politica del liberale è sempre fortemente sospettosa del collettivo, sia esso lo Stato, sia esso il partito politico, sia esso un condominio. Guarda sempre all’individuo (isolato), motore del mondo, e ai suoi interessi privati: “…Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dalla cura che essi hanno per il proprio interesse.”  Siccome non è questa la sede per parlare del marxismo, abbiamo però da fare con una antropologia lontana mille miglia da quella cristiana del dono e dell’accoglienza. Del disinteresse e del servizio. Ci scontriamo con un individualismo alla base di libere azioni “inintenzionali”. Senza contesti sociali e culturali esterni, senza categorie collettive. Un individuo che va lasciato totalmente libero sino al punto di comprarsi le armi che vuole e dove vuole – non dimentico che un “liberale” italiano lo aveva proposto anche per il nostro paese – come sostengono i liberisti cattolici tea party Usa del partito repubblicano, contro cui il presidente Obama sta lottando inutilmente. Domandare dunque ad un liberale autentico cosa è lo Stato, a rigore potrebbe significare offenderlo. Meno Stato c’è, più libertà individuali ci sono e più liberalismo si diffonde. Più si conferisce senso alla società, più il vero uomo liberale si sente costretto, legato e imprigionato. E anche se si è sempre creata ad arte una confusione tra Stato e statalismo, e tra assistenza e assistenzialismo, sono visioni del mondo che, da Sturzo in poi, il cattolicesimo democratico non ha mai digerito. Capisco che ho tirato un poco la corda e che liberali come Sturzo e Einaudi la pensavano diversamente. Ma convincere un vero liberale che l’individuo isolato è un non senso sociologico, e che la persona è un ente relazionale che necessita dell’altro per riconoscere la sua stessa identità, significa convincerlo che una ragionevole presenza dello Stato, nel welfare, nella sicurezza, nella istruzione, nella sanità, nel fare pagare le tasse, non è una fissazione della cultura della beneficenza cattolica, ma una esigenza del vivere insieme. Non solo per tutelare i diritti dell’uomo e la sua dignità, ma anche –aggiungo- per l’economia di mercato e per la libera concorrenza. Stabilendo tuttavia regole certe e collocando semafori ben visibili con molti vigili di guardia in quegli incroci intasati dove confluiscono le libertà individuali e le tante sacche di povertà. Oggi più che mai necessari di fronte al libero mercato finanziario, “mano invisibile” del nuovo capitalismo padrone del mondo, che nessun social-liberismo si è dimostrato sinora all’altezza di contrastare.

Nino Labate

 

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  1. Scusatemi, ma resto aggangiato al cattolicesimo sociale e popolare e non mi piace molto il social -liberale. Credo che il popolarismo sociale pur accettando alcuni elementi del liberalismo , sia nettamente contrario alla sua declinazione liberista riformista che va di moda oggi e che si può rintracciare nella filosofia di fondo che sembra orientare il “patto di stabilita”. Continuo a pensare che oggi serva un pensiero che ci porti oltre il pensiero unico del liberismo e dell’accettazione quasi “naturalistica” del modello economico oggi in auge.

  2. ma la terza via social-liberale si alimenta anche della sensibilità sociale non statalista delle chiese cristiane, a cominciare dal socialismo cristiano inglese in cui si sono affermati John Smith e Tony Blair, dal pensiro liberal dei democratici Usa che ha attinto a Murray e al filone Delors-Esprit civique..l’Italia non è concepibile come un’isola

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