I cattolici nei partiti

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La questione romana (o cattolica) è ancora attuale. Sembra una maledizione: tutte le questioni in Italia iniziano, ma non si risolvono mai: la questione meridionale, la questione comunista sono questioni irrisolte e sono sempre lì a determinare progetti e polemiche. La questione romana è nata con la presa di Porta Pia e ha accompagnato 150 anni di storia che racconta l’unità d’Italia e le diverse modalità di apporto dato dai cattolici: dal non expedit, al Patto Gentiloni, alla Democrazia Cristiana, ai cattolici democratici, alla diaspora dei cattolici nei diversi partiti del panorama politico italiano, fino ai nostri giorni con gli appelli del Papa e del card. Bagnasco per una presenza dei cattolici in politica.

Che significato attribuire a questi ‘appelli’? È la sconfessione dei cattolici attualmente impegnati in politica? È l’esortazione a ri-costituire un partito dei cattolici? È il richiamo ai cattolici ad impegnarsi con coerenza in politica? Forse è un po’ di tutto questo a giudicare dalle diverse interpretazioni date (e sussurrate) da alcune personalità politico-cattoliche. La presenza dei cattolici in tutti i partiti oggi è un dato di fatto e non sembra che sia messo in discussione. Il problema però riemerge quando si tratta dei cattolici presenti nelle file del Partito Democratico. Fino al punto che le sparute defezioni e trasmigrazioni avvengono, per questo motivo, solamente dal Partito Democratico ad altri partiti. Ci sarebbe da chiedersi, come mai tali fenomeni non si verificano da altri partiti verso il PD o anche verso partiti differenti? Nel PDL e nell’UdC, tanto per fare degli esempi, non avvengono passaggi simili, non esistono crisi di identità. Più avanti si potranno esaminare i motivi di tale ‘indefettibile’ fedeltà.

Rimaniamo al PD, dove è presente una consistente schiera di cattolici, alcuni dei quali magari con qualche sofferenza, tale da far temere o sospettare eventuali ulteriori ‘passaggi’, rendendo così definitivo (si spera) l’assestamento dei cattolici nel PD. Il problema si pone per tutti gli aderenti al partito: sia per i cattolici sia per i provenienti dalla famiglia ‘comunista’-Pds-Ds. Per la maggior parte di quelli delle due provenienze la questione però non presenta carattere ultimativo (almeno si spera e così pare). Per gli altri pochi ‘sofferenti’ probabilmente si pone una questione di ‘maturità’, oltre che di “quote” e di “rappresentanza”, di conseguimento di una maturità laica. La laicità però riguarda tutti: non solo i cattolici provenienti da una ‘chiesa’ e da una esperienza religiosa e associativa; ma attiene anche a coloro che in qualche modo hanno avuto precedenti di appartenenza a movimenti/partiti ideologicamente connotati.

La laicità è una forma di liberazione mentale da dipendenze fideistiche (non di fede!) che conducono a prassi e a comportamenti ‘assoluti’ e ‘assolutistici’, illiberali e, alla fine, non democratici. La tentazione di una ‘ricaduta’ all’indietro esiste per tutti. Ma non fino al punto da divenire minaccia ricorrente di divisioni. L’esempio dell’esperienza dei cattolici democratici potrebbe (dovrebbe) essere paradigmatica per tutti, cattolici e, come dire?, ex-comunisti. Certo, ci vorrà del tempo perché le incrostature ideologiche cadano dalla mente e dalle abitudini di ognuno. Ma un partito democratico non esige per nessuno il lavaggio del cervello o la riduzione di esso all’ammasso. Ciascuno rimane con la propria fede, le proprie visioni di vita, ma rispettando i convincimenti altrui e concorrendo ad un reciproco apprendimento e arricchimento per le decisioni politiche da prendere.

L’impegno comune, di tutti, è accompagnare il processo democratico, favorire la crescita della democrazia e adoperarsi perché tutti i cittadini siano messi nella condizione di partecipare. In questa ottica, né i cattolici per gli ex-comunisti, né questi per i primi, costituiscono un problema, ma sono risorsa gli uni per gli altri. La crescita per un percorso di laicità riguarda gli uni e gli altri e le pluralità di visioni devono riguardare semmai la scelta dei mezzi e delle forme di interventi nella società, e la forma di partito democratico, il PD, deve consentire il raggiungimento della ‘sintesi’ da tutti condivisa.

In una società laica e democratica non esistono valori non negoziabili: la non-negoziabilità attiene alla coscienza e alla coerenza della singola persona che la esprime in quella che, in occasione del voto, si chiama libertà di coscienza. L’eventuale accoglienza del “valore non-negoziabile” da trasferire nelle decisioni politico-pubbliche genera divisioni. Forse è questo il problema che, nei tempi moderni, rilancia la questione romana, che diviene questione cattolica. Negli altri partiti il problema dell’essere ‘cattolico’ non si pone, nel senso che la soluzione è collocata ‘a monte’. Nel partito dell’UdC e in quello del PdL sembra esserci una coincidenza tra la forma e le manifestazioni di partito e l’appartenenza alla comunità cattolica: è vero che nell’uno e nell’altro possono esserci cattolici e non cattolici, ma l’atteggiamento dei primi è sostanzialmente appiattito nei confronti della gerarchia e del mondo cattolico considerandolo interlocutore privilegiato, ricevendone esplicito riconoscimento e divenendone ‘riserva di consenso’. Ciascuno dei due partiti, UdC e PdL, ha ‘interessi’ diversi: una sorta di rappresentanza (partito cattolico) per il primo, uno scambio di ‘legittimazione’ reciproca per il secondo. Verso l’uno e verso l’altro c’è il corrispettivo di “indicazione di voto” da parte delle gerarchie ecclesiastiche variamente espresso e temporalmente distribuito.

I ‘cattolici’ dell’UdC ‘sposano’ i temi proposti dalla gerarchia, senza ‘se’ e senza ‘ma’, per una sorta di reverenza e di fedeltà tradizionale, incuranti del “discorso pubblico” e delle esigenze della società moderna, facendole coincidere ‘in unum’ con le pur legittime convinzioni personali. In altri termini, per i cattolici dell’UdC i temi della bioetica e i valori ad essi connessi sono non negoziabili e indiscutibili: di fatti all’interno del partito non c’è discussione intorno a tali temi. Gli interessi dei ‘cattolici’ del PdL invece sono esplicitamente di più immediata ‘consumazione’: la difesa dei privilegi delle istituzioni ecclesiastiche (scuole cattoliche, ospedali e cliniche cattoliche, esonero del pagamento dell’IMU, e altri benefits) sono a un tempo merce di scambio e coincidenza di interessi (economici) di parte. Si spiega così la partecipazione militante e massiccia di Comunione e Liberazione nel partito del PdL. Sarebbe utile sapere se ci siano militanti di CL anche in altri partiti! Le ‘tesi’ dei cattolici del partito sono inoltre condivisi e militarmente difesi, per motivi di potere e strettamente ideologici, da soggetti non credenti e, quindi, non cattolici. Si spiegano così le posizioni assunte da ex socialisti-laici e da ex radicali-laici militanti nel partito di Berlusconi. Per i cattolici dei due partiti, al netto delle convinzioni politiche personali, sembra non porsi il problema della laicità, intesa come caratteristica distintiva dei cattolici adulti a prescindere dalla militanza partitica. La partecipazione e l’impegno dei cattolici nei differenti partiti non sono uguali per tutti. Il PD, da questo punto di vista, potrebbe rappresentare un punto di riferimento per i ‘cattolici comuni’, avere un appeal estraneo agli altri partiti e divenire allo stesso tempo una “scuola” di democrazia, comune alle due componenti di storica provenienza, DC-Popolari e comunisti-PDS. Occorre tempo e pazienza, ma il percorso sembra irreversibile.

Salvatore Rizza

(Univ. Roma Tre)  

 

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