I cattolici nella politica e nella società italiana

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E’ uscito in questi giorni sul numero di luglio-agosto 2012 di “Appunti di cultura e politica” un ampio articolo di Angelo Bertani che fa il punto sul dibattito aperto da Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera intorno alla presunta irrilevanza dei cattolici nella politica e nella società italiana. Lo pubblichiamo integralmente (tranne le note, ma molti articoli che Bertani cita sono rintracciabili su questo sito, nel dossier Cattolici e politica).

 

Si è (ri)aperto il dibattito  sulla “irrilevanza” dei cattolici nella politica e nella società italiana. La pietra è stata (ri)lanciata con vigore da Ernesto Galli della Loggia (Corriere della Sera, 24 giugno) . Per la verità non è una denuncia  nuova e neppure molto chiara sia nelle premesse che nelle conseguenze. Negli scorsi anni sembrava esser  partito di lì anche il “progetto culturale della Chiesa italiana”. Si fondava su questa denuncia  l’attivismo ciellino, la nostalgia del potere democristiano e/o di quello clericale.

L’idea di fondo, per alcuni,  è sembrata essere:  i cattolici contavano quando avevano un partito di maggioranza e potevano imporre leggi e costumi secondo il loro punto di vista. E gestivano non solo il potere politico ma anche quello economico, la cultura, il costume. Oggi invece, secondo alcuni … non contano più nulla.

All’articolo di Galli della Loggia ha fatto seguito sul Corriere tra giugno e luglio una quantità di pregevoli  interventi fra i quali Dario Antiseri, Agostino Giovagnoli, Giuseppe De Rita e Luca Diotallevi, Andrea Riccardi, Vittorio Possenti, Roberto Mazzotta, Virginio Rognoni… che comunque testimoniano l’attualità del tema e le diverse sensibilità e risposte che suscita.  

L’argomento viene affrontato anche da Giorgio Campanini (Appunti, maggio-giugno 2012) che fa riferimento ai due saggi di padre Bartolomeo Sorge e di Franco Monaco (Aggiornamenti Sociali, n. 2/2012). Campanini riconosce i limiti e le ambiguità della strategia di “riaggregazione” esemplificata negli incontri di Todi e tuttavia ribadisce che è strategico e decisivo trovare (o costruire) dei luoghi d’incontro, di dialogo e confronto tra i cattolici. Quelli che ci sono  funzionano poco ed hanno dei limiti di natura o di organizzazione. Il dibattito intraecclesiale non brilla per originalità; e il confronto sui problemi che toccano la polis e le scelte temporali non brilla per libertà, tanto che Campanini suggerisce elegantemente che nei luoghi di confronto fra cattolici sulle più urgenti tematiche sociali “sembra augurabile che l’episcopato sia un attento osservatore più che un diretto protagonista”.

Anche i due quotidiani che fanno riferimento al Partito Democratico hanno reagito, in particolare con gli interventi di Claudio Sardo sull’Unità e di Franco Monaco su Europa.  A Galli della Loggia che parlava di “cattolici” in senso generico, Monaco risponde: “I cattolici in senso proprio, cioè non in senso genericamente sociologico-anagrafico, ma quelli consapevoli e formati, rappresentano una minoranza nella società italiana. E, di più, una minoranza, come si è osservato, politicamente divisa. Come è naturale che sia. Se le cose stanno così, c’è da chiedersi se essa (meglio: esse, al plurale) sia effettivamente irrilevante. Talvolta mi chiedo se non sia l’esatto contrario: a dispetto del menzionato luogo comune, i cattolici, in politica, contano più di quanto essi non contino nella società, nelle professioni, nell’economia, nella cultura. Basti scorrere i nomi di coloro che hanno responsabilità nei partiti e nelle istituzioni”.

Anche Claudio Sardo propone una analisi acuta e non infondata:  “La presenza cattolica nella società è multiforme. Subisce anch’essa l’offensiva individualista e il deterioramento delle reti di solidarietà, tuttavia in molti luoghi sono gruppi cattolici, o gruppi laici di cui fanno parte tanti credenti, a testimoniare che la solidarietà è possibile e a consentire alla società di resistere un po’ di più a questa crisi drammatica. Ciò non basta ancora ad esprimere una cultura politica degna di questo nome? Può darsi. Ma l’impressione è che al professor Galli della Loggia non interessi tanto la capacità dei cattolici di reagire al paradigma individualista dominante, e dunque di promuovere una cultura condivisa, un umanesimo integrale, capace di superarlo. La sua delusione sembra nascere da una ragione tutta politica: a suo giudizio, i cattolici italiani avrebbero dovuto adottare il modello della Cdu tedesca, cioè ricomporre una sostanziale unità a destra, rimpiazzare Berlusconi, riempire con un po’ di dottrina sociale e un po’ di rigore sui temi etici la scatola oggi vuota della cultura conservatrice”.

Tuttavia Galli della Loggia precisava che a suo giudizio l’irrilevanza dei cattolici “non è la mancanza di voti, organizzazioni, prese di posizione e ruoli di potere. È la mancanza di idee e di spirito, cioè quelle cose che dovrebbero essere loro proprie”. La precisazione è opportuna. Ma la constatazione è vera?  E soprattutto: con quali criteri si giudica la presenza o l’assenza “di idee e di spirito”? e che cosa è possibile immaginare e poi fare per superare l’attuale situazione?

Galli della Loggia precisa: “Se il sistema politico non ha bisogno di un partito cattolico, viceversa di una voce cristiana, e dunque anche cattolica, di una politica alta che rechi il segno di quell’ispirazione, l’Italia ha sicuramente bisogno”.

Su questo punto non si può che convenire, anche se possono restare diversi i criteri con i quali  identificare una “voce cristiana”. Certo si tratta di costruire – anche attraverso una testimonianza religiosa – una cultura civica, rafforzare un insieme di valori pubblici, costruire disposizioni d’animo  collettivo orientate al bene comune.

Ma è vero che “il silenzio cattolico è tanto più alto nelle cose che sono fuori, oltre e sopra la politica”?  Certo vi è una parte di verità (e qualcuno dovrebbe far esame di coscienza).  Ma è anche vero che le voci di ispirazione cristiana e cattolica (magari non quelle più valorizzate dalla struttura gerarchica e dai media ufficiali della Chiesa) sono tra le più frequenti e più forti nel contestare (ieri ed oggi) i limiti di una politica, una comunicazione, una cultura subalterne al consumismo, al “neo” capitalismo, al sistema di potere costituito. Ed è vero che il cattolicesimo organizzato è oggi forse un po’ meno vivace che in alcuni momenti del passato, ma resta una delle voci più creative e libere e critiche nell’arena culturale e morale del paese. Anzi: la sua apparente “irrilevanza” è spesso decisa e imposta dalle grandi centrali del potere costituito (laico e talora ecclesiastico).

Il tema della “presenza” dei cattolici sulla scena culturale e civile del Paese è stato ripetutamente rilanciato anche in occasione dei due “incontri di Todi”, realizzati sotto il mantello episcopale per iniziativa, pare, delle  organizzazioni cattoliche impegnate nel campo economico e sociale. C’è inoltre una vivacità “molecolare” di gruppi, associazioni, persone e movimenti (non ultima la neonata  c3dem, la Rete tra cattolici e democratici che si ispirano alla costellazione orientatrice “Costituzione-Concilio-Cittadinanza”).

La crisi di oggi tuttavia non è solo crisi della presenza cattolica, ma i tutte le sorgenti culturali e morali. Molte cose stanno cambiando e l’antica, collaudata gerarchia di valori va spesso in crisi (e talora non senza un giustificato motivo).  La crisi è anche sociale, ma soprattutto culturale. Negli scorsi decenni c’erano stati segni interessanti sebbene incompiuti: il Concilio anzitutto, che aveva annunciato l’intenzione di aggiornamento e di dialogo con il mondo. Nella  Chiesa italiana c’erano state iniziative di vero aggiornamento, dalla “scelta religiosa” dell’Azione Cattolica ai grandi convegni ecclesiali come “Evangelizzazione e promozione umana”. Vescovi come Pellegrino, Bartoletti, Cè, Martini e molti altri meno noti ma di grande valore, cattolici impegnati nella cultura (si pensi a Lazzati, Elia, Scoppola, Bachelet, Monticone, Giuntella) e nella politica (Moro, Zaccagnini, Martinazzoli e molti altri) avevano avviato una riflessione e una “ricostruzione” per riscoprire i valori civili e “riabilitare la politica”. Ma poi molte cose si sono fermate e troppe speranze si sono spente via via…

 Anche la mia personale opinione, per quel che conta, è che sia oggi strumentale e ambiguo parlare di irrilevanza della presenza e della ispirazione cristiana nella società italiana di oggi. Certamente il contesto sociale italiano è per molti aspetti abbastanza dimentico della sua tradizione cattolica, ma bisogna intendersi bene su quali temi ciò sia più evidente e per quali cause. Di fatto proprio un sedicente cattolicesimo, farisaico e di facciata, ha  favorito una deriva secolaristica. Spiace dover fare il riferimento, ma è necessario ricordare che tanti ecclesiastici e laici – per non dire degli “atei devoti” – che si sono arrogati negli ultimi decenni il diritto di guida e si rappresentanza del cattolicesimo “integrale”, hanno fortemente contribuito al secolarismo e all’indebolimento della profezia e del lievito cristiano. Il laicismo è cresciuto in proporzione e come risposta al clericalismo e all’integralismo che si sono spesso dimostrati fasulli e strumentali a interessi personali e di potere.

Certo non viviamo in una “società cristiana”: l’onnipotenza del danaro, la ricerca del potere, la carriera a tutti i costi, la ricerca di comodità e piacere, di esteriore visibilità… hanno il sopravvento persino – e ciò è particolarmente grave e quasi irreparabile, il larghi strati di coloro che dovrebbero esprimere la proposta, la presenza e l’impegno cristiano. Tutto ciò ci conferma che l’Italia “cattolica” non è fondamentalmente diversa dal resto del mondo “sviluppato”. E tuttavia proprio perciò si potrebbe anche dire paradossalmente,che quelli – pochi – che davvero sono cristiani (e non si limitano a definirsi tali e usano la loro fede per far carriera) sono visibilissimi.

Non è una novità del resto. Già de Gasperi e Moro, La Pira e Zaccagnini e Martinazzoli erano visibilmente  diversi da altri politici, anche se, nell’opinione di certi  “benpensanti” erano solo dei comunisti travestiti…

Il problema, come diceva Dossetti, è che “manca la colla”. Cioè il paese è diviso e non sente le ragioni che sorreggono e orientano lo “stare insieme”.

Ma che rapporto c’è tra le ragioni dello “stare assieme” e  il contributo , la “rilevanza” dei cattolici?  C’è:  la visione cattolica della società, il contributo qualificante dei credenti alla costruzione della “città dell’uomo” è stata espressa molto bene nel documento  del  1981 “La Chiesa italiana  e le prospettive del paese” e dice solennemente (e severamente): “Il Paese non si salverà se non insieme”.

Ecco: a mio parere non ha senso parlare a senso unico di “irrilevanza dei cattolici”. Si potrebbe dire che essi sono assenti (poiché la società oggi è in gran parte paganeggiante e ingiusta) oppure che essi sono presenti e rilevanti (tutti i governanti, anche i peggiori, si dicono cattolici, baciano l’anello ai vescovi, osservano concordati e consuetudini). Bisogna intendersi sui criteri per stabilire la “rilevanza”. È quella dei banchieri oppure dei profeti di strada?

E tuttavia  è vero ed evidente che i veri credenti oggi – in Italia, ed anche nella Chiesa, talvolta…  –  si sentono a disagio. Essi in realtà sono minoranza e sono anche “fuori moda” perché non condividono il culto del vitello d’oro peraltro condiviso da parecchi sedicenti cattolici, e persino da autorità ecclesiastiche.

Dunque il problema è di ritrovare una capacità di presenza, di incidenza e forse di “leadership” dei credenti e della fede cristiana  nella costruzione della comunità umana di oggi. Personalmente credo che ciò potrebbe essere possibile a tra condizioni:

La prima: che il mondo dei credenti – nelle sue punte avanzate ma anche nel suo corpo complessivo – si rende conto dei mutamenti profondi (e non tutti positivi!) che sono avvenuti e che avverranno nella società italiana e mondiale. Il trapasso epocale impone un cambiamento culturale difficilissimo perché si tratta di conservare l’essenziale della fede e della “diversità” cristiana in un mondo nuovo e in larga parte ancora indecifrabile. Anzi si tratterebbe di trovare il modo (apparentemente impensabile) di fare della dimensione autenticamente religiosa la forza e la bussola della trasformazione in atto. Si tratta dunque di un grande sforzo di diagnosi e di inventività culturale.

La seconda: che per fare questo sforzo inventivo e corale la comunità cattolica si costruisca strumenti culturali adeguati e anzitutto luoghi d’incontro, dibattito ed elaborazione. Quello che un tempo furono le settimane sociali, l’università cattolica, il grande associazionismo di massa e di elite, le esperienze anche politiche di avanguardia (pensiamo anche alla elaborazione culturale che nacque dalla esperienza resistenziale di tanti cattolici), devono trovare forme nuove e adeguate all’oggi.  Giorgio Campanini giustamente insiste sulla necessità  di luoghi non occasionali di incontro, studio ed elaborazione  (consiglio diocesani, parrocchiali, nazionali…) per capire e valutare la realtà in mutamento e offrire di essi una lettura e una proposta cristiana. Ed ha ben ragione. Non c’è oggi in Italia un Consiglio dei laici, né un Consiglio pastorale nazionale, né una Commissione Giustizia e Pace.  Nella Chiesa, insomma, è necessaria una “democrazia culturale” molto, molto maggiore; unita ad una maggior voglia di confrontarsi e di trovare, se possibile, una visione complessiva, unitaria.

La terza: bisogna “abbattere i bastioni” (come scriveva Von Balthasar) o almeno “rompere le saliere” (come diceva padre Sorge a conclusione di “Evangelizzazione e promozione umana” nel 1976) e mescolare il fermento cristiano alla buona pasta della società umana per costruire non tanto una cristianità quanto una città dell’uomo degna dell’uomo. “Il Paese non si salverà se non insieme” gridava profeticamente il documento dei Vescovi (scritto insieme ai laici, in una – irripetibile? – stagione di comunione e di profezia, nel 1981). È perfettamente vero: anzi ancor più vero e urgente oggi!.

Abbiamo bisogno, come ricorda sempre Campanini, che i consigli parrocchiali, pastorali diocesani e nazionali, riprendano a funzionare; le consulte dei laici, le commissioni sui problemi sociali, i vari forum, le associazioni abbiano vigore e fiducia, i vescovi ascoltino, gli intellettuali studino, gli operatori agiscano…

“Insieme”: più fiducia tra laici e vescovi, tra preti e religiosi, tra giovani e anziani, tra cattolici e… laici perché il Paese non si salverà se non insieme. E l’essere insieme non è solo una difficoltà, ma soprattutto una grande risorsa.

Preghiamo il Signore che ci dia guide, nella Chiesa e nella società, all’altezza della situazione difficile; e ci dia militanti, operatori, intellettuali generosi e impegnati; non proiettati a costruire il proprio successo ma convinti di lavorare per il bene comune anche nella vita culturale, sociale e politica. La politica, infatti è il vertice dell’ impegno per la città dell’uomo (e vediamo purtroppo com’è ridotta!). Il punto, diceva  il professor Lazzati in un colloquio che avevo avuto con lui nel 1979 e poi pubblicato su Appunti col suo consenso,  è l’impreparazione dei cattolici a “pensare la politica. Essi sono purtroppo abituati a pensare la politica solo in funzione  difensiva dello “status quo”, cioè una politica di destra. Riesce loro difficile cogliere il significato  e il valore del mutamento, del “progetto” che propone qualcosa di nuovo, che intende cambiare non solo le cose superficiali  e accidentali, ma che arriva in profondità…”.  

Per fare ciò, sottolineava, occorre un grande sforzo culturale, un impegno di dialogo e di formazione di lungo periodo. Gli chiedevo allora: ma ce ne sarà il tempo? Rispondeva: “Non bisogna preoccuparsi troppo se si farà a tempo, perché troppe cose non sono state fatte, o sono state fatte male, con questa scusa, o questo motivo. Io credo che bisogna mirare ad un cambiamento in profondità, un cambiamento delle mentalità…..”.

Ripensavo alle parole di Lazzati quando udimmo Dossetti dire, ripetere e scrivere, nei primi anni Novanta: “…Nel caso nostro dobbiamo convincerci che tutti noi, cattolici italiani, abbiamo gravemente mancato, specialmente negli ultimi due decenni, e che ci sono grandi colpe (non solo errori o mere insufficienze), grandi e veri e propri peccati collettivi che non abbiamo sino ad oggi cominciato ad ammettere e a deplorare nella maniera dovuta i battezzati consapevoli devono percorrere un cammino inverso a quello degli ultimi vent’anni, cioè mirare non ad una presenza dei cristiani nelle realtà temporali e alla loro consistenza numerica e al loro peso politico, ma ad una ricostruzione delle coscienze e del loro peso interiore, che potrà poi, per intima coerenza e adeguato sviluppo creativo, esprimersi con un peso culturale e finalmente sociale e politico. Ma la partenza assolutamente indispensabile oggi mi sembra quella di dichiarare e perseguire lealmente – in tanto baccanale dell’esteriore – l’assoluto primato dell’interiorità, dell’uomo interiore”.

In conclusione, diceva ancora Lazzati nel 1979: il pericolo più grave per la vita ecclesiale, almeno oggi da noi, non è certamente rappresentato solamente dai nemici esterni e dichiarati, ma è piuttosto l’insidia latente del “terrenismo” tra gli stessi cristiani. L’esser cristiani di nome e non di fatto, il dirsi discepoli dell’amore di Dio e il farsi invece ragionieri dei propri interessi…. è il secolarismo strisciante.

Questa conclusione di quell’intervista di 33 anni fa mi appare ancor oggi attuale, anzi più attuale che mai. E mi convince che i cattolici italiani (a cominciare dai vescovi per arrivare ai laici più giovani) dovrebbero intraprendere un cammino comune di riflessione, dialogo, conversione e “progettazione” per il bene, inscindibile, della comunità cattolica e della comunità politica che è in Italia. Il paese non si salverà se non insieme.

La irrilevanza dei cattolici (e di tutti gli altri che conservano in grembo semi di altruismo, di progettualità, di amicizia: insomma di quanti pensano che si può costruire con la partecipazione corresponsabile di ciascuno un mondo migliore per tutti …. e perciò aperto ad un futuro ulteriore che molti pensano e sperano poter esser il futuro assoluto con Dio)  costituisce una sfida decisiva in questo tornante della storia. Ed ha davvero ragione Giorgio Campanini a incentrare la risposta sul problema della corresponsabilità-condivisione-partecipazione-comunione.

I cattolici, e non solo loro, torneranno ad essere “rilevanti” (e  lo si dice non per acquisire del potere, ma per portare un servizio, un contributo importante) se torneranno ad essere una comunità (e non un gregge come sono stati ridotti). Una comunità di gente che pensa con responsabilità e partecipazione; che si confronta ed ama il dialogo anche quando le conclusioni non sono unanimi. Un popolo che cerca di capire le novità del cammino che lo attendono e che cammina con fiducia insieme con gli altri (anche quelli che la pensano diversamente). Da qui nasce tutto un programma di comunità che dialogano; di consigli (pastorali, laicali, locali e nazionali) che studiano, dibattono e decidono; di organismi di studio per esplorare il mondo nuovo che nasce; di opere sociali per la condivisione e la solidarietà. Ricordando bene la verità che non vale soltanto per la società, ma anche per la comunità ecclesiale, per le associazioni, per le famiglie, le economie, le culture  (tutte travolte dalla tempesta come la barca degli apostoli e di Pietro…). Vale per il Paese, le Chiese, tutti noi: non ci salveremo se non insieme. Vescovi e laici, uomini e donne, preti e suore, credenti e increduli, giovani e anziani, dirigenti, professori e barboni. Non diventeremo significativi, utili, “rilevanti” (!) se non insieme: nel dialogo, nel confronto, nella accettazione critica e costruttiva delle differenze. Anche (nessuno scandalo!) nelle decisione prese assieme dopo aver ascoltato tutti, anche quelli che credevamo “folli”. Solo così, soltanto se abbatteremo i bastioni in uno slancio di speranza che vince la paura, solo così potremo testimoniare che crediamo e vogliamo costruire qualcosa che ci supera, che è “oltre”.  Sennò ci litigheremo, disperdendole, le poche risorse materiali e ideali che abbiamo. Ed è assolutamente decisivo, a questo punto che siano i credenti, le chiese, in Italia anzitutto la Chiesa cattolica, a dare prova di questa convinzione sincera e di questa scelta altruistica, propria di colui che non venne per dominare, ma per servire.

Angelo Bertani

 

 

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