La classe dirigente politica attuale volentieri non agita i temi relativi alle generazioni giovani e future, sapendo benissimo come questi non abbiano una forte presa sulle masse, catturate da una dilagante omologazione consumista e individualista. Inoltre è consapevole che mettere al centro le istanze delle generazioni future è un’operazione che rischia di fatto di scivolare nell’irrilevanza e probabilmente di non costruire il consenso necessario a vincere o comunque a rimanere in sella, e alla fine ad avere un peso nell’attuale congiuntura politica.
Le riforme a favore delle generazioni future riguardano le pensioni, la tassazione immobiliare (soprattutto ai ricchi) e la tassa sull’eredità, da mettere in campo per reperire fondi da investire per i giovani, la tassa sull’inquinamento, visto che lasceremo loro un ambiente degradato, una politica migratoria seria. Non dimentichiamo che governi che si sono misurati con il problema sono stati pesantemente criticati e hanno pagato, nei passaggi elettorali decisivi, le scelte impopolari che hanno messo in campo. Io, pur non essendo schierato con Monti, riconosco che il suo governo è diventato impopolare con l’IMU e con la riforma delle pensioni. La signora Merkel, con il milione di siriani che ha accolto per garantire futuro al suo paese in forte caduta demografica, sta perdendo le elezioni politiche in Germania (non sono un tifoso, non sono posizionato, non ho sposato la linea dei politici sopra indicati, ma con onestà intellettuale mi sembra di poter riconoscere che quelle sono le riforme veramente coraggiose di cui abbiamo bisogno).
Ovviamente chi sostiene i diritti delle generazioni future si muove in controtendenza, visto che quotidianamente assistiamo alla gara a chi abbassa di più le tasse per vincere le elezioni, conculcando i diritti delle generazioni future. E ciò, purtroppo, accomuna sia la destra che la sinistra.
Prendiamo il caso delle pensioni (ma il discorso vale per molti altri campi). Quando entri in uno dei tanti bar sport che attraversano il paese, ogni tanto ti capita di sentir discutere di pensioni, in modo animato e acceso. Ti capita di sentire dire che se uno è disoccupato di lungo periodo con un’età di oltre i cinquant’anni, è giusto, è umano dargli la pensione, visto che non troverà lavoro; se uno è in mobilità perché la sua azienda ha delocalizzato ed è in là con gli anni, bisogna che lo stato provveda con una pensione; alcune volte capita di trovare persone aperte mentalmente che sono favorevoli alla reversibilità per le coppie omoaffettive regolarmente sposate o per chi convive da molti anni; e così via con altri esempi che voglio risparmiare per mancanza di spazio. Se tu presenti in modo esplicito il problema di chi pagherà queste pensioni, che giustamente vanno erogate, si innescano problemi rilevanti.
Tutti sappiamo, per farla breve, che i componenti del tavolo delle pensioni sono tre: i pensionati attuali, che sono la parte maggioritaria, in grado di influenzare l’esito di qualsiasi elezione; quelli che lavorano da molti anni e vedono più o meno vicina l’età della pensione; le generazioni giovani, quelle future che non votano e che, in una società con una forte caduta demografica, sono una componente minoritaria, con poco peso elettorale. Se, come dicono nei bar e nei dibattiti televisivi più seguiti, è giusto dare loro una pensione, perché non chiedere i sacrifici alle generazioni che sono già in pensione e a quelle che a breve ci andranno? Fino ad ora abbiamo spostato il problema sulle generazioni future, mettendo le mani nelle loro tasche, lasciando loro una montagna di debiti e la previsione di pensioni più basse. Con loro ci stiamo comportando da adulti irresponsabili.
Concretamente, la proposta dovrebbe essere quella di togliere qualcosa a tutti quelli che percepiscono una pensione decente, in favore delle generazioni future: chi prende milleottocento euro, cento euro in meno, chi ne prende duemila, trecento in meno, chi cinquemila euro, mille in meno e così via. So benissimo che tutti aggirano il problema, perché affrontarlo vuol dire perdere le elezioni e attivare l’opposizione dei circoli militanti e accademici. Sì, perchè anche tra le file degli intellettuali pochi hanno fatto proprio il tema dei diritti delle generazioni future.
La posta in gioco sul lungo periodo è veramente delicata. Le future generazioni ameranno poco la democrazia, perché con il voto e la sete di potere legata alle scadenze elettorali si è fortemente influito sulla qualità della loro vita. I giovani delle generazioni future, i sicuri nuovi poveri, saranno segnati da forti tensioni e conflitti, che vanno intercettati e a cui va data una risposta seria e attenta. Dobbiamo lavorare per una sinistra che lavori come apripista e si spenda con tutte le sue energie, senza ondeggiamenti, affrontando quelli che sono i temi esplosivi del futuro. Come cristiani abbiamo alle spalle una storia segnata da molteplici errori: non ci siamo situati nei problemi degli operai e ne abbiamo persi molti, non ci siamo calati nei problemi delle donne e molte oggi voltano la testa da un’altra parte, ora non ci stiamo immergendo nei problemi che travagliano i giovani e ne stiamo perdendo frange rilevanti. Tuttavia la nostra lunga storia può costituire una grande spinta feconda e lo sarà nella misura in cui sarà in grado di far capire all’insieme della sinistra che avremo futuro se ci spenderemo sui problemi scottanti che segneranno le generazioni future.
E’ chiedere troppo alla nostra area di calarsi nei drammi sociali ed economici che marcheranno la vita futura dei nostri ragazzi, e donare a loro un po’ di sangue?
Mario Giuseppe Molli