La festa della mamma giunge in contemporanea con i tempi delle prime dichiarazioni dei redditi. E la somma dei due eventi mette sotto gli occhi un problema relativo al finanziamento del privato sociale, della cultura o della ricerca scientifica. Sappiamo tutti quanto problematica sia la situazione relativa a questo delicatissimo settore, in questo nostro scombinato paese. Croniche carenze di fondi pubblici, che ci fanno impallidire in qualsiasi classifica Ocse, vanno assieme ad altrettanto storiche assenze di un tessuto di finanziamenti liberali privati, secondo il modello anglosassone. La discussione in corso sulla riforma del terzo settore sta aggirandosi attorno all’ipotesi di formule «ibride», in cui il non-profit possa partecipare – per qualche sua attività – a meccanismi che prevedano ritorni economici, per sostenere la quota di attività gratuita e volontaria. Ma non è semplice trovare una quadratura.
Quindi, è comprensibile che si tentino tutte le vie. La festa della mamma è stata ad esempio occasione per l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro per lanciare una campagna di vendita di «azalee per la ricerca». Intanto, la storica associazione ne ha approfittato per inondarci di richieste di mettere una firmetta per lei sul 730. Una delle invenzioni recenti (ha dieci anni di vita) per mettere una pezza a questa condizione complessivamente non degna di un paese civile è infatti la legge che prevede di distribuire una quota del cinque per mille dell’Irpef, secondo le scelte dei cittadini, a organismi che presidiano questi ambiti. Una scelta opportuna, anzi forse addirittura interessante, in quanto configura un piccolo spazio di decisione dei singoli su come destinare una (sia pur modesta) parte delle proprie imposte.
L’Airc, guarda caso, è anche una delle istituzioni private che la fa da padrona nella raccolta del cinque per mille. Rispetto alle dichiarazioni del 2014 – sono dati freschissimi – le scelte dei contribuenti le faranno pervenire in totale più di 66 milioni di euro. Non male, considerato che il secondo soggetto in lista, Emergency, supera di poco i 13 milioni. Su un totale di quasi 500 milioni di euro che arrivano per questo canale al mondo non-profit.
Come tutti i meccanismi innovativi, anche questo ha però i suoi problemi. Il primo è che la platea dei concorrenti alla distribuzione è amplissima. Fanno richiesta miriadi di enti e istituzioni, più di 45.000, molte delle quali non raccolgono nemmeno una dichiarazione e quindi nemmeno un centesimo (a fronte di una certa pratica burocratica da compiere). Proprio per questa dimensione sterminata, ci sono molteplici conflitti di interessi, spesso vere e proprie lotte «tra poveri» per accaparrarsi una firma. Anche perché con l’estensione alla tutela del territorio e del paesaggio, le tipologie di enti sono ormai tantissime (università, comuni, fondazioni, associazioni, ospedali…), molti dei quali hanno a disposizioni suadenti forme di pressione per i propri dipendenti. Per molti, alla fine, si tratta inevitabilmente di pochi spiccioli.
Un altro problema è che i giganti della materia (diciamo quella ventina di enti che raccolgono più di due milioni di euro) sono anche coloro che sono più conosciuti, va da sé. Ma la conoscenza non è gratuita. Appare sostanzialmente che ci siano due modalità significative per spiccare. Una prima forma è detenere una posizione forte sul fronte dei Caf, gli organismi deputati ad aiutare la composizione delle dichiarazioni dei redditi (Acli, Auser, Mcl), il che fa pensare a meccanismi in qualche modo opportunistici di firma. Oppure, molti altri soggetti tra i più premiati sono anche tra i massimi investitori nel mercato della pubblicità «sociale». Sarebbe interessante capire quindi quanto la spesa in pubblicità si mangia delle somme destinate a cause nobili, quali la ricerca scientifica, il volontariato, la sanità d’emergenza. Insomma: più si raccolgono firme, più si hanno soldi per investire in pubblicità, che permette di raccogliere altre firme. Per carità, anche i pubblicitari (e i Caf) devono vivere, ma mi sembra che si configurino in questo modo una serie di corti circuiti, quanto meno da tenere sotto osservazione.
A proposito di pubblicità, però, si potrebbe aggiungere ancora un altro elemento che fa riflettere. La sunnonimata Airc aggiungeva alla pubblicità per l’azalea della ricerca, proprio in questi giorni, un altro manifesto promozionale. In cui una ridente signora invitava: «Dona adesso con le speciali giocate»! Dopo il primo momento di perplessità, si scopriva che si tratta di una convenzione con Sisal, per cui per un mese di tempo le giocate al Superenalotto comporteranno una piccola donazione per l’Airc. La splendida pubblicità è visibile all’url www.superenalotto.it Così in qualche modo incentiviamo anche al gioco d’azzardo, sia pure per finalità benefica. In un paese in cui il dramma delle dipendenze da gioco è già abbondantemente fuori controllo.
Per carità, anche qui: come criticare l’Airc? E’ tutto a fin di bene. In qualche modo, è proprio dalle carenze da cui siamo partiti che nasce una concatenazione di eventi e scelte: si potrebbe addirittura invocare una specie di «stato di necessità». Ma insomma, è possibile che per affrontare un problema serio come quello del finanziamento del privato sociale, dobbiamo per forza cadere in questa serie di corti circuiti problematici? Non sarebbe possibile un po’ più di dignità, da parte di tutti i soggetti in causa?
Guido Formigoni