I giovani verso un referendum informato

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L’autore, già insegnante di letteratura italiana e storia all’Istituto “Buonarroti” di Trento, scrive – prevalentemente di scuola, ma anche di politica e di religione – sul mensile “Questo Trentino” e su “L’Adige”

 

Alcuni voteranno sì, altri voteranno no, non ci siamo detti in quale percentuale. Per alcuni è prioritario rendere più semplice e veloce la decisione politica, la governabilità come si dice in termini tecnici, per altri rimane più importante il valore della rappresentanza, della discussione. Sono cinquanta i giovani che si sono incontrati una sera a Vezzano, per “un voto informato”. Sono, i più, studenti universitari di tutte le facoltà, dalla giurisprudenza all’ingegneria, dall’economia alla psicologia alla letteratura. Alcuni hanno partecipato al progetto “giovani e istituzioni”, conoscono il municipio del nuovo Comune di Vallelaghi, hanno visitato a Trento il palazzo della Provincia, a Roma hanno incontrato i parlamentari trentini. Non si sentono estranei alla politica, sono anzi rimasti sorpresi dalla “disinvoltura” di certi senatori a Palazzo Madama, e sono rammaricati perché a scuola non gli è stata insegnata la Costituzione, o troppo poco, solo da alcuni insegnanti.

Hanno maturato la consapevolezza, riassumo io per loro attentissimi, che “la politica siamo noi, in quanto esistiamo al plurale” (Hannah Arendt). E’ il “noi” che ci fa sentire “cosa nostra” la Repubblica dell’art. 1, l’unico che non può essere oggetto di “revisione”, come conclude solennemente l’art. 139. Esso ci tiene uniti nelle scelte plurali, nei conflitti  che ci dividono, affidati alle regole mutevoli della democrazia. Sono giovani che si rispettano: al referendum ci sono ragioni per il “sì” e ragioni per il “no”. Il giorno dopo riprenderanno a studiare, a lavorare, a cercare lavoro, a “fare politica” da cittadini. Il presidente della Comunità di Valle, e l’assessora che ha organizzato la serata, e gli adulti che si sono aggiunti, assistono allo spettacolo, sorpresi dal numero dei protagonisti.

Entriamo nella macchina della Costituzione per la porta dell’art. 27. Rispondono per alzata di mano, e in parecchi non sanno se in esso è citata la pena di morte. Sono sorpresi dai testi diversi che due loro compagni leggono ad alta voce, ma una giovane fa subito l’ipotesi giusta: l’articolo è stato modificato quando il Parlamento ha abrogato, con doppia lettura, a maggioranza ampia, il comma che conservava la pena di morte nelle leggi militari di guerra. E’ il segno di una società che matura anche rispetto alle decisioni dei “padri costituenti” del 1948. Questi giovani non vogliono reintrodurre la pena di morte. C’è un’antropologia positiva in questa risposta, che unisce chi si dividerà nel “voto informato” del 4 dicembre: anche nel criminale più duro c’è una fiammella che non va spenta.  E che fa pensare, ne sono sicuro, anche l’unica ragazza che dissente dall’assemblea, e che, ma sorridendo, si finge preoccupata sulla strada del ritorno a casa, a notte fonda. In quel parlamentino improvvisato, e io rimango sorpreso, non passa invece la proposta di abolire l’ergastolo, che basterebbe una legge ordinaria. Il discrimine però non è lo stesso che li dividerà il 4 dicembre.

Nelle domande di questi giovani, a voce e per iscritto, non c’è alcuna concessione al linguaggio bellicoso dell’“accozzaglia”, del “killer della Costituzione” o addirittura “dei nostri figli”. Rimangono inevase parecchie domande: sul “cosa succederà dopo” il vecchio insegnante non sa rispondere. Sull’“autonomia speciale” del Trentino e Sudtirolo ripercorro brevemente la storia, dall’annessione al Regno d’Italia con la “grande guerra” all’accordo fra De Gasperi e Gruber. Rinuncio a parlare di Cristoforo Madruzzo che qui è di casa e che avevo in mente. Dagli occhi dei giovani capisco, e non perché sono assonnati o in attesa del rinfresco, che di ben altro tempo avrei bisogno. Cito a memoria Pierangelo Schiera: “Il rapporto fra lo Stato nazionale unitario e le autonomie regionali è un pendolo che non cessa mai di oscillare. Se prevale il centro viene distrutta la periferia, la democrazia nella sua pluralità, se invece prevale la periferia, è distrutta l’unità, la democrazia che ci tiene insieme”. Non c’è tempo per chiedere se si sentono più “italiani” o “trentini”.

Ci lasciamo. Ognuno di noi, giovani e adulti, continuerà a portare il proprio granello, invitando amici e colleghi a un voto pensato. Alcuni non l’hanno intuito e pretendono che almeno io dica come voterò. Leggo allora le ultime righe della Lettera a Leonardo: “fra il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà” scelgo “la fiducia ragionevole del cambiamento”. Non è un potere politico forte che oggi mi fa paura, è piuttosto la sua debolezza, a fronte della potenza dell’economia e della tecnica (della comunicazione soprattutto).

 

Silvano Bert

Comune di Vallelaghi (Trento), 21.11.2016

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