di Sergio Pagani
Saitō Kōhei è uno studioso marxista giapponese che ha collaborato all’ultima edizione della MEGA, la raccolta delle opere complete di Marx ed Engels.
In questa più recente pubblicazione sono riportati anche i contenuti di molti quaderni di appunti che Marx stendeva in base alle sue letture.
Come è noto, Marx, mentre era in vita, ha pubblicato solo il primo volume del Capitale; gli altri due sono stati pubblicati successivamente da Engels ricavandoli dai molti appunti di Marx.
Ora la tesi, decisamente rivoluzionaria, di Kōhei è che Marx si è fermato nel continuare la sua opera, perché dalle letture emergevano elementi contradditori rispetto al pensiero che aveva elaborato.
Le letture, come appaiono dagli appunti di quegli anni (i 14 anni che vanno dalla pubblicazione del primo volume del Capitale alla sua morte), l’hanno orientato a un pensiero del tutto nuovo.
Ne esce la descrizione di un Marx completamente diverso da quello che tutti abbiamo conosciuto; al centro non c’è più il primato della produzione, ma piuttosto un’economia stazionaria, la difesa della natura (che è sfruttata quanto i lavoratori), l’egualitarismo, i beni comuni.
Siamo agli antipodi di quello che fin qui abbiamo pensato.
L’unica espressione conosciuta di tale orientamento può essere considerata la lettera a Vera Zasulic, rivoluzionaria russa, che aveva posto a Marx una domanda a proposito delle comunità contadine del proprio paese (i mir).
E Marx aveva risposto positivamente che i mir avrebbero potuto essere conservati nella futura società socialista (ma la lettera è stata pubblicata molti anni dopo e in Russia è rimasta praticamente sconosciuta).
La tesi farà sicuramente discutere perché capovolge il pensiero di Marx: saranno contenti gli ambientalisti e i comunitari, però è bene aspettare che il dibattito si sviluppi per vedere se si registrano conferme di altri studiosi o se si tratti di un’interpretazione solo personale dell’autore.
Ma partendo da questo “nuovo” Marx, Kōhei si spinge più in là per sostenere una visione politica di decrescita, in linea con questa scoperta, ma andando chiaramente oltre.
L’autore sostiene che lo sviluppo capitalistico si trova di fronte a delle contraddizioni che non è in grado di risolvere.
Secondo l’economista Dani Rodrik il sistema si trova di fronte a un trilemma deve scegliere se sviluppare i redditi dei lavoratori delle classi media dei paesi sviluppati, o sostenere lo sviluppo dei paesi più poveri, oppure ancora abbattere le emissioni di anidride carbonica.
Non può realizzare tutti e tre gli obiettivi: decentrando la produzione nei paesi in via di sviluppo ha impoverito salari e redditi dei paesi sviluppati, sviluppando la produzione aumenta l’inquinamento, ecc.
Secondo Kōhei poi le risposte che si avanzano per ovviare a queste difficoltà, un progresso tecnico dematerializzato e la soluzione del decoupling (sdoppiamento), sono ingannevoli.
Le tecnologie nuove, digitali e intelligenza artificiale, sono grandi consumatrici di energia e il decoupling è insostenibile, perché è dimostrato che a ogni aumento della produzione corrisponde un aumento dell’inquinamento.
C’è qualche paese che riesce a diminuire le proprie emissioni di anidride carbonica, ma perché esternalizza i problemi (nel Sud del mondo, come avviene per le miniere).
Del resto, attualmente i due paesi più inquinanti sono la Cina (28% del totale) e gli USA (14%), paesi che sembrano lontani dal voler assumere misure drastiche in proposito (contrariamente all’UE che ha preso sul serio il problema, ma che conta solo per il 7%).
Infine, l’autore ricorda che, per quanto riguarda il nucleare e le batterie, sia il litio che il cobalto sono limitati e nel caso del litio la sua estrazione comporta l’eliminazione delle acque sotterranee con notevoli danni dell’ambiente. E poi tutti i minerali, anche il ferro, l’alluminio, il rame prima o poi si esauriscono (il rame è già raro oggi).
Per concludere la proposta di Kōhei è che invece di guardare al reddito monetario occorra guardare ai beni reali, a comunità autonome per l’acqua e l’energia, alla diffusione dei beni comuni e naturalmente a riforme (agraria e di proprietà sociale) che cambino radicalmente questa economia.
Saitō Kōhei, “Il Capitale nell’antropocene”, ediz. Einaudi, 2024