Il discorso del card. Scola il 6 dicembre nella chiesa di S. Ambrogio, e i commenti di Mancuso e Rusconi li abbiamo riportati (vedi qui). Come pure l’intervento di Ceccanti, e poi quello di Vittorio Bellavite. Ora facciamo un breve excursus in altri commenti che si sono aggiunti. Per Nicola Colajanni, già deputato, docente di diritto ecclesiastico a Bari e membro del direttivo nazionale dei “Comitati per la Costituzione”, fondati da Giuseppe Dossetti, “il discorso del cardinale Scola ha il merito di contribuire autorevolmente alla formazione di un dibattito non scontato sulla laicità, ma a partire da una visione in fondo pessimistica sul contrasto tra cultura secolarista e fenomeno religioso, che certamente non rende i tanti contatti provocati dal camminare insieme”. Inoltre il cardinale sembra identificare il diritto alla libertà religiosa con il dovere di ricercare la verità; ma questo “significa – scrive Colajanni – confondere due sistemi normativi, il diritto e la morale, con la conseguenza o di retrocedere il diritto positivo a diritto morale o di innalzare l’obbligo morale ad obbligo giuridico” (La laicità del cardinale Scola tra diritto e morale, in “l’Unità” del 10 dicembre).
Massimo Faggioli (Il cardinale Scola tra il Medioevo e l’America, in “L’Huffington Post” del 7 dicembre) individua nel discorso di Scola una sorta di neo-americanismo, visto come rimedio al “male europeo del laicismo”: “Se l’attacco di Scola alla laicitè alla francese non significa necessariamente un auspicio al ritorno allo Stato confessionale, tuttavia prefigura uno Stato che rimanga aconfessionale ma nel quadro di un nuova idea di libertà religiosa, di una ‘laicità positiva’ non neutrale di fronte al fatto religioso. Il modello è chiaramente quello statunitense”. Modello, secondo Faggioli, inapplicabile in Italia e in crisi anche negli Usa dove si è tradotto in una “religione civile” di scarso valore.
“Si usi allora – scrive Furio Colombo verso la fine del suo articolo su “Il Fatto quotidiano” del 9 dicembre (I “cattolicisti”: quando la fede serve al potere) -, per chiarezza nei confronti dei credenti, la parola ‘cattolicista’ per definire tutti coloro, cardinali e no, che usano la religione e la fede come strumento per governare. È storia italiana da decenni. Dovunque si veda o si creda di vedere una promessa di protezione della gerarchia ecclesiastica per un partito o per un potere, subito si raccoglie una folla di cattolicisti, travestiti da fervidi credenti e impegnati a cercare e affermare le loro radici cristiane mentre lasciano morire a migliaia gli immigrati in mare”.
“Se in altre occasioni l’obiettivo polemico dei vertici cattolici era il relativismo – scrive Paolo Naso sul sito della Chiesa evangelica valdese – , da Milano è partito uno strale anche contro la ‘neutralità’ che agli occhi del cardinale Scola dissimulerebbe il sostegno ‘a una visione del mondo che poggia sull’idea secolare e senza Dio’”. E dunque, “con il messaggio del suo arcivescovo, la Chiesa ambrosiana rivendica una sua anomala idea di laicità, distinta e distante da quella del pensiero liberale tradizionale, come è noto fondata proprio sulla neutralità dello Stato riguardo alle questioni religiose”. “Su questi temi – conclude Paolo Naso-, dalla cattedra di Sant’Ambrogio eravamo abituati ad ascoltare altri discorsi” (La guerra fredda del cardinale Scola).
Christian Albini, sul suo blog, scrive che “il discorso di Scola appare come una presa di posizione che fa una cattiva impressione nei rapporti tra Stato e chiesa, perché assomiglia, più di quanto il testo effettivamente non dica, a una rivendicazione di spazio da parte della gerarchia cattolica”, e ne indica gli aspetti critici (Chiesa e polis: il discorso del cardinale).
Viceversa, Roberto Beretta, giornalista, che scrive su “Avvenire” e altri giornali cattolici, pubblica il 9 dicembre sul sito vinonuovo.it, di cui è collaboratore, un articolo a favore del discorso di Scola: Perchè Scola ha ragione. “Io – scrive Beretta – , da piccolo politico «di base», sostengo che Scola ha ragione (nell’esigere che lo Stato “apra spazi in cui ciascun soggetto personale e sociale possa portare il proprio contributo all’edificazione del bene comune”, ndr). La mia esperienza dice infatti che la cosa più difficile lavorando con i partiti sta nel conciliare i diritti della propria coscienza con un’idea di «disciplina» e di «unità» che sconfina spesso nell’unanimismo. Non è previsto infatti che un politico pensi, agisca e voti «in proprio», a pena di essere escluso. E’ il difetto della democrazia quantitativa: destra o sinistra, il sistema perpetua se stesso con l’esclusione delle posizioni «di coscienza» – le quali sono spesso le uniche da cui potremmo aspettarci una vera attenzione al bene comune e non agli interessi, alle lobbies, alle caste”.
Infine, sempre su vinonuovo.it del 9 dicembre, Luca Rolandi, giornalista de “La Stampa”, offre anch’egli un giudizio sostanzialmente positivo del discorso di Scola (Laicità: terreno di dialogo non di scontro) e dice di condividere la sintesi di due autorevoli studiosi come Silvio Ferrari e Piergiorgio Grassi: “Per regolare il rapporto tra pluralismo, spazi pubblici e istituzioni statuali, rimane indispensabile l’intervento del diritto che garantisce, in ultima istanza, una laicità tale da permettere la libera ricerca delle verità ultime; verità da affermare e confrontare. Lo Stato laico non nega l’esistenza di una verità, ma afferma di non essere competente ad attestarla e lascia ad una serie di soggetti sociali (tra cui le chiese) il compito di definirle. Questi soggetti agiscono in regime di pluralismo e possono influenzare la legislazione statale ‘in proporzione alla ricezione dei loro valori nel corpo sociale’. La legislazione non può essere ‘sequestrata’, nel senso che non può identificarsi con alcuno di questi sistemi di valori”.
Sul sito on line de “Il mulino” Roberto Escobar (Scola di laicità) dissente dal cardinale. “Forse- scrive – dovrebbe prendere coraggio, l’arcivescovo, e riconoscere che la luibertà – quella religiosa, e non solo, – all’Occidente è stata data non dalla Chiesa, ma dai suoi avversari, o se si preferisce dai movimenti politici e culturali comunemente detti laici”. E conclude: Insomma, la laicità che sembra piacere a Scola è quella in cui il parroco conta più del deputato. Questo a 1699 anni dall’initium liberatis di Costantino, e a 1632 dal finis libertatis di Teodosio & C”.
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