La domanda che sorge spontaneamente leggendo il documento dei cinquanta e passa costituzionalisti italiani è ispirata alla semplicità: dove sono stati questi esimi studiosi negli ultimi due anni? Hanno seguito il dibattito che si è svolto in Parlamento e hanno forse registrato proposte alternative provenienti da forze politiche rappresentative più rispondenti alle loro aspettative?
Non è certo difficile sostenere la tesi che si poteva realizzare una riforma migliore; dal documento dei costituzionalisti si evince questa chiara convinzione, che alcuni di essi hanno anche esplicitato personalmente.
E’ fuor di dubbio che un buon costituzionalista sarebbe stato in grado, a tavolino, di redigere un testo migliore e più coerente. Ma sarebbe passato alla Camera e al Senato? Perché qui sta il problema che gli eminenti costituzionalisti si guardano bene dall’affrontare.
I costituzionalisti in oggetto si trovano uniti a esprimere delle critiche a posteriori alle proposte uscite dalla Camere; ma gli stessi costituzionalisti sarebbero stati in grado di scrivere insieme un testo condiviso? Nutro parecchi dubbi in proposito. E’ lecito ritenere che probabilmente si sarebbe verificato fra loro lo stesso contrasto di opinioni che si è manifestato in Parlamento e tra i partiti.
Fa specie poi il richiamo al fatto che le modifiche costituzionali non siano state supportate da una maggioranza ampia, come sarebbe stato preferibile trattandosi di materia costituzionale. Ma proviamo a scendere un momento dagli ideali discorsi teorici per passare alla concreta realtà italiana e del nostro Parlamento; da dove doveva venire questa larga maggioranza? Dalla destra di Berlusconi? Qualcuno si ricorda le levate di scudi quando Renzi ha tentato l’intesa su questi temi col leader della destra? Non ho presente che qualcuno di questi costituzionalisti abbia allora alzato la voce per dire che si trattava della strada giusta. Oppure si trattava di cercare un accordo coi 5Stelle? Ma da quando in qua è stato possibile un accordo coi 5 Stelle anche sul più insignificante dei provvedimenti?
Il documento esprime a riguardo un discorso di scuola, ma se dovessimo attenerci a questi principi da manuale, vorrebbe dire che, almeno nel presente momento politico o storico, sarebbe impossibile mettere mano a qualunque riforma costituzionale. Salvo sempre che i costituzionalisti ci suggeriscano come.
Ma il punto decisamente più debole e più critico del discorso dei costituzionalisti riguarda la posizione sulla scelta di fondo del disegno costituzionale, e cioè la scelta monocamerale. Mi sia consentito ricordare in proposito che la scelta originaria dell’Ulivo consisteva nell’abolizione del Senato.
Le osservazioni esposte nel documento, relative al carattere del Senato, sembrano andare piuttosto nella direzione opposta di un suo più ampio riconoscimento, sia pure nel segno della rappresentanza regionale, dunque in una logica bicamerale.
Ognuna delle due scelte, mono e bicamerale, comporta delle conseguenze: scegliendo coerentemente il monocameralismo le critiche espresse non avrebbero senso e dovrebbero muoversi piuttosto in direzione opposta; la scelta del bicameralismo comporta, come si è visto in Parlamento e come ne è rimasta traccia nell’elaborato, la rincorsa ad aggiungere compiti e poteri e a ridare al Senato un carattere elettivo, che si voleva per principio togliere o contenere. La scelta dei costituzionalisti, ispirata a un bicameralismo imperfetto a base regionale, magari bello teoricamente, non sembra per nulla esente da questa prospettiva.
L’affermazione, po, che le scelte importanti ricadrebbero nell’influenza dominante del Governo, attraverso il controllo della propria maggioranza, specie se rafforzata da un sistema di elezione improntata ad un forte effetto maggioritario, costituisce una vera perla. L’idea del sistema monocamerale non era concepito nell’intento di una maggiore governabilità? E da quando in qua le leggi elettorali vengono proposte per avere un risultato minoritario o solo leggermente maggioritario? Così era stata fatta in passato dalla destra la legge per il Senato che forniva risultati con esigue differenze, rendendo precaria ogni stabilità e governabilità (sarebbe bene non dimenticare il caso De Gregorio).
Vi è infine la critica che Renzi avrebbe personalizzato lo scontro, facendo del referendum costituzionale un referendum sulla sua persona. Renzi ha affermato che la sconfitta della riforma costituzionale comporterebbe il suo ritiro. Sembra un discorso del tutto logico e coerente. Ci sono presidenti del Consiglio che hanno lasciato anche per cause di minore importanza. Come dice Sergio Romano, questo sarebbe in ogni caso inevitabile anche senza le dichiarazioni di Renzi.
Ma l’affermazione dei giuristi appare francamente sorprendente, in quanto il loro documento è chiaramente un documento contro Renzi. E allora perché fingere di stupirsi? Se vincessero i no i costituzionalisti firmatari otterrebbero un duplice risultato a loro favore: la bocciatura della riforma costituzionale e il ritiro di Renzi. Forse nascerebbe qualche problema per il paese, ma a questo ci si penserà successivamente.
Non meno discutibile appare la considerazione che con un voto “unico” invece che in parti separate, si fanno prevalere “ragioni politiche”. Ma cambiando la Costituzione di che cosa si sta parlando? Sinceramente, da semplice cittadino, penso che si tratti di politica e che politicamente si debba scegliere. Anche i costituzionalisti come tutti, individualmente, facciano la propria scelta.
Avevo già deciso motivatamente di votare sì; la lettura del documento non fa che rafforzare la mia convinzione (e di questo devo ringraziare i costituzionalisti).
Una cosa però è preoccupante: non è certo in discussione la competenza degli autori nel loro campo, ma non sembra che sia loro abbastanza presente la situazione politica reale e l’esigenza di manifestare una visione ispirata al miglioramento possibile. Si esaminano delle questioni specifiche, si perde di vista l’orizzonte più ampio.
Decisamente, con la discesa in campo di tante personalità, ci si poteva attendere qualcosa di più e di meglio nel merito e nella coscienza etico-politica.
Sandro Antoniazzi
18 Maggio 2016 at 22:15
Grazie per la Tua analisi pacata, anche amara, ma molto realista….. La conclusione poi, nelle ultime due righe, credo che la possano condividere anche quelli che si affannano a sparare le cartucce del no….
22 Maggio 2016 at 09:16
Non sono un costituzionalista e, dunque, non ho firmato alcun documento, né quello dei 56 favorevoli al “no”, di cui parla Sandro Antoniazzi, né quello dei 100 favorevoli al “si” di cui si parla sui giornali come di iniziativa sostenuta da Renzi. Ciò detto devo anzitutto affermare che non ho ancora maturato una scelta definitiva sul referendum costituzionale ma, visto che il dibattito si sta orientando più su temi di metodo che non di merito, mi permetto di esplicitare tre riflessioni precedute da una premessa mutuata dall’articolo che Padre Francesco Occhetta ha pubblicato su Civiltà Cattolica n. 3982 dal titolo “La Riforma della Costituzione” e che dice: “L’uno o l’altro giudizio non negherà la ragionevolezza della tesi opposta.” Affermazione pienamente condivisibile contraddetta però dal dibattito referendario appena iniziato, il che mi fa dire che se questo è l’inizio non oso immaginare cosa succederà nelle prossime settimane.
La prima riflessione è relativa alla personalizzazione della campagna elettorale introdotta da Renzi con l’affermazione “se non passa il referendum lascio la politica” salvo poi accusare il fronte del no della destra (Meloni e Salvini) di fare del referendum una consultazione pro o contro di lui. A me pare che la citata affermazione di Renzi si configuri come un ricatto, o se non tale certamente come una indebita ingerenza nel dibattito referendario non su ragioni di merito ma per quelle di metodo. Non può, su una materia tanto delicata come la riforma della Costituzione, un clima da “dopo di me il diluvio” sia perché, per usare frasi fatte, tutti sono utili ma nessuno è indispensabile, sia perché non può esistere un automatismo per il quale la vittoria del “no” implichi la caduta del Governo pur se favorevole al “si”. Non si è sempre detto che la riforma della Costituzione prescinde dalla semplice maggioranza politica del Governo in carica?
La seconda riflessione mi è suggerita da quanto ha scritto Alberto Melloni come commento al citato articolo di Padre Occhetta. Ricorda Melloni che la tentata Riforma Berlusconi è naufragata nel referendum del 2006 perché contro la demolizione della Carta ha prevalso “l’istinto materno” del variegato mondo cattolico in difesa della Costituzione, e afferma che è pur vero che la Riforma Boschi non tocca i capisaldi della Costituzione, ma nel momento in cui Matteo Renzi intesta il referendum ad un Governo che ha fatto dei corpi intermedi, che sono un caposaldo del nostro sistema, qualcosa da abbattere, può tornare a manifestarsi “l’istinto materno”, aggiungo io non solo del mondo cattolico, le cui molteplici organizzazioni e associazioni sono parte rilevante dei “corpi intermedi”, ma anche del mondo sindacale che, pur con tutti i suoi limiti, proprio irrilevante non è se continua a rappresentare 12 milioni di iscritti nonostante l’opera di marginalizzazione del Governo Renzi.
La terza riflessione richiama quanto ha scritto oggi Eugenio Scalfari su La Repubblica a proposito del referendum: “L’appuntamento è decisivo. Se Renzi vince sarà padrone, se perde si apre uno scenario nuovo sul quale è molto difficile fare previsioni. Personalmente — l’ho già detto e scritto — voterò no, ma non tanto per le domande del referendum quanto per la legge elettorale che gli è strettissimamente connessa. Se Renzi cambia quella legge (personalmente ho suggerito quella di De Gasperi del 1953) voterò sì, altrimenti no. E immagino che siano molti a votare in questo stesso modo.” La questione che Scalfari ripropone, assieme a tanti altri, non è affatto marginale e merita grande attenzione perché più che la forma delle istituzioni riguarda la qualità della democrazia, compresa la trasformazione, di fatto, del regime della democrazia parlamentare in quello della democrazia presidenziale. Se sia bene o male non lo so, certo è che non può avvenire per tacito consenso, senza discussione alcuna.
Si può obiettare che tutto questo nulla centra con il merito della riforma della Costituzione, ma anche rispondere che anche le affermazioni di Renzi o della Boschi non c’entrano nulla, ma pesano. A proposito della Boschi che colloca i sostenitori del “no” tra gli amici di Casa Paund, vorrei che spiegasse per quali occulte ragioni tali sono gli ex Presidenti della Corte Costituzionale Francesco Amirante, Franco Bile, Francesco Paolo Casavola, Enzo Cheli, Riccardo Chieppa, Ugo De Siervo, Giovanni Maria Flick, Franco Gallo, Giudo Neppi Modona, Valerio Onida, Romano Vaccarella, Paolo Maddalena, Gustavo Zaghebelsky.
Un pò di moderazione non guasterebbe, anzi favorirebbe l’auspicio di Padre Occhetta: “L’uno o l’altro giudizio non negherà la ragionevolezza della tesi opposta.”
23 Maggio 2016 at 10:46
Condivido le considerazioni di Vialba. Non credo che quella votata dal Parlamento sia, nè per il metodo nè per i contenuti, l’unico modo per riformare la Costituzione. Abolire (di fatto) il Senato e riportare alcune competenze allo Stato centrale sono, insieme all’abolizione del CNEL e il ridimensionamento delle Province il grande risultato atteso dai cittadini? Può darsi, ma non mi sembra una grande conquista. E sostenere che il monocameralismo fosse una speranza di uomini della sinistra o parte del programma dell’Ulivo mi interessa relativamente, non è che i leaders della sinistra o dell’Ulivo avessero la verità rivelata in fatto di riforme. E si può sembra cambiare idea. Si può essere cattolici democratici, considerarsi riformatori e di centro sinistra pur non tifando per il monocameralismo? per me sì; come è possibile pur restando proporzionalisti per quanto riguarda la legge elettorale. In quanto all’accusa rivolta al fatto che chi vota NO è come Casa Pound, mi permetto di dire che fin dal referendum sul Divorzio le varie posizioni e sigle si sono sempre intrecciate (cattolici democratici hanno votato come i missini, e fior di liberali come i più incalliti comunisti); quando ci fu il referendum del 2006 tutti i contrari alla proposta di riforma furono i benvenuti. Quindi anche a me pare che non la si debba buttare in caciara, mentre ognuno dovrebbe limitarsi a spiegare il proprio pensiero senza demonizzare chi la pensa in modo opposto. Per quanto mi riguarda (se non mi è sfuggito qualcosa di importante) non trovo nel nuovo testo approvato dal Parlamento, Istitui e spazi che concorrano ad aumentare la partecipazione popolare alla vita democratica e istituzionale e alle scelte; nulla che aumenti il ruolo delle autonomie sociali, e locali. La cosiddetta Democrazia Deliberativa non mi sembra sia stata considerata! Su questo mi piacerebbe avere ulteriori decisioni. A meno che tutta la filosofia della riforma non si riduca a due principi: più efficienza, e meno costi. Ma credo che gli obiettivi, almeno per il cattolicesimo democratico, siano la crescita e l’allargamento della democrazia.
26 Maggio 2016 at 11:01
Caro Sandro, posso anche capire che ci facciamo prendere dalla polemica. Ma questa volta non sono d’accordo con te.
Il documento dei 56 è esattamente quanto di meglio ci si potrebbe aspettare da un manipolo di intellettuali e di giuristi e costituzionalisti esimi. Non è una presa di posizione schematica e faziosa: parte dalla chiara differenziazione rispetto a chi eleva grida sulla democrazia in pericolo. Esprime una serie di pareri che aiutano a pensare e a farsi un’opinione. Si può non essere d’accordo con le conclusioni, ma non merita dileggio.
In particolare:
1. Non è vero che l’Ulivo auspicasse l’abolizione del Senato: casomai la famosa tesi originaria parlava di eliminare il bicameralismo perfetto e paritario, ricollocando il Senato in altra funzione;
2. Il problema non è se Berlusconi o i 5 stelle avessero proposte migliori, ma è se potevano esserci soluzioni tecnicamente e politicamente migliori su diversi punti, che potevano forse allargare il consenso; non capisco la tua domanda se un progetto diverso “sarebbe passato alla camera o al senato”, dato che il punto è esattamente che il progetto è stato rigorosamente di maggioranza: quindi la maggioranza poteva anche scriverlo diversamente; continuo a pensare che sforzarsi di allargare il quadro è un valore sulle scelte costituzionali, come insegna la ventura non favorevole di recenti riforme imposte a risicata maggioranza;
3. Mi pare ovvio che sia sempre meglio sottoporre ai cittadini quesiti specifici e limitati (non a caso anche i tecnici hanno discusso di possibili “spacchettamenti”, mostrando che magari non sia semplice, ma che la questione non è di lana caprina). Altrimenti è più difficile farsi un’idea in materie complicate, e prevalgono gli aspetti demagogici (“abbiamo ridotto il costo della politica”);
4. Come non vedere un problema nell’accentuazione personalistica di Renzi? Basti pensare che il referendum è previsto dall’art. 138 come salvaguardia per chi è rimasto in minoranza nelle aule parlamentari (sempre che non ci sia stata la maggioranza oltre i due terzi), e invece è stato imbracciato con determinazione dal promotore delle riforme, con tanto di annuncio previo dei comitati del sì. Non ti sfuggirà che in una certa fase – quando ancora teneva il patto del Nazareno – si era addirittura discusso di far uscire alcuni parlamentari per non superare i due terzi e quindi “poter” promuovere il referendum… Un referendum cercato come un plebiscito è molto diverso da un referendum praticato come forma di garanzia.
Con questo, continuiamo serenamente a discutere.
27 Maggio 2016 at 13:27
1. difficile non vedere la continuità del testo approvato con la Tesi 4 dell’Ulivo che coglieva il punto non tanto nell’espansione delle materie del 117 ma in un Sebato in cui i componenti fossero anche consiglieri regionali rappresentativi dei loro pari, il che a sua volta era la ripresa delle idee di Mortati e Conti nella prima fase della Costituente;
2. il progetto, strada facendo, si è ristretto nel voto alla sola maggioranza, ma nelle prime letture era stato votato anche da Forza Italia. Non casualmente: era stato infatti elaborato nell’ambito della Commissione Letta da un’ampia maggioranza bipartisan. Per questo poi ritroviamo nel manifesto del sì larga parte dei componenti di quella Commissione (e non) notoriamente vicini al centrodestr.a http://www.bastaunsi.it/ragioni-del-si (mi limito a segnalare solo i più noti: Caravita, Frosini, Giuffré, Lippolis, Mannoni, Nicotra, Salerno, Violini) oltre peraltro a quelli che sono vicini alla sinistra del Pd o comunque alla sinistra non renziana variamente connotata (Bardi, Chiti, Massari, Messori, Olivero, Pericu). Per inciso, mi sembra anche molto significativa la presenza di area cattolica di centrosinistra : Castelli, Cerulli, Clementi, Curreri, D’Andrea, Diotallevi, Malgeri, Olivetti, Pizzetti, Pombeni, Raniolo, Rinella, G. Rodano, Vassallo.
3. il tema del possibile spacchettamento è sorto a fine percorso ed è stato bocciato a grande maggioranza anche nell’ambito del Comitato del No;
4. la Costituzione non limita i motivi per i quali si può richiedere il referendum, Nel 2001 Leopoldo Elia spiego’ puntualmente che pur essendo stato pensato immaginandone un uso per lo più oppositivo alla riforma, in alcuni casi, come quello, anche chi lo approvava in Parlamento poteva ritenere opportuno chiedere un voto in funzione approvativa. Tant’è che lo stesso Elia firmò la richiesta della maggioranza. In questo caso il problema c’era a monte perché il terzo schieramento, il M5S, sosteneva che gli altri due potevano raggiunbgere i due terzi a causa di una legge bocciata in quanto illegittima e stavano quindi non solo votando abusivamente una riforma ma anche precludendo un verdetto popolare. Per questo in quella fase di maggioranza larga fu risposto che si sarebbe comunque consentita una verifica popolare anche facendo mancare i due terzi.
Cari saluti a tutti