Bello, l’incontro di sabato 5 ottobre dei Cattolici democratici lombardi, a Milano. Diviso in due parti: la prima, che, grazie alle relazioni di Giorgio Campanini e di Guido Formigoni, ci ha in qualche misura raccontato, il mattino, la ”storia” del cattolicesimo democratico, rispettivamente, da De Gasperi a Moro, e dall’assassinio di Moro ai giorni nostri. La seconda, svoltasi nel pomeriggio, che ha analizzato il dopo DC, cioè il percorso dal PPI all’Ulivo, evidenziando i problemi e le prospettive “aggiornate” del cattolicesimo democratico.
Giorgio Campanini ci ha ricordato la costante dialettica interna al mondo cattolico tra “conservatori” e “democratici”, tra sostenitori accaniti della “tradizione”, anche in qualche misura nostalgici del modello “corporativo”, e comunque sempre un poco diffidenti o comunque piuttosto timidi verso la democrazia, in alcune espressioni, del resto, caratterizzata da pulsioni anticlericali e antireligiose, e coraggiosi fautori, invece, di un’ apertura al mondo che stava cambiando profondamente, anche nel rapporto tra potere e cittadini. Una dialettica in continua evoluzione e che, grazie agli “avvenimenti”, cioè a ciò che la storia di fatto realizzava, e allo stesso mutato atteggiamento del “Magistero”, ha prodotto, negli anni 1943/45, un mutamento genetico in questo mondo, di cui restano prove basilari il “codice di Camaldoli” e le “idee” di De Gasperi, e che ha prodotto il sorprendente contributo del cattolicesimo democratico alla Costituzione italiana del 1948. Anno cui è seguita la lunga fase “centrista”, dominata dalla Democrazia cristiana. Un “centrismo” caratterizzato da una forte volontà riformatrice, e che andrebbe pertanto, in qualche misura, storicamente rivalutato. E che ha prodotto tra l’altro, pur con non irrilevanti zone d’ombra, la riforma agraria, la scuola dell’obbligo, la lotta all’analfabetismo, uno sviluppo economico straordinario. Ma anche una grande sensibilità europea, e un fattivo contributo italiano alla pace. D’altronde, la DC era, nella mente e nelle parole dello statista cattolico trentino, quel famoso partito di centro che …guardava a sinistra.
Cosi, scomparso De Gasperi, l’avvio del centrosinistra, dopo la contrastata, brevissima parentesi del governo Tambroni, è parso un evento quasi naturale, e ha rappresentato un ulteriore “salto”, di qualità, si può dire, per la politica. L’alleanza tra le tradizionali forze di centro, capeggiate dalla DC, e il Partito socialista, veniva sancita sulla base di un programma di riforme che privilegiasse principalmente le classi sociali medio basse, modernizzasse il Paese, e riducesse gli squilibri esistenti al suo interno. Si trattava di un accordo che esprimeva una capacità di lettura della situazione e dei problemi del momento storico. Certo, il significato di quell’”incontro” fu enorme, e i suoi effetti hanno lasciato una scia, verrebbe da dire, imperitura. Se taluno, nel mondo cattolico democratico, si spingeva ad abbozzare, nientemeno, l’idea di “radici cristiane” nel comunismo, in generale, più semplicemente, risultò di straordinaria importanza il riconoscimento, da questa parte, dell’apporto positivo alla società del socialismo. Certo, i cattolici sapevano distinguere tra costruzioni “teoritiche” e realizzazioni pratiche, restavano convinti dell’incompatibilità tra le idee “teoriche” (il materialismo storico) degli ex avversari e le proprie, ma ritenevano ampiamente possibile una collaborazione programmatica.
Diverse rimanevano e forse rimangono la visione del rapporto tra Stato e società (lo “statalismo” e’ “tipico” del socialcomunismo) e la concezione della famiglia, che non infrequentemente vede la “sinistra” su posizioni radicaleggianti. In conclusione si può in ogni caso considerare che merito della DC è stato di rappresentare un momento di attrazione anche per buona parte dei cattolici conservatori, il che ha prodotto il risultato di regalare alla destra, di quel mondo, solo elementi marginali.
Guido Formigoni ha dato avvio alla sua relazione ricordando che la categoria “cattolicesimo democratico” ha diverse facce. Volendo rappresentare una sorta di “idealtipo”, si potrebbe dire che il cattolico democratico mostra una sensibilità, nel contempo, alla cultura, alla spiritualità, alla politica, e al sociale, con una visione di società permeata di giustizia, solidarietà, uguaglianza. E’ aperto alla “modernità” e condivide l’idea della “laicità” della politica, intendendo con ciò che toccano in ogni caso alla responsabilità del “laicato” le concrete scelte politiche, fermo restando il riferimento ai grandi “principi” espressi dal Magistero.
Le fasi storiche successive al periodo descritto da Campanini sono segnate da tre date che rappresentano una sorta di spartiacque l’una dall’altra: il 1978, anno della morte di Aldo Moro, cioè del grande personaggio democristiano che proponeva una strategia del cambiamento che tenesse conto della nuova situazione sociale ed economica del Paese. Era il momento preparatorio, la fase di transizione al “compromesso storico”, che poi si realizzerà. Lo stesso orizzonte ecclesiale si apre a una prospettiva impensata, in occasione in particolare del grande convegno titolato, è noto, “Evangelizzazione e promozione umana”. Realizzato, appunto, in vista di “un ripensamento della missione della Chiesa nel mondo contemporaneo, di un impegno per una coscienza religiosa autentica e nuova, un confronto vertiginoso col mondo moderno…..” (Paolo VI).
Poi, l’anno 1981, che vede realizzarsi “l’assemblea degli esterni”, ma che chiude un periodo che non ha prodotto, alla fine, una vera stagione di rinnovamento, e che vede la segreteria nazionale della DC mostrarsi sensibile al richiamo alle “radici cattoliche”, e, correlatamente, un cattolicesimo democratico non in grado, di là dagli apporti di singoli, di fornire un contributo organico d’idee, così che, complessivamente, il partito dimostra un approccio debole nei confronti del liberismo. Vengono altresì bruciate alternative interessanti quali l’esperienza del MPL, e scoraggiati taluni “movimentismi” che chiedevano più apertura alla società. Contributi positivi all’idea del rinnovamento certamente si possono registrare, ma hanno una valenza settoriale, non generale. L’arrivo, poi, del “Papa polacco”, fa registrare l’imperativo all’unità e a una presenza più che altro sociale del cattolicesimo, il che comporta, di fatto, una sorta di presa di distanza dall’orizzonte politico/partitico in generale.
Il 1993, infine, è l’anno della fine della DC. Il nuovo “Partito popolare” evoca una voglia di ritorno alle “origini”, al PPI sturziano. Prevale di nuovo una logica “centrista”, che però non basterà a evitare la scissione in due tronconi del 1995 e la successiva ridefinizione del quadro politico italiano nel senso della costituzione dei due grossi schieramenti, di centrodestra e di centrosinistra. Il contributo dei cattolici democratici, in questa fase politica, resta, ancora, fragile. E, più in generale, nel mondo del cattolicesimo politico riemerge la tendenza (tanto più dopo la fine del muro di Berlino, e i suoi successivi effetti sul piano internazionale) al moto di orgoglio, perché “abbiamo avuto ragione” e “continuiamo ad averla”. Dunque, veniva a mancare, nonostante le promettenti promesse più sopra citate, un’analisi seria ed esauriente di ciò che era accaduto. L’illusione era che bastasse la collocazione (nel centrosinistra) a risolvere il problema del necessario contributo d’idee che ci si poteva e doveva aspettare dal cattolicesimo democratico. La riprova sono stati i modesti momenti di discussione all’interno dell’organismo partitico. Certo, anche in quella situazione si sono tentate delle “alternative”: la Rete, i Cristiano sociali. Ma il loro “peso” è rimasto piuttosto relativo, parziale.
Nel 2007, infine, nasce il Partito democratico, e c’è l’incontro storico tra “post comunisti” e “post democristiani” (di sinistra) in particolare. L’incontro tra due identità. Ma, ancora a sei anni di distanza dall’apparizione del PD, restano tuttora forti le obiezioni, nel nostro mondo, circa l’insufficienza dell’apporto sia concettuale sia programmatico dei “nostri”, in quel partito. E rimane aperta la riflessione sul cosiddetto “discorso identitario”. Parlando di questi anni più recenti, non si può non fare un accenno al fenomeno che potrebbe andare sotto il nome di “ruinismo”, con ovvio riferimento al cardinale Ruini, presidente della CEI dal lontano 1991 sino al 2007. Una presidenza che, di fatto, è stato caratterizzata, per quanto riguarda la politica, da un metodo che ha dato scarsa rilevanza alla “mediazione”. La politica voleva essere “gestita”, diciamo così, direttamente dalla stessa CEI, col risultato che essa veniva in qualche misura sottovalutata, mentre veniva enfatizzato il “sociale”. A conclusione di tutte queste “vicende” si può in ogni caso considerare, tornando allo specifico del cattolicesimo democratico, che la sensibilità da esso espressa è pur sopravvissuta e ha avuto un ruolo, pur se sottorappresentato. Ma, alla fine, è parso estenuato dal percorso compiuto, caratterizzato dalla continua dialettica tra esigenza identitaria e necessità di una capacità progettuale.
Interessante la riflessione di Gianni Cervetti, già comunista, che, guardando all’attualità, ha detto che la coppia Napolitano-Letta rappresenta oggi, guarda caso, le due facce del riformismo italiano: quello di origine social comunista e quello cattolico. Ha però aggiunto che resta aperto l’interrogativo se sia opportuno che le due componenti convivano nella stessa formazione politico-partitica o se sia preferibile ipotizzare altre forme di convergenza.
Franco Monaco ha iniziato il suo intervento ricordando che l’idea di fondo del cattolicesimo democratico è stata quella di accettare la sfida della modernità, e di adottare, in politica, il metodo democratico. Esso è una “parte” del cattolicesimo politico, rappresentandone la versione orientata al centrosinistra. Una componente che si definisce riformista e innovatrice. Lo sfondo storico è noto: da una parte il PCI, partito-famiglia ideologico. Dall’altro la DC, con alle spalle la Chiesa cattolica. Con riferimento allo “sfondo ecclesiale”, Monaco ha ricordato che negli anni di Giovanni Paolo II e di Ruini la Chiesa è stata fortemente preoccupata per quella che veniva definita una “scristianizzazione”, una resa al secolarismo e ai suoi valori, resa che andava contrastata politicamente ma anche valorizzando l’associazionismo cattolico e i movimenti “a vocazione mista”, come Comunione e Liberazione. La presa d’atto del pluralismo politico dei cattolici era parsa tardiva e, in qualche misura, subita. Di contro veniva prodotto un attivismo ecclesiastico di vertice, che comportava una pressione diretta sulla politica, delegittimando i politici cattolici.
Il percorso ha registrato la nascita del PPI, visto come una sorta di ripresa ricreativa del popolarismo sturziano, che ribadiva una sorta di “terzietà” del centro politico, preoccupato di drenare un consenso che rischiava di finire a destra. Dopo la vicenda Buttiglione del ’94, in qualche modo si mettono le premesse per la costituzione dell’Ulivo: vedi l’azione dei cristiano sociali, vedi la posizione di Ermanno Gorrieri, contrario al Partito popolare, vedi, in particolare, la nascita dello “Asinello”. Vedi, infine, la nascita della “Margherita”, che si poneva in collaborazione/competizione coi DS. Certo, nel campo cattolico democratico viene ribadita con forza l’autonomia della politica dalla religione e la vocazione a un riformismo che privilegia la giustizia, la solidarietà, l’uguaglianza, e in ogni caso l’interesse per i diritti umani, pur con la dovuta attenzione, anche, alla questione del “merito”.
I problemi che restano aperti, anche in presenza del PD, al di là della questione del “giudizio” storico da dare sulla Democrazia cristiana, restano, per i cattolici democratici, questi: se preferire la formula di una presenza organizzata o limitarsi a essere “fermento” nel Paese; il giudizio sul “bipolarismo”; quale tipo di rapporto instaurare con le sinistre: un rapporto sindacal-negoziale o una cooperazione competitiva come fu l’idea della Margherita? O un coprotagonismo che comporti un confronto sulla base di una pari dignità? Quanto sopra lascia in ogni caso aperto l’interrogativo se optare per un partito semplicemente “elettorale” o un partito di stampo tradizionale, molto dedito all’organizzazione. Circa, infine, alle prospettive, l’obiettivo primo è quello di contrastare le spinte neocentriste, magari sollecitate anche da certo attivismo ecclesiastico. Che sollecitano, appunto, un centro a dominanza cattolico/clericale da contrapporre a una sinistra laico/laicista. Ma nei cattolici democratici resta ferma la convinzione della necessità di un rapporto stretto con la sinistra. Realizzando così una convergenza tra famiglie “spirituali” distinte (perché con una visione antropologica non sempre coincidente), che però realizzano convergenze “pratiche”, nella prospettiva del bene comune.
Degli interventi dei presenti si può dire, semplicemente, che è emersa evidente la convinzione che il cattolicesimo democratico ha una storia nobile ma anche una prospettiva attuale. E che in tutti c’è una voglia di avere più precisi e più aggiornati punti di riferimento per continuare la battaglia “politico-culturale” in una società in vertiginosa trasformazione, che rischia in generale di non avere più, appunto, alcun punto di riferimento”.
Vincenzo Ortolina