Il passaggio che sta vivendo la Chiesa, finalmente una chiesa che non si limita a difendere se stessa e la sua storia ma cerca di trasmettere il suo messaggio di liberazione al mondo, va vissuto, può essere vissuto, dai credenti con pazienza, fiducia, rispetto di tutte le posizioni, proprio per essere fedele a se stessa. Ma non senza vigilanza: le troppe superficialità, disattenzioni, leggerezze, cui si è ricorsi come risposte alla sfida della modernità, rischiano di riproporsi nel contesto di tentazioni di semplificazione polemica non più giustificata.
E’ una reazione sorta naturalmente in me di fronte ai passaggi di discorsi di Papa Francesco e del cardinal Bagnasco, che la stampa on line è stata rapidissima a riportare, ma temo senza nemmeno capire di che si parlava, a proposito di una cosiddetta “teoria del genere”, che insidierebbe pericolosamente l’identità femminile, e non solo quella femminile, in una direzione antropologicamente disastrosa. Il rischio c’è, proprio perché si confondono due temi, certamente non senza connessioni fra loro, ma che mi appaiono radicalmente distinti nell’oggetto, oltre che entrambi delicatissimi.
Il fatto è che solo da poco ci si è posti di fronte a quella che si chiama “teoria del genere”, e non senza pericolose confusioni fra due diversi significati che tendono a confondersi entro lo stesso termine.
Da una parte c’è il senso della generalissima e fondante distinzione fra due soggetti, espressa nel patrimonio genetico e nei lasciti dello svilupparsi culturale dell’umano, nelle pratiche del rapporto uguaglianza-differenza fra i due, con una attenzione nuova nella ricerca, anche se ancora non consolidata, al rapporto donne-storia, donne-sociologia, alla stessa fondazione filosofica di questo essere duplice dell’umanità.
Dall’altro c’è l’emergere esplicito di pulsioni sessuali individuali «altre», non segnate dalla riproduzione, sia quando legate a difformità corporee che quando a scelte personali, da comprendere e affrontare con rispetto, ma che proprio per il loro carattere soggettivo, e soggettivamente multiplo, variabile, non possono dar luogo a una fondazione di “generi” intesi come categorie universali.
E la confusione è aggravata dal fatto che, di fronte al dato ovvio dell’essere «due» della umanità, quella che finora è mancata è proprio una teoria di livello filosofico razionale alto. La storia della filosofia sull’umano è stata di fatto, senza rendersene conto, una filosofia del maschile identificato con l’intera umanità; ha fatto ben poco i conti col fatto che la vita umana è caratterizzata dall’esistenza di due generi, qualcosa che segna la stessa creazione, sanzionando in positivo la parità di destino e natura, il valore della relazione, e in negativo il segno dell’inadeguatezza, della sofferenza. Questo dato finora è stato vissuto come un fatto, ovvio e naturale, che ha influenzato costumi e leggende, leggi e pratiche sociali, interrogativi e prepotenze. Ha stimolato verifiche e correzioni adeguate. È stato risolto nella varietà dei rapporti di forza, delle convenienze prevedibili, degli aggiustamenti ragionevoli e dei sussulti di coscienza. Ma certo non ha mai dato luogo a una “teoria”. Lo stesso messaggio cristiano, che pure ha portato un nuovo soffio di vita, non ha mai prodotto una teoria sui due.
Ricordo il caso di San Tommaso, per cui l’anima nel feto si produce più tardi nella femmina che nell’uomo, per cui l'”adiutorium” è finalizzato solo alla riproduzione (perché per altro è necessario un altro uomo). Ma la stessa nascita dell’Università come luogo dei saperi è segnata, e in un luogo e in un momento storico di grande forza femminile, da una violenza antifemminile testimoniata fin dagli inizi dallo scontro durissimo fra quella di Parigi e la veterofemminista Christine de Pisan, che aveva tutti i titoli per accedervi come docente. Alle donne è rimasto rifiutato il latino (simbolo del sacro?) e questo per fortuna ha spinto Dante a scrivere in italiano, per poter essere letto da donne, senza di che non credo ci sarebbe nemmeno l’italianità.
Anche alla Chiesa non solo sono mancate le fondamentali basi teoriche per affrontare i problemi del cambiamento radicale della condizione femminile in epoca moderna; è mancata la coerenza di un messaggio di autocorrezione. Ha via via finito con l’accettare nei fatti cambiamenti radicali, ma non ha ancora registrato davvero come cosa sua la riflessione di tante teologhe e le amarezze di tante credenti. Ha in qualche modo rimosso il problema, ancora aperto, del rapporto delle donne con il sacro, risolto in parte abolendo sì l’assurdo della purificazione dopo il parto della pratica ebraica (nessuna purificazione per l’uomo), ma restando ferma sull’esclusione delle donne dall’esercizio sacerdotale.
Non c’è quindi una unica teoria del genere. C’è una teoria di approfondimento del dato incontrovertibile dell’esser duplice dell’umanità, affrontando le questioni chiave dell’essere due: uguaglianza differenza, relazione, nel dinamismo delle sue radici e delle sue variabili vicende storiche. C’è una questione di ascolto e comprensione delle differenze dei singoli, ereditate nel corpo o indotte dalla vita, in conflitto o in relazione con la fedeltà a se stessi. Ma si tratta di due temi diversi, da tenere ancora separati e da affrontare entrambi senza tabù, e senza confusioni.
Paola Gaiotti de Biase
9 Giugno 2015 at 12:09
La ringrazio, proprio un bel contributo insieme a quello di Lucetta Scaraffia sul Messaggero
dott. Luigina Lampacrescia