Acli, Circoli Dossetti, Città dell’Uomo, Comunità e Lavoro e Rosa Bianca hanno tenuto a Milano, lo scorso 8 aprile, il Seminario “Il lavoro è ancora emancipativo?”. L’autore, che ne è stato tra i promotori, traccia una sintesi-collage degli interventi.
- Come si presenta il lavoro oggi.
1.1 Molte sono state le affermazioni sulla diffusione della flessibilità, precarietà e sulla crescente polarizzazione.
- Uso indiscriminato dei voucher (però viene ricordato che il loro ammontare corrisponde a 43.000 lavori annui a tempo indeterminato)
- Uso del volontariato in luogo del lavoro o confuso col lavoro
- Forte divaricazione e polarizzazione tra un lavoro nobile per pochi e una massa dedita a lavori di scarso valore
- C’è un abisso tra il lavoro professionale e gli altri. Molti lavori non sono emancipativi.
- Con la globalizzazione si è esteso il mercato senza regolarlo
- Si usa il lavoro dove si vuole e come si vuole. Usa e getta. Così si determinano i bassi salari.
- L’affermazione del ministro Poletti sul superamento dell’orario per misurare il lavoro, trova purtroppo un riscontro nella realtà di coloro che lavorano senza guardare agli orari
- La presenza di tanti disoccupati indebolisce il mondo del lavoro e significa essere fuori dal Patto Sociale
- In diverse realtà territoriali esiste ancora il caporalato agricolo
- Diversi giovani finiscono a fatica la scuola e frequentano in qualche modo le professionali (il lavoro, l’inserimento in azienda, è la loro vera emancipazione, perché imparano regole e comportamenti)
- Ci sono persone che lavorano, ma che non sanno come relazionarsi
- Sono decisamente diminuite le cause relative ai “diritti” del lavoro
- Le donne rimangono in una condizione di inferiorità; per lo più guadagnano 1.000 € al mese
- Si può contare meno di prima su regole certe
- Conclusivamente: la flessibilità e la precarietà sono l’antitesi della emancipazione. L’assenza di lavoro non emancipa
1.2 Diverse riflessioni entrano nel merito del lavoro per valutare ciò che lo rende meno emancipativo, oppure indicare condizioni affinché lo sia.
- Siamo di fronte a una nuova rivoluzione industriale
- Una condizione per un lavoro umano è poter usare la mente
- Una seconda condizione è avere un certo grado di autonomia
- Esistono imprese di qualità, ma guardano solo alla parte apicale
- Tende a scomparire il lavoro intermedio
- Non si controllano più le macchine, l’obsolescenza sta qui
- Non si ha un’idea del processo complessivo, dunque è praticamente impossibile partecipare
- Sarebbe necessario un controllo delle mansioni, la possibilità di scelta dei tempi, la conoscenza dell’universo del processo
- Il lavoratore è solo nell’affrontare la “struttura” economica e tecnologica e per questo è perdente
- Il caso dei ricercatori sanitari che svolgono un lavoro molto qualificato e apprezzato, ma in condizioni contrattuali molto deboli (contratti co.co.co annuali e che ora sono stati cancellati )
- Il liberalismo non svaluta il lavoro, dissocia le sue componenti (contenuto, autonomia, retribuzione, considerazione/riconoscimento), mentre l’emancipazione è data dalla loro coesione
- Giovani che entrano al lavoro con una buona istruzione, ma poi devono limitare le aspettative e adattarsi alle condizioni che trovano
- L’emancipazione è ricercata prevalentemente a livello individuale
- Nel lavoro di oggi spesso è richiesto di partecipare con tutta la persona, con un forte rischio di integrazione/alienazione
- Il controllo delle menti è fatto dal mercato che usa anche le emozioni
- Considerazioni sociali e politiche sulla emancipazione.
- Viene sottolineata da molti l’esigenza di formarsi, non solo tecnicamente e professionalmente, ma anche per una maggiore capacità di comprensione e relazione
- Il lavoro emancipa se libera dal bisogno
- Il lavoro dovrebbe corrispondere/inserirsi nel quadro costituzionale (in particolare all’art.4 come concorso al progresso materiale e spirituale della società). In questo è emancipativo
- Occorrerebbe orientare il lavoro verso obiettivi più comuni (es. beni pubblici come l’ambiente e il territorio oppure la green economy)
- Il lavoro è un “pilastro” costituzionale/nazionale che va mantenuto
- I lavoratori avevano interessi particolari, ma che si prestavano a essere presentati come universali. Da qui il lavoro come vettore dell’emancipazione
- Oggi siamo in una situazione plurale non facilmente riconducibile ad una visione unitaria (“il lavoratore”)
- Oggi non si può avallare una “centralità” del lavoro
- Rischio che il lavoro si riduca e sia per pochi, di fronte a una grande massa di disoccupati; si manifesta l’esigenza di spalmare il lavoro su una platea più vasta
- Il lavoro è un diritto che ha un valore cogente ( perché stabilito anche da Convenzioni internazionali)
- L’emancipazione richiede una prospettiva rivolta al futuro (Quando ho iniziato a lavorare mi dicevano che dovevamo lavorare per ricostruire il paese. Era una motivazione forte)
- Occorre avere davanti percorsi anche duri, ma percorribili
- Ciò che conta per l’emancipazione è la mobilità sociale (che dipende da famiglia, relazioni sociali, capitale umano…)
- Etica e valore del lavoro.
- Del valore del lavoro si parlava poco anche una volta. L’operaio non è mai stato considerato ( N.B. Questa osservazione rimarca la discrasia esistente tra una “sopravvalutazione” del lavoro inteso come labour, forza collettiva della classe operaia, e la “sottovalutazione”, disinteresse, per il lavoro concreto)
- Oggi la condizione comune va vista piuttosto nell’essere cittadini (quindi nella politica, che però richiede preparazione e studio)
- Il lavoro è un aspetto essenziale, permanente, della prassi umana
- Occorrerebbe guardare di meno agli aspetti quantitativi e di più a quelli qualitativi (di significato)
- La cittadinanza è stata fin qui legata al lavoro (vedi la Costituzione)
- La persona è più del lavoro. Non è il lavoro a determinare l’uomo; occorre una visone più ampia
- Il lavoro è incentrato sul bisogno. E’ l’azione a emancipare (Arendt)
- Le tecnologie dovrebbero aiutare l’emancipazione
- Difficile oggi un’unità del lavoro, tanto più se i problemi vanno al di là del salario
- L’emancipazione collettiva è un ideale, reso più difficile da una cultura prevalentemente tecnica.
a cura di Sandro Antoniazzi