Dal 1988, secondo “Fortress Europe”, sono più di 18.000 i migranti che sono morti nel mar Mediterraneo tentando di raggiungere l’Europa. E il luogo in cui si situano o da cui prendono spunto queste riflessioni è proprio il Mediterraneo, spazio reale e simbolico di conflitti e dialoghi, che sono stati prodotti nel passato remoto ma che si perpetuano ancora oggi. Le barche (le carrette) carichi di donne e uomini disperati, che sfuggono alla miseria e alla violenza del loro Paese e approdano continuamente sulle coste della Sicilia e del Mediterraneo, ripropongono lo scandalo di un dialogo che non è solo ignorato ma ostacolato. Ciò vale anche per tutte quelle barche che non hanno mai raggiunto le nostre coste e i cui passeggeri hanno rinunciato per sempre al loro progetto di una vita migliore in un luogo che immaginavano foriero di speranza.
Si è spesso descritto il Mediterraneo come un mare ‘rosso di sangue’ a motivo delle guerre che nella storia passata si sono qui combattute e dei morti il cui ricordo sembra commuoverci ancora. Si vuole ignorare, invece, che il Mediterraneo è un mare di sangue che si alimenta ancora oggi dei corpi senza vita di donne e uomini del nostro tempo. Dove sono tutti coloro che si sono imbarcati, stretti in maniera disumana, sulle coste dell’Africa settentrionale e non sono mai sbarcati sulle sponde di qualcuna delle isole italiane? Chi non è mai arrivato a Lampedusa, in Sicilia, oggi dove riposa? Se qualcuno riuscisse a prosciugare tutta l’acqua di questo mare, più che il sangue troverebbe migliaia di corpi distrutti e sfigurati dall’acqua e dal sale del mare, pezzi e brandelli che i pesci non sono riusciti ad eliminare per la sovrabbondanza di carne umana. L’immagine può risultare macabra al nostro pensiero e alla nostra immaginazione pudichi, ma tutto questo già avviene sotto i nostri occhi indifferenti e disumani, che cercano appigli (spesso giustificazioni) nelle legislazioni.
Per recuperare il volto umano di questo mare occorre scendere nella profondità dei significati che questo luogo evoca, come solo i pensatori-mistici sanno intuire. Il Mediterraneo è molto di più di quello cha appare. Il Mediterraneo è un Mito. Nel linguaggio dell’ermeneutica di Raimond Panikkar la parola ‘mito’ indica un orizzonte di senso a partire dal quale è possibile ogni interpretazione del reale, ogni attribuzione di significato, ogni forma di intelligibilità del reale stesso, del suo rapporto con la condizione umana, della relazione fra gli uomini.
Gli abitanti del Mediterraneo sono sempre stati capaci di incontrarsi e di dialogare, sebbene non siano mancati momenti di scontri. In questo luogo si è spianata la strada all’incontro tra culture e religioni sperimentando forme inedite di convivenza e di pluralismo.
Il Mediterraneo può essere ancora il “mare del dialogo” tra le culture e le religioni monoteiste: cristiani (54% ), musulmani (33%) ed ebrei (0,1%), secondo i dati del 2010, che vivono in Italia, provengono da popoli i cui paesi si affacciano su questo mare.
“Nuovo lago Tiberiade”, lo ha definito Giorgio La Pira, che nel 1960 scriveva: “L’umanesimo mediterraneo non è affatto pieno di forme di pensiero estranee al XX sec., ma resta ciò che fu: una sorgente inestinguibile di creatività, un focolare vivente e universale dove gli uomini possono ricevere le luci della conoscenza, la grazia della bellezza e il calore della fraternità”.
Per comprendere il pluralismo culturale e religioso è necessario interrogare il Mediterraneo, luogo significativo della diversità culturale, sedimentata nel corso dei secoli. Prima ancora di un processo proprio della post-modernità, il pluralismo è un’esperienza “complessa” vissuta nel Mediterraneo, risultato di una tessitura storica tra forme culturali e religiose diverse, che hanno creato un condiviso e plurale bagaglio di significati e credenze, di pratiche e costumi, di visioni del mondo nutrite dal “medesimo respiro”. Il Mediterraneo, specchio d’acqua ancora arrossata dal sangue di conflitti recenti, costituisce una pro-vocazione, nel momento in cui sfida tutti a risolvere i conflitti di senso, che ne minacciano la sua funzione unificatrice e pacificatrice. Attraverso la ricca e suggestiva interpretazione dei vari significati e metafore che descrivono e connotano oggi il Mediterraneo, si delinea il ruolo che esso può assumere nella post-modernità, indicando negli abitanti di queste terre i soggetti privilegiati di questa pro-vocazione, che chiama a costruire un progetto di coabitazione. Il Mediterraneo, così, sviscera la capacità di unire le differenze, dando corpo ad una realtà al contempo una e molteplice.
Cosa è diventato oggi il Mediterraneo per i migranti? E quale luogo in particolare?
Nel contesto del “viaggio” del migrante assume un forte valore simbolico l’isola di Lampedusa, luogo pregno di significato, nel mezzo del Mediterraneo, punto di approdo di molti migranti provenienti dalla coste del Nord Africa. In questa terra Marco Loperfido, un giovane sociologo, ha compiuto un viaggio significativo, quasi per sperimentare i percorsi dei migranti e conoscere alcuni protagonisti e ‘testimoni privilegiati’, che raccolgono i corpi dei migranti che qui arrivano, restituiti alla terra dalle onde del Mediterraneo. Egli ha dedicato un’attenzione particolare alla ricostruzione della rotta delle salme che vengono rinvenute a Lampedusa e nel Mediterraneo anche attraverso l’esperienza di Vincenzo, l’ex guardiano del cimitero della medesima isola, che ha dato degna sepoltura a quei corpi anonimi per i quali ha piantato le “croci della pietà”.
“L’uomo è quell’animale che seppellisce i propri morti”, sostiene L. V. Thomas e da ciò ne consegue che dimenticarsi della morte dei migranti diventa la traccia della dimenticanza della nostra umanità. Gli uomini sono tutti differenti, ma uguali di fronte alla morte, ed è forse solo grazie a questa esperienza che potremmo ridefinirci come appartenenti ad un’unica comunità, sentirci uguali pur nella differenza. E’ un viaggio iniziatico dei migranti attraverso le “Acque della morte” del Mediterraneo.
Esiste anche un suggestivo cimitero delle barche dei migranti, arenatesi sulle spiagge o distrutte in mezzo agli scogli, che ben testimonia l’entità e la portata di quanti hanno incontrato “la morte altrove”.
Sono 7.913 le donne e gli uomini sbarcati nei primi sei mesi di quest’anno, sulle coste italiane, quasi il doppio rispetto ai 4.019 arrivati nello stesso periodo dell’anno scorso. E la maggior parte di queste persone sono sbarcate a Lampedusa (3.648).
Ed ora Papa Francesco va a Lampedusa, in quest’isola, “cuore del Mediterraneo”, a gettare una corona di fiori in questo mare…
Carmelina Chiara Canta (Università Roma Tre)