Ha fatto rumore l’intervista schietta e perfino brutale del cardinal Ruini al Corriere della Sera. Si può giudicarla in diversi modi, naturalmente. Il più semplice è considerare che egli esprima un punto di vista e opinioni non certo nuove, magari in forma più diretta rispetto al passato. Si può considerare tale uscita, quindi, come l’evidenza finale del carattere molto «politico» del suo pensiero e contemporaneamente di quanto siano divisi i cattolici italiani nel giudizio politico. Da qui, nessun dramma: non abbiamo sempre sposato la legittimità del pluralismo?
Al massimo, può far specie che sia un autorevole cardinale ad esprimersi con questo linguaggio: esiste forse un problema di etichetta. Quanto una personalità della gerarchia può impegnare i propri personali punti di vista? Non diventano di per sé, per la veste che si indossa, autorevoli giudizi ecclesiali, coinvolgendo confratelli e superiori? Aspetto non banale, ma in fondo anche questo non straordinario e non sconvolgente.
Siamo però sicuri che bastino queste cifre di lettura? A me pare che occorra andare un poco oltre, considerando una serie rilevante di elementi «non detti» che a mio parere emergono sotto la superficie del discorso di Ruini, per rendersi conto che l’intervista coinvolge questioni culturali e teologiche grosse, su cui varrebbe la pena di impegnarsi a fondo. E cioè, detto in altro modo: non basta prendere le distanze dai (o apprezzare i) pareri personali di un cardinale (e nemmeno applaudirlo o al contrario tacciarlo di irresponsabilità), ma occorre prendere sul serio le sfide che il suo intervento apre, per costruire un discorso credibile, che si collochi a tutti i livelli di un ragionamento e di una progettualità ecclesiale, culturale e politica. Provo a elencare i punti non detti che mi pare stiano in filigrana nell’intervista.
- Traspare una visione per cui la persistenza del cristianesimo nelle nostre società secolarizzate dipenda fondamentalmente dal difendere una tradizione civile incarnata bene o male in una serie di istituti e di forme legislative che rappresentano ben di più che semplici regole del vivere, ma si ritiene esprimano modelli culturali ed esistenziali. Il cardinale parla di “sottolineare contenuti molto importanti, non solo per i cattolici”. L’assunto non detto è che esista una tradizione non strettamente confessionale, ma che risponda geneticamente a istanze fondamentali della cultura cattolica e che modificarla sia molto rischioso. Per questo occorre identificare quelle parti della politica che più sono ben disposte verso questi elementi, trovando contatti e cercando di influenzarle. La storia ci dice che il cardinale all’epoca della presidenza della Cei ha presto identificato l’interlocutore apparentemente più influenzabile nella destra italiana, in versione berlusconiana (soprattutto dopo la «conversione» dall’iniziale indifferenza liberaleggiante). In questo il cardinale esprime una visione sicuramente legata a un obiettivo evangelizzatore e il suo non è affatto un politicismo meschino, bensì un modo per affrontare la secolarizzazione: ma è un atteggiamento singolarmente condizionato da un orizzonte culturale ben definito e (almeno ai miei occhi) assolutamente datato e discutibile delle opportunità che la fede cristiana ha di animare ancora la vita delle società sviluppate. Siamo proprio sicuri che tutto quello che la tradizione ci consegna sia irrorato dal cristianesimo, o al contrario che il cristianesimo non abbia la capacità di animare paradossalmente operazioni civili e culturali di innovazione radicale?
- Mi pare chiara l’impostazione secondo cui tale tipo di operazione chieda sostanzialmente un intervento di vertice, chiaramente istituzionale e messo in capo alla gerarchia cattolica, che direttamente si esponga su questi temi, trattando con i vertici politici. Personalmente, leggo qui un residuo di tradizione ecclesiale clericale e verticistica (solo in parte contraddetta dal carattere poco istituzionale di una presa di posizione siffatta da parte di chi è oggi figura autorevole ma non ha responsabilità istituzionali). Ma ancor di più, vedo riflettersi una radicata convinzione di notevole sfiducia verso le capacità dei credenti laici, associati o singoli che siano, di elaborazione culturale e conseguentemente di incontro con la diversità e di mediazione culturale e civile. In ultima analisi, più profondamente, è palese una svalutazione della coscienza dei credenti come luogo decisivo dell’incontro tra libertà e verità, che è il vero punto critico del complesso cammino storico con cui il cristianesimo ha fatto i conti con la modernità. Il livello appropriato della mediazione tra assoluto evangelico e possibilità umane – in quest’ottica – si capisce bene che lo possa decidere saggiamente e coerentemente solo la gerarchia ecclesiastica. E si capisce che la sola gerarchia sia intitolata a promuovere e difendere «il ruolo della fede nello spazio pubblico», obiettivo di rilievo, per cui può anche accettare modalità un po’ scomposte, come l’evocazione mariana e l’agitar di crocifissi del Salvini propagandista.
- Altro punto nodale è la considerazione della marginalità o della scarsa importanza di tutta una serie di questioni su cui la politica contemporanea si gioca, in quanto appunto agli occhi di questa impostazione cattolica ci sarebbero alcuni valori più decisivi e determinanti (“non negoziabili”), legati alle tradizioni che riguardano la vita personale. Su tutte le altre questioni, si può e si deve mediare e anzi si può assumere un atteggiamento addirittura molto disincantato e scettico, perché alla fine – qui sta il non detto – non è dato ottenere risultati storici molto rilevanti in termini di pace e giustizia o di solidarietà o di rispetto del creato, o di dignità di tutte le persone a prescindere dalle loro condizioni contingenti. Insomma, un netto distacco dall’idea della politica come giudizio sintetico in cui le scelte – sempre contingenti e provvisorie – sono però frutto solido e maturo della somma di una serie di valutazioni e criteri che in tutta la gamma dell’azione collettiva tengano conto di metodi e forme, di valori e obiettivi, di possibilità e scelte. La politica come arte sintetica sfuma totalmente.
- A sua volta, appare questo il presupposto necessario dell’idea che si possa «dialogare con Salvini», o portarlo a «crescere», perché appunto gli aspetti più radicali e brutali della sua propaganda riguardano temi ritenuti non cruciali. Da una parte, infatti, il suo messaggio coinvolge tematiche appunto di tipo socio-economico, che costituiscono terreni – a giudizio di questa cultura – troppo fragili e incerti per appoggiarvi l’appello dei credenti ai valori (non a caso il riferimento quasi obbligato nell’intervista all’approccio evangelico non negabile alla questione dei migranti viene subito depotenziato dalla considerazione che quello delle migrazioni è un problema da governare: classica modalità piuttosto capziosa per dire che non è tema su cui si possano trovare posizioni convincenti ed efficaci). Dall’altra parte, questo approccio culturale sottovaluta fortemente tutti gli aspetti del metodo democratico e quelle modalità tecnicamente «fasciste» che fanno parte del bagaglio delle nuove destre, compresa la Lega: l’evocazione della violenza e dell’odio come simbolo e modello di battaglia, la divisione schematica della società in due (“noi” e “loro”), il vitalismo della comunità contrapposto alle mediazioni e alle cautele delle istituzioni, la furbesca abitudine a lanciare il sasso e nascondere la mano. Tutti aspetti considerati superficiali e in fondo irrilevanti: una semplice copertura propagandistica, su cui appunto basterebbe «crescere» un poco per essere inseriti a pieno titolo nella schiera dei «moderati», capaci di governo. A mio parere, si tratta di una sottovalutazione problematica e pericolosissima, ma questo e non altro è il fondo dell’analisi.
- L’opinione per cui l’area di sinistra nel nostro paese sia strutturalmente più lontana della destra dalla possibilità di essere influenzata dall’azione ecclesiastica, in quanto portata a un progressismo di per sé più distaccato dalla tradizione e inoltre pericolosamente aperto verso l’individualismo e un relativismo dei valori tipico della deriva sociale contemporanea. In quanto tale, condizionata dal «politicamente corretto», modello che nell’intervista lui cita come elemento cruciale che ha impedito di «affermare il ruolo della fede nello spazio pubblico». Valutazione che ha indubbiamente alcuni elementi di realismo, data l’evoluzione degli ultimi decenni dei partiti di sinistra moderata nell’occidente, che ripudiando il classismo hanno finito per abbandonare anche la precedente centralità della questione sociale. La deriva verso un «radicalismo» dei diritti individuali non è una constatazione nuova. Ma ancora una volta sottovaluta che alla fine, nonostante ogni riduzione del peso ideologico sulla politica, le questioni della vita economica e sociale, della distribuzione del reddito, del modo di procurarsi le risorse, dell’eguaglianza o meno delle opportunità, tornino regolarmente a galla per condizionare lo scenario politico. La non celata soddisfazione dell’ex presidente della Cei per la perdita di incisività dei credenti schierati a sinistra si colloca in questo orizzonte: prende spunto da un problema reale, facendolo diventare un impedimento strutturale.
Su queste sfide sarebbe bene tornare a lavorare a fondo. Per evidenziare strade e percorsi che discutano a fondo la prospettiva culturale individuata dal cardinale, fondandone una alternativa, ma solida e articolata, che non si limiti alle deprecazioni.
Guido Formigoni
16 Novembre 2019 at 20:38
Tra i tanti commenti all’intervista del Card. Ruini questo mi sembra sicuramente uno dei migliori.
Analisi profonda, che affronta sul piano politico ed ecclesiale la posizione di Ruini con argomenti solidi per costruire, soprattutto politicamente, una “alternativa solida e articolata, che non si limiti alle deprecazioni”
17 Novembre 2019 at 00:03
Grazie…. Analisi molto articolata e profonda….. che evidenzia anche la grande debolezza dell’alternativa.
La vera sfida al Cattolicesimo Democratico è la Tua..( Ruini ha sempre pensato solo a se stesso) .con la Tua analisi e la tua proposta. Siamo molto più solti fermarci alla deprecazione,…all’evento, mentre è nel terzo tempo che l’analisi diventa percorso e progetto. Grazie della sfida…. che qualcuno potrà raccogliere.