In questi giorni, dopo l’approvazione al senato delle unioni civili, si sentono molte considerazioni più o meno lucide: alcuni vorrebbero subito andare all’arrembaggio e altri arroccarsi su quello che si è appena approvato in aula ed ergere un alto muro per frenare ulteriori scelte. Tutti, comunque, sembrano poco inclini a misurarsi seriamente con i processi in corso e con la grande posta in gioco, che porta in sè pesanti implicazioni in campo politico, culturale, sociale. In questa temperie culturale marcata dal pensiero debole, dai partiti dovrebbe arrivare un forte impulso a tornare a pensare.
Viviamo nella società degli individui: tutte le grandi organizzazioni come le chiese, i partiti, i sindacati e le famiglie sono in crisi e questo spiega molto dell’agitazione in corso, finalizzata a cercare consensi che ogni giorno si perdono tra le masse (forse, delle grandi organizzazioni, le chiese sono state le prime ad affrontare il problema della diaspora e, con onestà intellettuale, ad ammetterlo, dopo una lunga marcia di presa di coscienza avviata dal Concilio). Tutti sanno che i partiti sono macchine organizzative potenti, attente al mercato elettorale, immerse in una società liquida, post-ideologica, postindustriale, dove è faticoso catturare il consenso e, quando c’è, si presenta molto labile a causa di un individualismo autoreferenziale, il vero vincitore di tutto. Vedere parlamentari importanti muoversi come alfieri o come capifila dei diritti fa venire sospetti anche a chi non ha il massimo dell’acume. Quando parliamo di gay e lesbiche ci si riferisce circa al 10% della popolazione (un dato scientifico e strutturale di ogni società), una parte della popolazione minoritaria, ma con un peso elettorale non irrilevante, da non lasciare cadere, visto la forte crisi che attraversa la società e le sue organizzazioni, come partiti e sindacati (ci sono in ballo voti spesso decisivi). In questa congiuntura politica, le persone più avvertite sono consapevoli che se si vogliono vincere le elezioni, si devono sommare i voti di porzioni particolari della società: delle donne in primis (la maggioranza della popolazione), degli anziani, dei cattolici, dei militanti sindacali e, perché no, anche degli omosessuali. I giovani contano poco (non parliamo delle generazioni future), visto il grave degiovanimento che caratterizza la società italiana; allo stesso modo i lavoratori, con le delocalizzazioni e le dismissioni delle attività produttive, sono diminuiti e quindi hanno poco peso elettorale.
A complicare il quadro in questa tormentata fase politica, c’è uno spettro che si aggira per l’Europa: il populismo, il quale sfida l’ordine europeo e i partiti storici, raccogliendo valanghe di consensi e mettendo in crisi, con il vento in poppa, l’egemonia delle tradizionali aggregazioni politiche, il cui indebolimento storico è sotto gli occhi di tutti. Su questo sfondo va calato, situato, immerso, il discorso che caratterizza il tema dell’omosessualità e le motivazioni più implicite che inducono i partiti ad assumersene i problemi, adoperandosi con le unghie e con i denti. A mio avviso, chi nel partito ha innescato una discussione sul tema delle unioni civili, ha solo reso più forte il partito verso quella deriva individualista che fortemente influenza tutti. La consegna dei partiti storici è insita nella dialettica che li ha animati, negli ideali che li hanno ispirati, nei valori etici per cui si sono spesi e che erano la loro sostanza. Non dobbiamo lasciar cadere questo lascito, perché è l’unica bussola che ci darà la possibilità di risolvere in modo meno inumano e meno ingiusto i vari problemi che abbiamo davanti.
Ho fatto questo discorso perché ho davanti un esempio di quello che dovrebbe essere un politico di sinistra, e cioè papa Bergoglio. Considerato dalla destra e da alcune frange di sinistra un impolitico (l’impoliticità di papa Francesco), è l’unico sul campo che lotta e fa presente che il divario tra ricchi e poveri si va approfondendo nel mondo e che l’oppressione, lo sfruttamento, l’esclusione si stanno allargando sul pianeta. Papa Bergoglio sta diventando una spina nel fianco del capitalismo, non dà tregua ai potenti e per questo la sinistra dovrebbe sentirsene ispirata. Nel fuoco di tutti questi problemi dove è la sinistra? Di fronte a questo vasto esercito di sfruttati e calpestati, cosa fa la sinistra o il suo braccio politico? Nei paesi dove è stato introdotto da molti anni il matrimonio degli omosessuali o il riconoscimento dei loro diritti non si va oltre, nella migliore delle ipotesi, a regolamentare il 5% della popolazione. Risolviamo in modo giusto i loro problemi, ma affrontiamo le dure questioni sociali che per la sinistra sono centrali e imprescindibili, pena la sua irrilevanza storica (la sinistra dovrebbe marciare in mezzo ai problemi sociali che oggi sono fortemente scottanti e destabilizzanti per tutti).
Viviamo un passaggio storico con forti novità, grandi fermenti, veementi accelerazioni e le società tradizionali sono in difficoltà, stanno lasciando il passo a nuove composizioni multiculturali e prevalentemente urbane. Un partito grande deve misurarsi e fare leva sui grandi temi sociali che attraversano il pianeta e cercare risposte all’altezza delle sfide che abbiamo davanti. Se potessi dare un consiglio alla sinistra, di cui come credente mi sento parte, direi: fai tuo come compagno di viaggio e di ricerca papa Francesco che parla non ex cattedra, ma si cala nel vivo della storia e dei problemi che contano, un pungolo per una forte spinta in avanti.
Mario Giuseppe Molli