Il pensiero di papa Francesco merita di essere ben compreso e approfondito al fine poi di seguirlo e attuarlo.
Ora la novità del suo pensiero sta, per così dire, in una piccola “mossa” che senza mettere in discussione nulla dell’intero impianto dottrinale tradizionale, consente però di vederlo in una luce diversa. Questo accorgimento consiste nel mettere al centro di tutto la “misericordia”, come principio e modo di vita, con cui affrontare la realtà della chiesa e del mondo.
Se al centro si mette la verità, e dunque la dottrine e i dogmi come è avvenuto per secoli, evidentemente ne risulta un ruolo preminente del magistero, del clero nei suoi diversi livelli e funzioni. Ma – senza mettere in discussione la complessa costruzione del clero e delle congregazioni (anche se ce ne sarebbe bisogno perché i secoli trascorsi insieme alle glorie hanno portato anche tanta polvere) – la misericordia reca di per sé uno spirito di unità e di eguaglianza: non divide tra clero e laici, non fa differenze gerarchiche, non richiede condizioni particolari di cultura o di intelligenza; la carità non è una questione di capacità e lo spirito soffia dove vuole.
Ciò porta immediatamente, di conseguenza, all’importanza del popolo di Dio, tante volte richiamato dal Papa. Il popolo di Dio comprende tutti, clero e laici, le cui funzioni naturalmente sono diverse, ma l’appello alla misericordia costituisce appunto un richiamo prioritario a ciò che unifica, prima delle opportune distinzioni.
Come è noto, il tema popolo di Dio aveva costituito un’importante affermazione del decreto conciliare sulla chiesa Lumen Gentium, ma nella realtà della chiesa postconciliare non ha trovato una recezione proporzionata e il principio è andato via via perdendosi. La difficoltà mi sembra sia consistita nel come dare attuazione a un principio nuovo mantenendo inalterata la struttura tradizionale (struttura come organizzazione ecclesiale e come forma mentis).
Papa Francesco supera questo problema facendo del “popolo di Dio” (la chiesa presa nel suo insieme, ma in questa forma unitaria e nuova) un soggetto, il soggetto della presenza e dell’azione cristiana nel mondo. Con questo non vengono superati di colpo tutti i problemi interni esistenti, ma viene indicata una meta comune cui tendere e che spinge a una coscienza cristiana più consapevole e condivisa.
Questo “popolo di Dio” nell’affermazione conciliare era rimasto ancora un po’ “astratto”, nel senso che non si capiva bene come applicarlo; il modo di vedere di papa Francesco è nel merito molto innovativo. Il popolo di Dio si incarna nei concreti popoli che costituiscono il mondo. C’è dunque, se si può dire così, un popolo cristiano argentino, un popolo cristiano italiano…. o, se si preferisce, un popolo cristiano in Argentina, un popolo cristiano in Italia…… così via.
Questo è poi decisivo per porsi i problemi del mondo attuale. I grandi problemi che attraversano l’umanità (un’economia giusta, gli incombenti pericoli climatici, le migrazioni, il lavoro e la disoccupazione, la povertà.… ) richiedono di essere affrontati innanzitutto e direttamente dal popolo di Dio.
Non sono i partiti (cristiani o laici), né altre organizzazioni, ma è il popolo di Dio che ha una responsabilità primaria di fronte ai problemi che sono propri della vita dei popoli, della gente. Se siamo il popolo di Dio in Italia come facciamo a non affrontare i problemi del popolo italiano? La definizione di “popolo di Dio” implica una responsabilità verso il popolo.
Dunque c’è una condizione primaria da osservare di fronte ai grandi problemi politici: è l’impegno diretto del popolo cristiano; l’attività politica specifica, dunque i partiti, le aggregazioni, i programmi, le leggi vengono dopo.
Compito enorme quello che propone papa Francesco; se però riflettiamo un momento possiamo prendere atto che non solo è una risposta giusta, ma anche quella necessaria per affrontare i problemi dell’ora: giusta perché senza una coscienza cristiana condivisa ci troviamo di fronte a tanti cristiani che in campo politico esprimono opinioni del tutto individuali e accidentali che non hanno avuto nessun riscontro con la comunità; necessaria perché per affrontare gli enormi problemi mondiali attuali occorre una convinzione profonda che può trovare un solido fondamento in una fede radicata.
Sandro Antoniazzi
luglio 2019
11 Luglio 2019 at 10:50
“Se al centro si mette la verità, e dunque la dottrine e i dogmi come è avvenuto per secoli, evidentemente ne risulta un ruolo preminente del magistero, del clero nei suoi diversi livelli e funzioni.”
Quindi “amar il prossimo tuo come te stesso” non è una verità (io sono via verità e vita dice il Vangelo) e un “dogma” per i cristiani? E’ una menzogna questo impegno che bisogna distruggere la verità per attuarlo?
Chi ci capisce è bravo…