Il problema della difesa europea

| 1 Comment

di Sandro Antoniazzi

Esiste un problema di difesa europea?  Personalmente penso di sì.

E non per paura della Russia perché l’Europa, sommando i singoli paesi, è più armata della Russia, salvo naturalmente le bombe atomiche.

Ma per le atomiche non si tratta di mettersi alla pari fabbricandone di più, quanto di non usarle e per questo esistono gli appositi trattati: una guerra atomica non avrebbe né vincitori né vinti, ma costituirebbe solo una reciproca distruzione di massa.

Il motivo vero di rafforzare e migliorare la difesa europea sta nelle dichiarazioni di Trump sul ritiro delle truppe americane dall’Europa, perché l’Europa è ricca e può pagarsi la propria difesa.

A parte il fatto che avremo sempre bisogno degli USA e della NATO per la nostra difesa, il discorso di Trump ha un fondamento e ci invita a diventare più autonomi.

Trump, esagerando come è sua abitudine, ci chiede di portare al 5% del PIL la spesa per la difesa, cifra astronomica e fuori dalle nostre possibilità, però va ricordato che esiste un nostro impegno con la NATO di portarla al 2%.

È lecito pensare che il Piano europeo per noi voglia dire raggiungere questo livello; è piuttosto la NATO che oggi vorrebbe alzare l’impegno richiesto dal 2 al 3%, ma per il momento si tratta di un’idea che verrà discussa al prossimo vertice.

Certamente c’è chi si schiera a favore della pace a prescindere da una valutazione storico-politica, ma sulla base di valori ideali: in questo caso il confronto diventa difficile, perché ci si muove su piani del tutto diversi.

Se si ragiona in concreto, una visione “pacifista politica”, potrebbe fornire un utile contributo nel non esagerare, nel non fare spese superflue, a contrastare tesi belliciste, a non demonizzare oltremodo la Russia, a mantenere il dialogo con gli USA, a non farsi catturare da una spirale di una crescente ed esasperata domanda di armamenti.

Per motivi diversi la Francia, la Germania e la Gran Bretagna si sono fatte paladine di propositi più risoluti di difesa: Macron e la Francia si sono dichiarati disposti a garantire la copertura atomica all’Europa, risuscitando ancora una volta la “grandeur” francese (e subito la popolarità di Macron ha conosciuto un sensibile aumento); la Germania ha deciso di investire 500 miliardi in armamenti per rilanciare la propria esausta economia; la Gran Bretagna, un po’ orfana degli USA, ricerca un rapporto con l’Europa ed essendo il paese che, dopo gli USA, ha maggiormente finanziato l’Ucraina, non intende perdere questo ruolo utile anche nel dopoguerra.

Rimane, grande come una casa, il problema del finanziamento del Piano della Von der Leyen che, nel frattempo, ha cambiato nome da Rearm Europe a Readiness 30 (“prontezza”); il nuovo nome, meno guerresco, sta a indicare che l’Europa deve farsi trovare pronta entro 5 anni.

In larga misura questo finanziamento dovrebbe provenire dai singoli Stati, la cui spesa militare non sarà considerata nei parametri europei sul deficit, ma il fatto che l’Europa esoneri le spese militari dai suoi calcoli del debito non è un motivo di grande soddisfazione, perché pur sempre di debito si tratta (e nel caso italiano il debito dovrebbe essere diminuito, non aumentato).

Nel voto al Parlamento europeo, come è noto, il PD si è diviso: metà degli eurodeputati ha votato scheda bianca, come sostenuto dalla Segretaria Schlein, mentre l’altra metà ha votato a favore del Piano.

Il voto a favore appare decisamente più coerente: il PD fa parte del gruppo “Socialisti e democratici” che ha deciso di votare a favore e fa parte della maggioranza Von der Leyen: votando l’astensione si è venuti meno a un duplice rapporto di lealtà. La maggioranza e la politica europea sono ben diverse da quella italiana ed è necessario tenerne conto altrimenti diventa poi difficile per i parlamentari europei svolgere efficacemente il loro compito.

È già pronto un primo piano operativo volto a unificare, razionalizzare, semplificare il sistema europeo degli armamenti (ci ricordiamo dei 12 diversi carri armati europei del Rapporto Draghi?); in quella sede è essenziale essere presenti, ma per questo occorre un atteggiamento positivo.

La motivazione fondamentale dell’astensione è data dal fatto che il Piano non prevede un esercito europeo, ma rafforza gli eserciti dei singoli Stati.

Ma l’esercito europeo, in senso proprio, oggi giorno non è possibile perché i Trattati non lo prevedono.

È lo stesso motivo per cui la Von der Leyen non può presentarsi da Putin per trattare la pace in Ucraina per conto dell’Europa; non può perché non ne ha il potere, sarebbe fuori dai suoi compiti formali.

Non va dimenticato che l’Europa è un’Europa economica, non un’Europa politica.

Dunque, per realizzare un esercito europeo occorre modificare i Trattati, procedura quanto mai lunga e complessa, perché bisogna mettere d’accordo i ventisette Stati.

E poi trattandosi di un tema “politico” sembra illogico cambiare i Trattati solo su un punto; sarebbe più coerente e logico realizzare finalmente un’Europa politica.

In questo caso si tratterebbe di una proposta politica di grande spessore, ma appare evidente la sua difficoltà di fronte agli interessi di tanti Stati diversi.

Per i paesi maggiori l’Unione Europea va bene così in quanto possono facilmente dominarla; un’Europa politica significa rinunciare a poteri importanti (la difesa, la politica estera, la politica economia) e in questo caso i paesi più grandi sono quelli che dovrebbero fare i sacrifici maggiori.

Però fra l’esercito europeo e il Piano Von der Leyen si può pesare di seguire una via di mezzo: attuare questo Piano in una prospettiva di unificazione degli eserciti, ciò che può avvenire sia per accordi fra singoli Stati (come sta avvenendo attualmente coi “volonterosi”), sia con un Comando europeo unificato, come proposto da Draghi.

Si può, dunque, realizzare un’unità militare di fatto a livello europeo che si inserisca in forma congiunta nella NATO, conquistando una maggiore autonomia e conservando le attuali alleanze, opportune e necessarie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

One Comment

  1. Condivisibile il tuo ragionamento, ma un partito deve tener conto anche del modo come un voto viene percepito e della sensibilità dei propri aderenti. Il voto favorevole viene percepito negativamente e si presta alla propaganda “pacifista” della destra

Lascia un commento

Required fields are marked *.