Paola Binetti, deputata dell’Udc, è autrice di un libro, “Etica & democrazia. Il contributo dei cattolici alla politica”, edito da Lindau, con una introduzione di Rocco Buttiglione e una prefazione di Ernesto Galli della Loggia. Un brano della prefazione di Galli della Loggia è stato pubblicato sul Corriere della Sera. Lo storico laico, ma da parecchio tempo assai attento alle vicende politico-culturali del mondo cattolico, in questo brano della sua prefazione avanza alcune osservazioni critiche (“perplessità”, le chiama) sulla plausibilità della dottrina sociale della Chiesa come guida all’azione politica dei cattolici. Osservazioni che, per più aspetti, sono state da tempo avanzate, ovviamente con argomentazioni più approfondite e più appropriate, anche in seno alla riflessione teologica più avvertita…
Ernesto Galli della Loggia, in “Corriere della Sera” del 9 febbraio 2012
Il libro di Paola Binetti testimonia la difficoltà che necessariamente incontra il pensiero cattolico quando è chiamato a dare una risposta alla questione politicamente cruciale della libertà in un sistema democratico. La quale questione può essere scomposta in due aspetti: uno di carattere più propriamente sociale — possono esistere in una democrazia valori collettivi vincolanti, ai quali cioè tutti sono tenuti a obbedire? — e l’altro riferibile invece all’individuo — fino a che punto è giusto porre un limite all’autodeterminazione di ogni soggetto? A quali campi non si può né si deve applicare la libertà di ognuno di decidere che cosa è meglio per lui?
Il tema del diritto naturale acquista un rilievo cruciale precisamente in riferimento a queste due questioni. Un tema davvero spinosissimo, dal momento che affermare che esiste realmente qualcosa come una legge naturale valida per tutto il genere umano significa due cose di certo non facili da accettare per chi non si riconosce nella dottrina cattolica: e cioè da una lato porre un limite invalicabile all’autodeterminazione individuale, e dall’altro che esiste un’omogeneità culturale e antropologica di fondo tra tutte le civiltà del pianeta. Ma, d’altra parte, dire che non esiste nulla di simile al diritto naturale equivale di fatto a svincolare la civitas umana da qualunque norma etica che non sia di origine pattizia e dunque alla fin fine puramente convenzionale. Ciò che a mio parere risulta difficilmente accettabile da chiunque, credente o non credente.
La soluzione del problema mi sembra ovvio che non possa essere trovata che all’insegna di un compromesso tra istanze valoriali universali e diritti individuali. Un difficile equilibrio per sua natura sempre precario, che proprio perciò richiede in tutte le parti una ragionevolezza di fondo, una difesa mite, e soprattutto quanto più possibile argomentata, delle proprie posizioni. Richiede insomma che si stabilisca, tra cosiddetti laici e cattolici, se non lo si vuol chiamare dialogo o incontro, perlomeno una disposizione d’animo collaborativa e non antagonistica.
Non posso nascondere che a me, di formazione culturale laica, suscita più di una perplessità il riferimento che fa Paola Binetti a quella che si chiama la dottrina sociale della Chiesa come alla guida dell’azione politica dei cattolici. Sia chiaro: non già perché disconosca in alcun modo il diritto della Chiesa di orientare i propri fedeli anche in materia politica o sociale. Ma perché, per quanti sforzi faccia, non riesco proprio ad afferrare quali siano effettivamente i contenuti di una tale dottrina. Che i cattolici debbano avere riguardo agli obblighi della giustizia e della carità nonché ai diritti delle persone, debbano accettare lo Stato ma non aspettarsi tutto da esso, operare per la ricerca del bene ma certo non mettere al primo posto il benessere materiale, debbano avere attenzione per le ragioni altrui o astenersi in linea di massima dalla radicalità delle opinioni e dei gesti, tutto ciò non credo che richieda alcuna particolare elaborazione dottrinale. I problemi, sia per i cattolici che per i laici, incominciano però quando si entra appena appena nei particolari, o ci si interroga sui mezzi che bisogna adoperare per raggiungere quegli obiettivi. Dopo quanti anni lavorativi è «giusto» andare in pensione? Può essere considerato sempre un «diritto» la gratuità dell’istruzione universitaria a tutti? E per fare tutt’altro genere di esempio: con quali mezzi assicurare un regime decente in Afghanistan? Con la continuazione delle operazioni militari da parte della Nato o con l’apertura di trattative con i talebani?
Nei regimi democratici la politica è fatta essenzialmente delle risposte a queste e ad altre mille domande del medesimo genere. È fatta cioè della scelta dei mezzi. Ma, come proprio Binetti opportunamente ci ricorda citando Giovanni Paolo II, «la Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire». Cioè sui mezzi lascia che siano i fedeli a decidere di volta in volta. Ma allora mi chiedo: se i fini sono quelli che ogni cristiano (ma non solo) non può non portare nel proprio cuore, se dei mezzi non ci si occupa (ovviamente, del resto: ché altrimenti la Chiesa diverrebbe la succursale di un partito politico), che cosa ne resta in realtà della dottrina sociale della Chiesa?
Del resto, di che cosa sia fatta davvero la passione politica, e a che cosa soprattutto essa presti attenzione, lo indica la stessa Binetti quando a conclusione del libro attacca frontalmente il bipolarismo «per cui l’Italia sta pagando un prezzo altissimo», e auspica con forza un sistema diverso, con una fisiologica larga presenza del centro, cioè della parte in cui essa stessa svolge oggi il suo mandato di deputata. Personalmente non condivido un’opzione sistemica di questo tipo.
Soprattutto sono convinto che non sia assolutamente lecito invocare a suo sostegno — come invece fa l’autrice — i risultati di grande valore indubbiamente conseguiti dalla Democrazia cristiana nella lunga stagione del dopoguerra. È vero infatti che allora la Democrazia cristiana si collocava al centro. Ma in un contesto politico e storico, nazionale e internazionale, del tutto differente da quello attuale: così diverso, a mio giudizio, da essere assolutamente improponibile come significativo termine di paragone.
Oggi l’impegno politico dei cattolici non potrà più mettere capo come allora a un «partito cattolico» — almeno potenzialmente di tutti i cattolici, e anche perciò necessariamente al centro. Oggi quell’impegno non potrà che essere l’impegno per un partito di cattolici e insieme di laici, un partito rappresentativo di istanze di fondo dei primi ma in modi e misura compatibili con quelle dei secondi, e che decida, come tutti gli altri partiti, da che parte collocarsi dello schieramento politico.