Da “Il Regno 2.2012” http://www.ilregno.it/
di Luigi Pedrazzi
Da qualche mese è in libreria, pubblicato dal Mulino, un libro, di 559 ampie pagine (euro 41,00), intitolato Il Vaticano II a Bologna – La riforma conciliare nella città di Lercaro e Dossetti, di cui è autore Giampiero Forcesi. Prima di riferire brevemente sul contenuto del volume, articolato in cinque parti (distinte cronologicamente e relative all’intero episcopato bolognese di Lercaro: 1952-59; 1960-61; 1962-63; 1964-65; 1966-68), è opportuno dire qualcosa dell’Autore e dell’origine di questo singolare testo.
Giampiero Forcesi è nato a Roma nel 1949 e, dopo aver lavorato come operaio edile e fatto l’educatore popolare, è giunto a laurearsi in Storia del cristianesimo nel 1985 a Roma, con i professori Monticone e Pitocco. Aveva 36 anni ed era animato dalla conosciuta passione per l’autonomia di studio e ricerca, così forte in quegli anni, comprese le tematiche religiose tanto ravvivate dal Concilio. Forcesi le aveva incontrate, quando era sui vent’anni, nelle Comunità di Base, numerose allora nelle periferie romane, sperimentandosi, su fogli del dissenso, come “osservatore religioso”, nuovo professionista rispetto alla figura tradizionale del “vaticanista”.
Per scegliere l’argomento della sua tesi aveva pensato alle chiese di Torino e Bologna, dove era stato avvertita più forte – anche nei Vescovi Pellegrino e Lercaro – l’attenzione alle problematiche del rinnovamento ecclesiale: alla fine, contatti preliminari lo portarono a preferire Bologna, dove compì, per oltre due anni, intense ricerche e numerosi colloqui, tra fine anni Settanta e inizio anni Ottanta.
A quell’epoca, pur lontani da più che un decennio, gli avvenimenti seguiti al Vaticano II, a Bologna particolarmente intensi e segnati da contraddizioni e contrasti culminati nella rimozione del Cardinal Lercaro (12 febbraio 1968, cui si accompagnò il contemporaneo ritiro di Dossetti dall’incarico di provicario della Diocesi), erano ancora vivi nell’animo e nella riflessione di molti. Forcesi visitò queste “situazioni” con attenzione, studiandole in una misura certo sovrabbondante rispetto alle necessità di una tesi universitaria, la quale, alla fine, tra testo e note, sfiorò le 900 pagine fittamente dattiloscritte, collocando a fuoco tutta la dinamica spirituale e pastorale di un grande Vescovo italiano operante in una città politicamente simbolica, durante una “epoca” segnata da pontefici italiani del livello di Pacelli, Roncalli, Montini, tutti venerati da Lercaro con devozione e indipendenza personali.
Forcesi fece conoscere il testo della sua lunga e complessa tesi ad alcuni degli ambienti bolognesi, che doveva ringraziare per la disponibilità mostrata a rispondere alle sue domande. Fu così che l’Istituto per le Scienze Religiose diretto dal prof. Alberigo venne a possederne una copia, che fece conoscere ad alcuni studiosi, i quali poterono citarla in pubblicazioni successive. E mons. Fraccaroli, segretario di Lercaro e primo presidente della omonima Fondazione, avuta e letta la tesi, assegnò un premio al suo autore: questo era avvenuto in un passato remoto, ma non sparito.
Recenti iniziative editoriali (in particolare quelle delle memorie del cardinale Biffi, pubblicate e ripubblicate), hanno presentato critiche, anche pungenti, di figura e opera di Dossetti: questo “amarcord” polemico, a molti spiaciuto, ha concorso a provocare una circolazione della tesi (fotocopiata) di Forcesi, e suscitato lo svolgimento di alcuni seminari in ambienti ecclesiali di memoria lunga quanto affettuosa, finalizzati a un approfondimento di conoscenze e valutazioni del periodo e dei personaggi che ne erano stati i maggiori protagonisti. E’ merito di un amico, promotore di queste iniziative, aver rintracciato a Roma Giampiero Forcesi e averlo coinvolto in alcuni dei seminari svolti nel 2010 e 2011, fino all’ipotesi di una stampa, più di 20 anni dopo, di quel suo appassionato e ricco documento di una “fase” così importante della Chiesa di Bologna.
Quel tempo era stato notevole davvero: non solo per l’episcopato di Lercaro dal ’52 al ‘68, inclusa la nomina (decisa da Paolo VI) inserente il cardinale bolognese, unico italiano, tra i quattro Moderatori del Concilio; contò molto anche il ruolo di Dossetti, in città e al fianco del suo Vescovo a Roma, e il forte coinvolgimento bolognese all’evento conciliare (in primo piano il “Centro” di Alberigo e l’Avvenire di La Valle,). E fu notevole pure l’accoglienza effettuata dalla Amministrazione comunale al “ritorno” in Diocesi del Vescovo bolognese, e lo slancio con cui questi avviò, nominando Dossetti provicario generale, il progetto di uno “studio per l’applicazione locale” delle indicazioni teologiche e pastorali del Vaticano II.
Tutti questi anni, con i loro appassionati eventi, meritavano una forte attenzione, e l’avevano ricevuta da Forcesi. Ma, ad accrescere l’interesse oggettivo di questa “storica tesi”, rimasta però inedita, conterà anche l’ulteriore vicenda della Chiesa bolognese, con i due primi successori di Lercaro, cioè Poma (dal 1968 al 1983) e Biffi (1984-2003), per le interpretazioni che essi vollero e seppero dare del loro “predecessore”, nonostante tutto indimenticabile, e della intensa collaborazione di quel suo provicario, rimasto di fatto – anche dopo la rimozione di Lercaro, con i suoi frequenti soggiorni in Israele e la missione ricevuta da Biffi a Monte Sole – , una personalità fortemente significativa in Bologna e nella sua Chiesa. E di fatto il volume viene anche a colmare una carenza storiografica nella ricostruzione di questo tratto della biografia di Dossetti.
A un certo punto, la figura di Dossetti fu sorprendentemente “riattualizzata sul piano nazionale” dagli interventi svolti in difesa della Costituzione repubblicana, minacciata dal populismo telecratico di Berlusconi, a lungo ben accolto in Italia da autorevoli esponenti ecclesiali, che lo preferiranno a un politico “cattolico adulto” come l’Ulivista Prodi, localizzato anch’esso in Bologna.
Il volume di Forcesi, fornisce un affresco esauriente e riflessivo, in misura oggi rara per completezza ed equilibrio, di una Chiesa locale indubbiamente “esemplare”, in un momento che fu straordinario per l’intera Chiesa, la quale vi conosceva un’alternativa potenziale impegnativa, e tuttora aperta a progetti problematici. La tesi di Forcesi, pubblicata nell’estate 2011 (con la sollecitazione di circa 200 prenotazioni a prezzo di copertina), risveglia molto più della “memoria” (pur base preziosa per ogni rinnovamento), ma fornisce anche un “termometro” per avere una misura della qualità pastorale e teologica elevata che è possibile recuperare guardando nelle “radici” della chiesa bolognese e nelle sue relazioni più intrinseche con il grande 21° Concilio, davvero ecumenico della Chiesa cattolica e bussola per la sua strada nella società mondiale globalizzata.
Il titolo preposto alla pubblicazione della vecchia tesi del 1984 ha concentrato opportunamente i due elementi caratterizzanti il testo ora ripreso in vista del 2011 e anni seguenti, accostando la forza del “messaggio universale” e i limiti di una “ricezione intensamente adeguata ma iniziale e locale”, cioè “il Vaticano II” e “a Bologna”. Nel sottotitolo, poi, si allude alla sua più forte ammonizione: “la riforma conciliare”, accostata al dato di verità da non dimenticare perchè veramente significativo: “nella città di Lercaro e Dossetti”.
Nel libro appena stampato, tre aggiunte completano con tre informazioni utili e ben fatte il “testo storico” della tesi di Forcesi: 1. Premessa, in cui Forcesi dà conto della sua iniziativa di allora, nelle condizioni e convinzioni del tempo, e della sorpresa e soddisfazione per la decisione di procedere a questa “voluta” pubblicazione odierna. 2. Introduzione, in cui Giovanni Turbanti, da anni collaboratore della Fondazione per le Scienze religiose Giovanni XXIII, illustra intenzioni e meriti del testo di Forcesi, nel contesto più ampio degli studi su Lercaro, la Chiesa bolognese, l’evento conciliare.
E chiude il suo utilissimo contributo con un inedito molto interessante, una lettera di Lercaro a Dossetti del giugno 1966 in cui anticipa la sua intenzione di nominare Dossetti suo vicario, ma con finalità centrate sulla cultura, che in realtà nel giro di pochi mesi si estese per logica interna a un proposito assai più ampio, trasformando questo formale invito alla collaborazione di Dossetti nel lavoro della applicazione in Bologna delle novità conciliari: evento sul quale occorrerebbe riflettere sia alla luce degli avvenimenti seguiti, sia di altri documenti lercariani e dossettiani oggi accessibili. 3. Aggiornamento bibliografico, a cura di Enrico Galavotti, pure esso autorevole collaboratore della Fondazione per le Scienze religiose Giovanni XXIII: completa e aggiorna esaurientemente categorie e informazioni bibliografiche della tesi di Forcesi.
Quanto al contenuto del volume, l’interesse di Forcesi per le “motivazioni” peculiari di spiritualità e azione pastorale del vescovo Lercaro, lo portano ad estendere la sua analisi partendo dall’inizio, dal “primo quinquennio di episcopato bolognese”, considerando con attenzione il mix di “spiritualità liturgica” e “integrismo” che caratterizzarono i suoi primi “gesti” (attenzione per la liturgia, rifare cristiana Bologna, fini e strumenti della campagna per le nuove chiese in periferia, suoi sviluppi culturali con risvolti urbanistici e politici).
Una seconda parte completa questa prima, giungendo “al bivio – che Forcesi vede affrontato da Lercaro – tra approfondimento spirituale e dottrina sociale”, con un successo evolutivo maturato tra ’60 e ’61. Al termine di queste due prime parti introduttive, il libro che ora riproduce la tesi di Forcesi ha raggiunto la pagina 222, cui subito ne aggiunge altre 50 di una parte terza, intitolata “Dalla cristianità alla chiesa-eucarestia. Il passaggio decisivo (1962-1963)”: Lercaro è così seguito da Forcesi per tutto il primo periodo conciliare, realmente fondamentale per le scelte che preparano la gloria della svolta effettuata poi nel secondo periodo, nei confronti della stessa preparazione conciliare, abbandonata perchè troppo ancora segnata da cultura e orientamenti preconciliari e “difensivisti”.
La parte quarta e quinta riempiono la seconda metà esatta del ponderoso volume. La quarta affronta i “Primi lineamenti di una proposta ecclesiale rinnovata (1964-1965)”, e Forcesi vi espone anche alcuni dei contributi di Lercaro più importanti (quelli pronunciati a Beirut, su “Eucarestia ed ecumenismo”, e su “La povertà nella chiesa”, e altri pronunciati a Roma a latere del concilio, su “La libertà religiosa” e su “Papa Giovanni”) . La quinta (la più estesa, riempie quasi 200 pagine), finalmente espone “Il progetto di riforma e di valorizzazione della chiesa locale”. Vi compaiono con franchezza i problemi del postconcilio bolognese (con documenti anche inediti sulla “questione dell’Avvenire d’Italia”), la formazione e il lavoro dei “Dieci gruppi di studio per la riforma della diocesi” , attacchi di curiali a Lercaro, tensioni con Paolo VI, un esame interessante delle “due scelte religiose – quella montiniana e quella bolognese”, l’accoglienza a Poma, insignito di un “diritto di successione”, tutto sotto il titolo “L’interruzione di un’esperienza ecclesiale carica di attese (luglio 1967 – febbraio 1968)”.
Le dieci pagine di “Osservazioni conclusive” con cui Forcesi chiuse la sua tesi discussa a Roma nel 1985, lette ora acquistano una grande chiarezza e lucidità di valutazione che fanno onore al “giovane” autore, per la tranquillità severa con cui giudica “l’approdo cui Lercaro è giunto nel dopoconcilio: l’inizio di un cammino nuovo che sarebbe stato tutto da compiere. Questo nuovo punto di partenza stava proprio nell’aver liberato l’essenza del cristianesimo da quelle che gli erano apparse come delle incrostazioni storiche contingenti e nell’aver riproposto nella sua purezza il nesso tra Vangelo e storia perchè il Vangelo potesse riacquistare in pieno la sua forza dinamica per il cammino del popolo di Dio e di tutto il genere umano. E questo in una fase della storia che segna un cambio d’epoca e che esige dalla chiesa una disponibilità profonda a capire il suo tempo, a riconoscere le nuove risorse e le nuove miserie, e a cooperare con tutte le forze che si muovono verso un autentico progresso umano. E ha individuato anche il criterio con cui il nuovo cammino deve essere intrapreso, sottolineando l’assoluta necessità di ridare spazio alla riflessione di fede del popolo di Dio. Nel diffondersi di una rete capillare di comunità locali inserite nella vita quotidiana ha individuato l’alveo in cui il popolo di Dio può tornare a vivere un’autentica vita di fede, ponendo concretamente le proprie esperienze esistenziali e storiche a contatto con la parola di Dio e ricercando a partire di qui i modi per servire la comunità umana in relazione al piano di salvezza di Dio” (541).