Pubblichiamo qui di seguito il testo integrale della Relazione tenuta alla Diciottesima Congregazione Generale del Sinodo dei vescovi tenutosi nell’ottobre del 2001 dall’allora Card. Jorge Mario BERGOGLIO, S.I., Arcivescovo di Buenos Aires.
“Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo”
Con lo sguardo fisso su Cristo
1. Presentando questa relazione, dopo gli interventi nell’aula sinodale, ringraziamo vivamente il Santo Padre, che con la sua presenza e il suo ascolto ci ha animati ad accomunare le nostre inquietudini. Convocandoci a questa Assemblea Sinodale, ci ha invitati a varcare insieme “la soglia della speranza”. Presentandoci il tema sul quale incentrare le nostre riflessioni, ci ha chiesto di fissare il nostro sguardo sul Vangelo di Cristo. Più ancora, sul Cristo-Vangelo, nel quale tutte le promesse di Dio sono giunte all’ultimo e definitivo compimento. Proprio perché in Lui si sono realizzate tutte le promesse, ci è dato il dono della gloria futura e ci è concesso di essere, insieme a tutti i fedeli cristiani delle nostre Chiese, uomini di speranza che parlano con speranza. Molte volte nel corso dei nostri lavori sinodali è stato messo in evidenza che tutti i vescovi, uniti a tutta la Chiesa, riconoscono nel Vescovo di Roma, Successore di Pietro, il principio e il fondamento visibile dell’unità nella fede e della comunione. Questa unità della Chiesa è certamente una ricca sorgente di fiducia e speranza per il futuro della missione dei cristiani nel mondo, poiché è garanzia della continuità della verità del Vangelo e, attraverso di esso, della speranza del mondo. Con emozione e gratitudine è stata ricordata, in particolare, l’opera del Papa e della Santa Sede, che intervenendo con urgenza ed efficacia in molte situazioni, istituzionali e personali, hanno offerto conforto e speranza.
La Relazione dopo la discussione nel processo sinodale
2. Desidero ringraziare l’eminentissimo Segretario Generale, i fratelli e le sorelle della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi e gli esperti che hanno aiutato noi, Relatori e Segretario speciale del Sinodo, a raccogliere tutti gli interventi e a sintetizzarli in questa relazione. Il fine della relazione è quello di segnalare i punti principali che dovranno essere approfonditi per giungere infine al desiderato consenso sinodale. Per questa ragione, ci siamo preoccupati in modo particolare di raccogliere le idee che sono emerse e di richiamare al contempo l’attenzione su alcuni argomenti, che hanno al centro il tema di questo Sinodo: “Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo”.
Siamo consapevoli che la celebrazione del Sinodo, al di là di qualsiasi organizzazione necessaria, significa sempre un atto spirituale di religione e devozione.
3. Siamo anche consapevoli che il processo sinodale è stato accompagnato dalla celebrazione e dalla preghiera, che hanno costituito il clima spirituale della nostra congregazione o “cammino comune” (sunodos). Infine, siamo certi che i Padri sinodali, nonostante la brevità e concisione di questa Relazione dopo la discussione, potranno scoprirvi un riflesso del loro contributo e delle loro proposte. Nel desiderio di entrare in sintonia con le speranze e le inquietudini presenti nel cuore di tutti i vescovi che hanno fatto sentire la propria voce, la Relazione dopo la discussione vuole servire la dinamica sinodale, identificando i punti di convergenza per concentrare su di loro l’attenzione e la preghiera, al fine di proporli a una riflessione più profonda nei circoli minori.
4. “Con voi sono cristiano e per voi sono vescovo” (1): sono parole di S. Agostino, ripetute durante le congregazioni generali, che ci fanno capire che il Vescovo è uomo di Chiesa, è parte della Chiesa; la vera Sponsa Christi, la “Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans” (2). La Chiesa, il popolo santo, che nella sua totalità “in credendo falli nequit” (3). Questa Chiesa, che si mostra al mondo nei suoi aspetti visibili di martyria, leitourgia, diakonia. Per questo, il Vescovo, uomo di Chiesa, è chiamato a essere uomo con sensus ecclesiae.
5. Diverse volte abbiamo ascoltato espressioni che sono autentiche immagini viventi del vescovo e del suo ministero episcopale. Riportano spontaneamente alla memoria le parole della Costituzione sulla Chiesa Lumen gentium, che in un contesto che illustra il mistero della Chiesa, affermano che la sua natura si descrive e riconosce attraverso una varietà di immagini, tratte dalle Sacre Scritture e dalla tradizione ecclesiale (4). Anche noi, ora, intendiamo concentrare la nostra attenzione sulla figura del vescovo, sul suo mistero e ministero e desideriamo ribadire ed evocare alcune delle immagini ricordate nell’aula sinodale. Si tratta delle immagini del pastore, del pescatore, del guardiano sollecito, del padre, del fratello, dell’amico, del portatore di conforto, del servitore, del maestro, dell’ uomo forte, del sacramentum bonitatis, ecc. Tutte queste immagini mostrano il vescovo come uomo di fede e uomo di discernimento, uomo di speranza e uomo di lotta, uomo di mitezza e uomo di comunione. Sono immagini che indicano che entrare nella successione apostolica significa entrare in lotta (agon) per il Vangelo.
Schema della Relazione dopo la discussione
6. In questo particolare momento della nostra storia, come non hanno mancato di osservare diversi fratelli in questa aula sinodale, si vedono minacciate la pace e l’unità della convivenza umana. Il vescovo, servitore di Gesù Cristo per la speranza del mondo, di fronte a tale realtà si sente chiamato ad essere uomo di pace, di riconciliazione e di comunione. Le ragioni che giustificano tale chiamata si riducono sostanzialmente a due e s’incontrano entrambe nell’Instrumentum laboris. Si tratta soprattutto di riconoscere che il concetto di comunione è, con le parole tratte dalla Lettera Communionis notio, “in corde autocognitionis Ecclesiae, quatenus ipsa est Mysterium unionis personalis uniuscuiusque hominis cum divina Trinitate et cum ceteris hominibus” (5). La comunione corrisponde all’essere della Chiesa. Tale comunione si incontra nella Parola di Dio e nei Sacramenti. Soprattutto nel Battesimo, che è il fondamento della comunione nella Chiesa, e nell’Eucaristia, che è sorgente e culmine di tutta la vita cristiana. Edifica l’intima comunione dei fedeli nel Corpo di Cristo che è la Chiesa. Come afferma l’Instrumentum laboris, “Il ministero episcopale si inquadra in questa ecclesiologia di comunione e di missione che genera un agire in comunione, una spiritualità e uno stile di comunione” (6). Al tempo stesso occorre rimanere in sintonia con il tema di questa Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che parla della figura del vescovo nell’ottica del servizio del Vangelo per la speranza del mondo. Pertanto, come si legge nell’Instrumentum laboris, “nel nostro tempo l’unità è un segno di speranza sia che si tratti dei popoli, sia che si parli dell’agire umano per un mondo riconciliato. Ma l’unità è anche segno e testimonianza credibile dell’autenticità del Vangelo […]. Tale prospettiva è un segno di speranza per il mondo in mezzo a dissoluzioni dell’unità, contrapposizioni, conflitti. La forza della Chiesa è la comunione, la sua debolezza è la divisione e la contrapposizione” (7).
7. Quest’ultima espressione, in particolare, non è sfuggita ai Padri sinodali, che la hanno ripetutamente citata nei loro interventi. Per questo, seguendo tale ispirazione, questa Relazione dopo la discussione, in continuità con il tema del Sinodo e l’Instrumentum laboris, intende raccogliere i contributi offerti dai ricchi interventi ascoltati, suddividendo l’esposizione secondo il seguente schema:
I. Il vescovo in comunione con il Signore
II. Il vescovo al servizio della comunione nella Chiesa universale
III. Il vescovo al servizio della comunione nella Chiesa particolare
IV. Il vescovo al servizio della comunione nel mondo.
I. Il vescovo in comunione con il Signore
Uomo di preghiera
8. I Padri sinodali hanno accolto con grande apertura dei cuori il tema della vita spirituale del vescovo. In questo sentimento abbiamo riconosciuto alcune espressioni sulle quali vale la pena di soffermare il pensiero. Come affermato poco fa, la forza della Chiesa è la comunione, la sua debolezza è la divisione. Il vescovo con questa forza cerca di essere disponibile per Dio, consapevole di essere chiamato a essere un uomo santo e diligente. Solo il vescovo che è in comunione con Dio può essere al servizio della speranza. Solo quando sarà penetrato nella nuvola impenetrabile ma luminosa del mistero trinitario, Padre, Figlio e Spirito Santo, il vescovo può ricevere in modo più evidente i segni del suo essere, nella Chiesa, padre, fratello e amico. Il vescovo è chiamato a entrare nel suo mistero per poter esercitare il suo ministero e il suo carisma: da qui il suo senso del martirio. La figura del vescovo orante è emersa diverse volte, presentandolo come testimone della preghiera e della santità, testimone del tempo salvifico, tempo di grazia. Nella celebrazione dell’Eucaristia, nella preghiera, nella riflessione e nel silenzio, egli adora e intercede per il suo popolo. Sentendosi peccatore, si avvicina con frequenza al Sacramento della Riconciliazione; consapevole delle meraviglie compiute dal Signore nella storia, celebra le lodi quotidiane nella Liturgia delle ore.
Chiamato ad essere santo
9. Come è stato detto nei molti interventi fatti sul tema, la santità del Vescovo postulata da ragioni proprie, che vanno oltre la vocazione alla santità nella Chiesa, di cui ha trattato l’intero capitolo quinto della costituzione dogmatica Lumen gentium. Il contesto più chiaro e immediato, nel quale dev’essere inserito il tema della santità del vescovo, è offerto dalla sacramentalità dell’episcopato. In virtù di questa sacramentalità l’ordinazione episcopale non è un semplice atto giuridico, mediante il quale è conferita a un presbitero una più ampia giurisdizione, ma un’azione di Cristo che, donando lo Spirito del sommo sacerdozio, santifica l’ordinando nel momento in cui riceve il sacramento e che di per sé esige per lui stesso tutti quegli aiuti di grazia, di cui ha bisogno per l’adempimento della sua missione e dei suoi compiti. La conseguenza è che ogni vescovo si santifica proprio nel e con l’esercizio del suo ministero.
10. Poiché, poi, nel triplex munus conferito al vescovo mediante l’Ordinazione sacramentale è incluso quello della santificazione, è stato pure sottolineato che il suo esercizio non può essere limitato all’amministrazione dei sacramenti, ma deve includere ogni azione e ogni comportamento del Vescovo sicché anche mediante la sua vita egli guida i fedeli verso la santità. Ogni vescovo dev’essere per loro il modello di una vita santa e il primo maestro e testimone di quella pedagogia della santità di cui ha scritto Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Novo millennio ineunte (8). D’altra parte ogni vescovo, considerando non solo l’intera storia della Chiesa, ma anche quella della propria Diocesi, si trova come avvolto da una moltitudine di testimoni che segnano il suo cammino. La vita santa del vescovo, in ultima analisi, è una testimonianza (martyrion) che, offerta a Cristo, ricerca con umiltà una mistica identificazione con il Buon Pastore, che dona la vita per le sue pecorelle (cfr. Gv 15, 13) e induce a un volere fare proprie le parole di Gesù: “pro eis ego sanctifico me ipsum” (Gv 17, 19). La vita di un vescovo in ogni tempo e situazione si svolge sotto lo sguardo del Signore che abbraccia la croce, sicché la sua santità si esprime in due passioni: la passione per il Vangelo di Gesù Cristo e l’amore per il suo popolo che ha bisogno della salvezza. Sono passioni che si manifestano nella bontà e nella mitezza delle beatitudini. Passioni che si radicano nella coscienza del suo nulla, del suo essere un peccatore che ha ricevuto il dono della grazia di essere eletto per l’immensa bontà del Padre.
La formazione permanente
11. Strettamente congiunto con il tema della santità e della vita spirituale del vescovo é risuonato, in molti interventi dei padri sinodali quello della sua formazione permanente. Se ne hanno bisogno tutti i membri della Chiesa, come appare dalle esortazioni apostoliche Chrisitfideles laici, Pastores dabo vobis e vita consecrata, a maggior ragione ne hanno bisogno i vescovi. Fra le ragioni indicate c’è anche il compito missionario del vescovo, incaricato di gettare come un ponte (pontifex) tra il Vangelo e il mondo. Pur in presenza di valide esperienze già promosse in questo settore con l’iniziativa di organismi della Santa Sede (Congregazione per i Vescovi, Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli…) si avverte il bisogno di precisare ulteriormente il senso di questa formazione (perché non sia lasciata soltanto all’iniziativa del singolo vescovo, ma sia incoraggiata da proposte anche istituzionali di vario genere) e i suoi obiettivi specifici, in rapporto, cioè, al ministero episcopale. Come maestro della fede, ad esempio, il vescovo ha bisogno di una formazione permanente negli ambiti della teologia dogmatica, morale, pastorale e spirituale.
Povero per il Regno
12. Uno degli aspetti più segnalati dai Padri sinodali riguardo alla santità del vescovo è la sua povertà. Uomo di cuore povero, è immagine di Cristo povero, imita Cristo povero, essendo povero con un discernimento profondo. La sua semplicità e austerità di vita, gli conferiscono una completa libertà in Dio. Il Santo Padre ci invitava a fare un esame di coscienza “circa il nostro atteggiamento verso i beni terreni e circa l’uso che se ne fa […], a verificare fino a che punto nella Chiesa sia la conversione personale e comunitaria ad una effettiva povertà evangelica […], ad essere poveri al servizi del Vangelo” (9). Con queste ultime espressioni Giovanni Paolo II ci ricorda che si tratta di perseguire quel radicalismo evangelico per il quale beato è chi si fa povero in vista del Regno, per mettersi nella sequela di Gesù-Povero, per vivere nella comunione con i fratelli secondo il modello dell’apostolica vivendi forma, testimoniata nel libro degli Atti degli Apostoli (10).
II. Il vescovo al servizio della comunione nella Chiesa universale
Sollecitudine di tutte le Chiese
13. Più volte è stato affermato che cum Petro et sub Petro la vocazione del vescovo ha una dimensione universale che trascende i confini della Chiesa particolare. L’apertura del suo ministero verso tutta la Chiesa viene indicata come sua principale condizione di membro del Collegio Episcopale. Ogni vescovo, infatti, in quanto membro del Collegio Episcopale e legittimo successore degli Apostoli è tenuto “per istituzione e precetto di Cristo, ad avere per tutta la Chiesa una sollecitudine che, sebbene non esercitata con atto di giurisdizione, tuttavia, contribuisce sommamente al bene della Chiesa universale… Del resto è una verità che, reggendo bene la propria Chiesa come porzione della Chiesa universale (i Vescovi) contribuiscono efficacemente al bene di tutto il Corpo Mistico, che è pure un corpus ecclesiarum” (11). Tra le Chiese particolari e la Chiesa universale, infatti, come insegna il Concilio Vaticano II, esiste un rapporto di mutua interiorità (12). Tale unità è radicata non solo nell’Eucaristia ma anche nell’Episcopato, perché, per volontà di Cristo sono realtà essenzialmente vincolate tra di loro. Il vescovo, pertanto, è al servizio della Chiesa universale nella verità e nella carità. Docile allo Spirito Santo che crea l’unità e la diversità edificando la Chiesa, il vescovo deve farsi carico di questo pluralismo armonioso: lo stesso Spirito Santo è l’armonia. Pertanto, il vescovo realizza la sua vocazione all’unità privilegiandola su ogni conflitto. La consapevolezza di questa comunione con la Chiesa universale, come è stato sottolineato, impegna ogni vescovo nella sollicitudo omnium Ecclesiarum e lo porta ad una attività di sollecitudine e solidarietà con tutte loro, iniziata sin dalla prima tradizione apostolica, come ci ricorda la colletta per i poveri di Gerusalemme.
L’apertura missionaria del vescovo
14. I vescovi, in quanto membri del Collegio episcopale, sono stati consacrati non soltanto per una Diocesi, ma per la salvezza di tutti gli uomini (13). Questa dottrina insegnata dal Concilio Vaticano II è stata citata per ricordare che ogni vescovo deve essere ben consapevole della natura missionaria del proprio ministero pastorale. Tutta l’attività pastorale nella propria Diocesi è informata di spirito missionario, preoccupata di suscitare, promuovere e dirigere le opere di evangelizzazione, in modo da incoraggiare e conservare sempre vivo l’ardore missionario dei fedeli, nella fiducia che si tradurrà in risposte alla vocazione missionaria. È importante sostenere l’opera missionaria anche attraverso la cooperazione economica. Non meno importante, però, come è stato affermato, è incoraggiare la dimensione missionaria nella propria Chiesa particolare, promovendo, a seconda delle diverse situazioni, valori fondamentali come il riconoscimento del prossimo, il rispetto della diversità culturale e una sana interazione fra le culture diverse. Il carattere sempre più multiculturale delle nostre città e delle nostre società, d’altra parte, soprattutto come conseguenza delle migrazioni internazionali, stabilisce nuove e inedite “situazioni missionarie” e costituisce una particolare sfida missionaria. Dagli interventi sinodali sono pure emerse alcune questioni relative ai rapporti tra i vescovi diocesani e le congregazioni religiose missionarie, sulle quali si domanda una più approfondita riflessione, così come appare riconosciuto il grande contributo di esperienza che una Chiesa particolare può ricevere dalle stesse congregazioni di vita consacrata nell’assicurare che rimanga viva la dimensione missionaria.
Il principio della comunione
15. Sulla stessa linea della comunione con la Chiesa universale è stata giustamente indicata la necessità che il vescovo accresca e alimenti la comunione, in primo luogo con il Vicario di Cristo, e con i suoi stretti collaboratori che formano la Curia Romana. Ad essa hanno fatto riferimento alcuni interventi di Padri sinodali. È stato evidenziato che attualmente i Capi Dicastero della Curia provengono da diverse diocesi sparse per tutto il mondo. Tale realtà è, nel suo genere, un’espressione della cattolicità della Chiesa e della comunione ecclesiale. Cogliamo quest’occasione anche per ringraziare i Capi Dicastero e i loro collaboratori, che nel servizio della Santa Sede operano in favore di tutte le Chiese particolari. Allo stesso modo, la dimensione fraterna della comunione è un’esigenza dei Sinodi Patriarcali e in particolare delle Conferenze episcopali. In queste realtà ha una concreta applicazione l’affectus collegialis che “è l’anima della collaborazione tra i Vescovi in campo regionale, nazionale e internazionale” (14). Questa chiamata alla comunione fraterna tra i vescovi trascende la mera convivenza, poiché si tratta di una dimensione sacramentale del ministero episcopale. È stato pure suggerito che un aiuto all’attività delle Conferenze episcopali potrebbe venire dal rinnovato esercizio delle funzioni dei metropoliti nell’ambito delle rispettive provincie ecclesiastiche.
16. Diverse volte in aula si è menzionato il “principio di sussidiarietà”. Ci si è inoltre interrogati sullo studio, raccomandato dal Sinodo straordinario del 1985, per verificare il grado in cui tale principio potrebbe essere applicato nella Chiesa (15). Il modo in cui è stata espressa la questione nel Sinodo, dimostra che non si tratta di un problema risolto. Infatti, Pio XII, Paolo VI e, per ultimo, Giovanni Paolo II (16), con riferimento alla particolare struttura gerarchica della Chiesa, che essa ha per volontà di Cristo, hanno escluso un’applicazione del principio di sussidiarietà alla Chiesa nel modo in cui tale principio viene inteso e applicato nella sociologia. È evidente che, poiché il vescovo residente possiede, nella sua diocesi, tutta la potestà ordinaria, propria e immediata, necessaria per l’esercizio del suo ministero pastorale, deve esistere anche un ambito proprio di esercizio autonomo, riconosciuto e tutelato dalla legislazione universale (17). D’altra parte, l’autorità del vescovo diocesano coesiste con l’autorità suprema del Papa, anch’essa episcopale, ordinaria e immediata su tutte le chiese e su tutti i Pastori e i fedeli (18). Il rapporto tra i due poteri non si risolve automaticamente appellandosi al principio di sussidiarietà, bensì al principio della communio, di cui si è più volte parlato nell’aula sinodale.
17. È stato segnalato diverse volte che il modo concreto in cui il vescovo deve offrire un servizio per promuovere la comunione nelle Chiesa universale è quello di adempiere alla sua vocazione di promotore del dialogo ecumenico. Lo scandalo della divisione si oppone alla speranza. La questione ecumenica rappresenta una delle grandi sfide dell’inizio del nuovo millennio e un momento centrale dell’attività pastorale del vescovo. Si può fare molto già da ora, mentre camminiamo verso la piena comunione intorno alla mensa del Signore. Occorre esercitare, innanzitutto, l’ecumenismo nella vita quotidiana; con atteggiamenti di carità, accoglienza e collaborazione; a cui va aggiunto l’accoglimento dei risultati validi del dialogo ecumenico. Non bisogna perdere di vista la formazione ecumenica non solo dei laici e dei sacerdoti, ma, in primo luogo, dei nostri vescovi. Soprattutto dobbiamo essere uniti nelle preghiere per l’unità, come fecero gli Apostoli attorno a Maria perché si realizzi una nuova Pentecoste. Inoltre, la vita interna della Chiesa cattolica dovrà essere testimonianza trasparente dell’unità nella diversità delle tradizioni spirituali, liturgiche e disciplinari. Con particolare interesse l’attenzione dei Padri sinodali si è rivolta alle Chiese Orientali, non solo nella volontà di rispettarne le istituzioni ma anche, e soprattutto, nel desiderio di arrivare alla piena comunione ecclesiale. Dagli interventi dei Padri sinodali delle Chiese Orientali cattoliche è stato messo in rilievo con toni gravi il nuovo, ma già consistente fenomeno delle emigrazioni dei loro fedeli. Questa emergenza porta con sé il bisogno di organizzare una pastorale propria e adatta a questi fedeli in situazione di diaspora.
Il Sinodo dei Vescovi
18. Per quanto riguarda il Sinodo dei vescovi, possiamo dire che esiste un consenso generale sulla validità di questa istituzione come strumento della collegialità episcopale e come espressione della comunione dei vescovi con il Sommo Pontefice. D’altra parte i suggerimenti di alcuni oratori sull’eventuale necessità di una revisione della metodologia sinodale, dovranno essere affrontati forse in un altro ambito e con un’adeguata preparazione, poiché una discussione approfondita su questo tema sembrerebbe superare i limiti specifici di questo Sinodo. Alcuni interventi hanno proposto la realizzazione di riunioni del Santo Padre con i presidenti delle Conferenze episcopali per trattare problemi pastorali comuni. Va ricordato che le Assemblee Generali Straordinarie, previste nell’Ordo Synodi, costituiscono già un’espressione sinodale di questo tipo di incontri. Pertanto si potrebbe riflettere sull’eventuale possibilità, in futuro, di convocare tali assemblee con maggiore frequenza, al fine di trattare temi ben definiti e di informare il Santo Padre su situazioni pastorali che sorgono nel mondo.
III – Il vescovo al servizio della comunione nella Chiesa particolare
Maestro di preghiera
19. Il vescovo, essendo parte del popolo di Dio, rappresenta inoltre una presenza sacramentale in mezzo al suo popolo che guida con cuore paterno. È un uomo disponibile per il suo popolo, conosce le sue pecorelle e la vicinanza con il suo popolo gli ispira atteggiamenti di comprensione e compassione, prega con il suo popolo e come il suo popolo, insegna a pregare e guida la preghiera dei fedeli. In questo egli si presenterà come vero liturgo curando la dignità della celebrazione e la fedeltà ai riti della Chiesa, anche vigilando perché non vi siano abusi. In questo senso è stata sottolineata l’importanza della pietà popolare in cui si esprime un profondo umanesimo e un cristianesimo solido, e implica alcuni profondi valori: “Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione” (19).
Maestro della fede
20. I paragrafi dell’Instrumentum laboris dedicati al ministero episcopale al servizio del Vangelo (20), sono stati i più citati negli interventi dei Padri sinodali. Il rito dell’imposizione del libro dei Vangeli, compiuto per tutti noi durante la celebrazione dell’Ordinazione episcopale, significa tanto la nostra personale sottomissione all’Evangelo, quanto l’esercizio di un ministero da svolgere sempre, anche usque ad effusionem sanguinis, sub Verbo Dei. Si tratta di essere “annunziatori miti e coraggiosi del Vangelo”. Il medesimo gesto ci ricorda pure che noi stessi siamo affidati “al Signore e alla parola della sua grazia” (At 20, 32), come leggiamo nel significativo racconto di addio a Mileto dell’Apostolo San Paolo. Per questa ragione ogni vescovo ha il dovere di dare grande spazio, nella sua vita spirituale, alla preghiera, alla meditazione e alla lectio divina.
21. Il munus docendi del vescovo è stato indicato come prioritario e come il munus che eccelle fra i doveri principali del vescovo (21). Egli è un testimone pubblico della fede. Il vescovo esercita la sua funzione magisteriale, come è stato anche qui sottolineato, all’interno del corpo episcopale e in comunione gerarchica con il Capo del Collegio e con gli altri membri. Di più. L’esercizio di questo munus è stato enunciato secondo i suoi molteplici e diversi aspetti. Il vescovo è colui che custodisce con amore la Parola di Dio e la difende con coraggio, che proclama e testimonia la Parola che salva. È stato anche affermato che il vescovo è il primo catechista nella sua Chiesa particolare e che, di conseguenza, ha pure il dovere di procurarsi dei validi collaboratori, promovendo e curando la formazione dottrinale dei suoi seminaristi e sacerdoti, dei catechisti, come pure dei religiosi e religiose e dei fedeli laici. Non è da trascurare neppure, come avverte l’Instrumentum laboris (22), il compito di dare ai teologi “l’incoraggiamento e il sostegno che li aiutino a condurre il loro lavoro nella fedeltà alla Tradizione e nell’attenzione alle emergenze della storia”. A ciò è connesso l’altro dovere del vescovo di promuovere la costituzione, di curare la qualificazione ed anche di esercitare la giusta e opportuna vigilanza nei riguardi di eventuali centri di studio, accademici e non, esistenti nel territorio della Diocesi, come le Facoltà Teologiche, le Università e le scuole cattoliche.
22. Con particolare vigore è stato sottolineato che il vescovo è abilitato dalla grazia dell’Ordine Sacro a esprimere un giudizio autentico in materia di fede e di morale. I vescovi, per ripetere qui una espressione del Concilio Vaticano II, sono i “dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella vita morale” (23). Si tratta, in definitiva, di riconoscere la consonanza della dottrina con la fede battesimale, “ut non evacuetur crux Christi” (1 Cor 1, 17). Questo compito della predicazione vitale e della fedele custodia del depositum fidei è radicato, come giustamente è stato messo in evidenza, nella grazia sacramentale che ha inserito il vescovo nella successione apostolica e gli ha consegnato il grave compito di conservare la Chiesa nella sua nota di apostolicità. Il vescovo, perciò, è chiamato a custodire e a promuovere la Traditio, ossia la comunicazione dell’unico Vangelo e dell’unica fede lungo la serie delle generazioni sino alla fine dei tempi, con fedeltà integra e pura alle origini apostoliche, ma pure con il coraggio di trarre da questo stesso Vangelo e da questa stessa fede la luce e la forza per rispondere alle nuove domande che oggi emergono nella storia e che riguardano pure le questioni sociali, economiche, politiche, scientifico-tecnologiche, specialmente nell’ambito della bioetica.
Amante dei poveri
23. La sua fedeltà al Vangelo e il suo amore per lo spirito di povertà lo portano a una particolare predilezione per i poveri, che sono il nucleo centrale della Buona Novella di Gesù, a camminare con loro. Non dimentica che nel giorno della sua consacrazione episcopale è stato interrogato sulla sua intenzione di guidare i poveri. Sta imparando a guardare alla gente come la guardava Gesù. È padre e fratello dei poveri della sua diocesi. La sua contemplatività e la sua carità pastorale lo portano a scoprire i nuovi volti che oggi, nella vita moderna, hanno assunto “la vedova, l’orfano e lo straniero” della Scrittura. Il vescovo sa che Gesù è stato la compassione di Dio per i poveri e tramite Lui entra nella vita dei poveri.
Il vescovo e il suo presbiterio
24. Un altro dei temi che sono emersi chiaramente negli interventi sinodali è l’attenzione privilegiata che il vescovo deve rivolgere ai sacerdoti del suo presbiterio e ai diaconi, suoi immediati collaboratori partecipi ministeriali del sacerdozio che egli possiede in pienezza. Essi chiedono al vescovo una testimonianza di bontà. Nel dialogo ravvicinato li comprende, li incoraggia e li difende da ogni tendenza alla mediocrità. È padre e fratello dei sacerdoti della sua diocesi. I sacerdoti hanno bisogno di tenerezza e dedizione da parte del vescovo. Il consiglio presbiteriale, i decani e gli arcipreti esprimono questa dimensione di comunione con tutto il loro presbiterio.
Pastorale vocazionale
25. È anche stata confermata l’idea che nel cuore del vescovo deve occupare un luogo privilegiato il Seminario, la sollecitudine paterna e la cura dei suoi seminaristi. Nella vita di una diocesi il Seminario è un bene prezioso, da circondare con affetto, attenzione e cura e da sostenere soprattutto con la preghiera. Le vocazioni hanno bisogno di silenziosi intercessori presso il “padrone della messe”. Soltanto la preghiera rende davvero sensibili al grave problema delle vocazioni al sacerdozio e soltanto la preghiera permette che la voce del Signore, che chiama, sia udita. Analoga premura si deve avere per le vocazioni alla vita speciale di consacrazione e alla vita missionaria, come il Papa ha nuovamente ricordato nella Novo millennio ineunte (24) (cfr. n. 46). Tutto ciò, è stato anche detto negli interventi dei Padri Sinodali, da realizzare nel contesto di una pastorale vocazionale ampia e capillare, che coinvolga le parrocchie, i centri educativi e le famiglie, promovendo una riflessione approfondita sui valori essenziali della vita e sulla vita stessa come vocazione. Anche in quest’opera il vescovo è servitore del Vangelo per la speranza, poiché si tratta di aiutare l’uomo a scoprire nella propria storia la presenza buona e paterna di Dio, che è il Padre a cui ci si può totalmente affidare.
Il vescovo e i consacrati
26. L’esortazione post-sinodale Vita consecrata ha sottolineato l’importanza che assume la vita consacrata nel ministero episcopale. Precedentemente, il documento Mutuae relationes ha indicato cammini o modi di integrare i consacrati nella vita ecclesiale diocesana. La vita consacrata arricchisce le nostre Chiese particolari, rendendo ancora più evidenti in esse i doni della santità e della cattolicità. Attraverso molte loro opere e la loro presenza nei luoghi in cui istituzionalmente ci si prende cura dell’uomo, quali sono le scuole e gli altri luoghi educativi, gli ospedali, ecc. i consacrati manifestano e realizzano la presenza della Chiesa nel mondo della salute, della educazione e della crescita integrali della persona. Senza dubbio, nel dibattito sinodale è stata indicata la necessità della cura che il vescovo deve avere nei confronti di questo dono dello Spirito alla vita della Chiesa, non tanto in ciò che significa l’attività apostolica e funzionale, quanto soprattutto nel fatto della stessa consacrazione di un battezzato o di una battezzata, che abbellisce e fa crescere la Chiesa. Essa si sente particolarmente riconosciuta e apprezzata dall’opera della vita consacrata, dalla sua testimonianza e dal suo lavoro, spesso oneroso e nascosto. Inoltre risulta chiaro da vari interventi sinodali che il vescovo dovrebbe avere il cuore sempre aperto a tutte le forme di vita consacrata, accogliendole e integrandole nella vita della Chiesa diocesana, e facendole partecipare ai progetti pastorali diocesani. In modo speciale deve accostarsi a quegli istituti diocesani che attraversano dei momenti di crisi per diversi motivi e prendersi cura di essi con paterna bontà e sollecitudine.
Il vescovo e i laici
27. La consapevolezza che i laici costituiscono la maggioranza del popolo di Dio, e che in essi si evidenzia la forza missionaria del battesimo, deve spingere il vescovo ad un atteggiamento di stimolo e di vicinanza paterna, come autentico servizio alla Chiesa gerarchica. I laici confidano in questo aiuto. I laici hanno bisogno di sostegno e di aiuto per non cadere nell’inerzia e di essere formati secondo le potenzialità di ciascuno. Il fedele laico attinge il suo dovere all’apostolato dal sacramento stesso del Battesimo e della Confermazione, sacramenti che, insieme con l’Eucaristia, sono i sacramenti della Iniziazione Cristiana e che, specialmente nell’apostolato dei laici, evidenziano e sviluppano il loro dinamismo missionario. Questo apostolato, tuttavia, dev’essere sempre esercitato nella comunione con il vescovo. Non va persa di vista l’importanza dell’apostolato laico associato. Anche i movimenti arricchiscono la Chiesa e hanno bisogno del servizio di discernimento dei carismi, proprio del vescovo. In modo particolare è stata ricordata in aula la sollecitudine che il vescovo deve avere per la famiglia, “Chiesa domestica”, e per i giovani, che hanno bisogno di certezze che raggiungano il cuore, testimoni di vita e di grande bontà.
La parrocchia
28. Un’occasione privilegiata di incontro del vescovo con i suoi fedeli è la visita pastorale alle parrocchie. La parrocchia oggi continua ad essere un nucleo fondamentale nella vita quotidiana della diocesi. Perciò la vicinanza del vescovo e l’incontro con il parroco, con i laici delle diverse istituzioni e con tutto il popolo fedele di Dio, restituisce vita e fervore alla vita diocesana intorno alla figura del suo pastore. Perché il vescovo possa esercitare tale funzione, è stata giustamente segnalata la necessità della sua permanenza nella diocesi.
La curia diocesana
29. A motivo del suo impegno pastorale, è assai importante per il vescovo l’elezione dei suoi più stretti collaboratori e una buona organizzazione della sua curia diocesana, che è un organismo di servizio per la comunione ecclesiale e perciò non dovrebbe essere considerata come uno strumento di tipo semplicemente amministrativo, ma fondamentalmente come una calda espressione della carità pastorale, con cui il vescovo divide la sua vita comunitaria con i suoi stretti collaboratori. È stata inoltre ricordata l’importanza dei Tribunali Ecclesiastici.
Piano diocesano di pastorale
30. In quanto espressione della comunione diocesana, è stata anche sottolineata l’importanza del piano diocesano di pastorale che accomuni la preghiera e gli sforzi della Chiesa locale intorno a mete e obiettivi determinati. In tal modo non solo si moltiplicano le potenzialità, ma si evitano anche eventuali pastorali parallele. Uno dei requisiti essenziali per cui il vescovo possa elaborare un buon piano di pastorale, è ascoltare innanzitutto le inquietudini e le necessità del popolo di Dio, ed eventualmente pensare alla possibilità di istituire dei sinodi diocesani, come luoghi in cui vivere un’esperienza di comunione.
Inculturazione
31. Esercitando il suo servizio di magister fidei e doctor veritatis il vescovo contribuisce pure, per la sua parte, a quel processo di inculturazione, richiamato anch’esso negli interventi dei padri sinodali. È stata ripetuta l’espressione del Santo Padre secondo cui “una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata e fedelmente vissuta” (25). Questo processo, lo sappiamo bene, non consiste in un semplice adattamento esteriore, ma come fu detto nel Sinodo del 1985 ed è ripreso da Giovanni Paolo II, (26) significa un’intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante la loro integrazione nel cristianesimo, e il radicamento del cristianesimo nelle diverse culture”. Il vescovo, in ogni caso, dovrà sempre avere ben presenti i due principi fondamentali che guidano questo processo di inculturazione e che sono la compatibilità con il Vangelo e la comunione con la Chiesa universale (27).
La pastorale della cultura
32. L’inculturazione del Vangelo è, d’altra parte, collegata ad una pastorale della cultura, che tiene in conto sia la cultura moderna e post-moderna, sia le culture autoctone e i nuovi movimenti culturali, di tutto ciò, insomma, che costituisce gli antichi e nuovi areopaghi per l’evangelizzazione. È, infatti, evidente ed è stato pure affermato in quest’Aula, che una pastorale della cultura è decisiva per l’attuazione di quella “nuova evangelizzazione” su cui tanto spesso insiste Giovanni Paolo II e che appare tanto necessaria per gettare semi di speranza capaci di fare germogliare la civiltà dell’amore. D’altra parte tanti generosi e sinceri sforzi di inculturazione del Vangelo, profusi da tanti missionari, sacerdoti, religiosi e laici, avvertono il bisogno di un orientamento e accompagnamento fiduciosi e fraterni dal vescovo, dalle Conferenze Episcopali e dalla Santa Sede.
Il vescovo e i mezzi di comunicazione sociale
33. Nell’ambito dell’annuncio del Vangelo e della inculturazione un ruolo speciale rivestono i mezzi di comunicazione sociale, soprattutto nella nostra epoca che vede svilupparsi enormi potenzialità tecnologiche. Come è stato rilevato, il mondo delle comunicazioni è ambivalente. Noi, però, abbiamo la possibilità di usare questo strumenti per promuovere la verità del Vangelo e diffondere quei messaggi di speranza e di fede di cui il mondo continua ad avere enorme bisogno. È stata segnalata l’importanza di sviluppare nelle nostre Diocesi un piano pastorale delle comunicazioni, incoraggiando la creatività e la competenza soprattutto dei nostri fedeli laici. Non basta, infatti, garantire l’ortodossia di un messaggio, ma anche preoccuparsi che esso sia ascoltato e accolto. Ciò comporta pure assegnare alla formazione nella comunicazione gli spazi necessari nei nostri seminari, nelle case religiose e nei programmi di formazione permanente dei sacerdoti, dei religiosi e dei fedeli laici. Nel contesto di un Sinodo che considera la missione del vescovo nella prospettiva dell’annuncio del Vangelo per la speranza del mondo è molto importante che noi non facciamo fallimento come messaggeri e come comunicatori.
IV – Il vescovo al servizio della comunione nel mondo
Missionarietà
34. La Chiesa è il “piccolo gregge” che continuamente esce da se stessa per la missione; e il vescovo, uomo di Chiesa, esce anche da se stesso per annunciare Gesù Cristo al mondo. È un “viandante” e si esprime con gesti che parlano. Non deve lasciarsi bloccare da una Chiesa talvolta paralizzata dalle proprie tensioni interne. Incarna la vicinanza della Chiesa agli uomini del nostro tempo, nel radicalismo della testimonianza a Gesù Cristo. Alcuni interventi hanno fatto riferimento al ruolo profetico del vescovo, all’esigente parresia. Uscendo da se stesso per annunciare Gesù Cristo, il vescovo si fa carico della sua missione così come in tempi di conflitto fa il pontefice, ponte verso la pace. Il suo ruolo profetico annuncia inoltre la rivelazione di Gesù Cristo in un tempo come il nostro, segnato da una crisi di valori, in cui i valori sono assenti o si difendono antivalori e dove, all’interno della Chiesa stessa, esistono processi di autosecolarizzazione e ambivalenza. Con passione di pastore che esce a cercare la pecorella smarrita e che non è del suo gregge, il vescovo smaschera le false antropologie, riscatta i valori schiacciati dai processi ideologici e sa discernere la verità autentica: che il Verbo è “venuto nella carne” (1 Gv 4, 2), evitando che la presunzione umana la spogli e la trasformi in una visione cosmica gnostica o neopelagiana della realtà.
Il vescovo operatore di giustizia e pace
35. Nell’ambito di questa missionarietà, i Padri sinodali hanno indicato il vescovo come un profeta di giustizia. Oggi la guerra dei potenti contro i deboli ha aperto una frattura tra ricchi e poveri. I poveri sono legioni. Di fronte a un sistema economico ingiusto, con dissonanze strutturali molto forti, la situazione degli emarginati si fa ogni volta peggiore. Oggi c’è fame. I poveri, i giovani, i rifugiati, sono le vittime di questa “nuova civiltà”. Anche la donna in molti luoghi è sminuita e oggetto della civiltà edonista. Il vescovo deve incessantemente predicare la dottrina sociale che deriva dal Vangelo e che la Chiesa ha reso manifesta dal periodo dei primi padri. Dottrina sociale in grado di suscitare speranza perché i nostri fratelli nella filiazione divina e noi stessi dobbiamo tener conto del fatto che se non c’è speranza per i poveri, non ve ne sarà neppure per i ricchi.
Il vescovo promotore del dialogo
36. Si è fatto notare in diverse occasioni che anche il vescovo aiuta con il suo ministero la comunione fra gli uomini rispettando il loro credo, le loro tradizioni e avvicinando, quale artefice del dialogo, posizioni di confronto o semplicemente opposte. Al riguardo, è stato sottolineato il ruolo fondamentale che il vescovo deve occupare nella promozione del dialogo interreligioso. Alcuni Padri hanno segnalato la necessità di insistere nelle relazioni con l’Islam.
Il vescovo annunciatore di speranza
37. La missionarietà del vescovo al mondo diffonde la speranza. Si dice che il mondo di oggi è uno scenario di disperazione, perché in verità una cultura immanentista emargina qualunque autentica speranza. Gli emarginati, delusi dei loro capi, si rivolgono a Dio; confidano nei loro pastori e ripongono la loro speranza nella Chiesa. Qui si vede il coraggio apostolico del vescovo, vero liturgo di speranza, che riceve tanto quanto spera; perché senza speranza tutta l’azione pastorale del vescovo sarebbe sterile. Il vescovo dinanzi al mondo deve annunciare Dio in Cristo, un Dio dal volto umano, un “Dio con noi”, perché la certezza della sua fede crea speranza negli altri.
Conclusione
38. “Con voi sono cristiano, per voi sono vescovo”. Vogliamo concludere questa relazione con le parole di Sant’Agostino. Occorre ora che i Padri riflettano sui punti precedentemente segnalati e su altri ancora per poter delineare il profilo dell’immagine del vescovo di cui la Chiesa ha bisogno per compiere la sua missione all’inizio di questo terzo millennio: uomo di Dio in cammino col suo popolo, uomo di comunione e missionarietà, uomo di speranza servitore del Vangelo per la speranza del mondo. Sappiamo che tutto il mondo anela a questa “speranza che non delude” (Rm 5, 5), perciò il vescovo non può che essere predicatore di speranza che nasce dalla croce di Cristo: ave crux spes unica.
39. La croce è mistero di morte e di vita. Dalla croce è venuto a noi il dono della vita. Il vescovo che annuncia il Vangelo come speranza per il mondo è clui che annuncia la vittoria della vita sulla morte e nella luce del Risorto ripete il credo vitam aeternam: è l’articolo col quale si conclude il simbolo della fede. Alcuni interventi dei padri sinodali hanno chiesto d’interrogarci se, nella nostra predicazione, posti come siamo in contesti culturali pervasi dai valori della terra e del tempo presente, noi diamo il posto giusto all’annuncio dei novissimi e della vita eterna, come oggetto specifico della speranza cristiana. La Chiesa nella quale noi siamo posti come vescovi è la Chiesa pellegrina sulla terra. Durante la nostra assemblea sinodale, noi stiamo parlando del nostro ministero in questa fase della storia della salvezza, interrogandoci su come essere credibili e validi ministri del Vangelo per la speranza del mondo. Quando, al termine dei lavori sinodali, saremo tornati nelle nostre Chiese particolari, celebreremo con tutta la Chiesa i meriti e la gloria di Tutti i Santi. In quell’assemblea, la Santa Madre di Dio, “quoadusque advenerit dies Domini, tamquam signum certae spei et solatii peregrinanti Populo Dei praelucet”. (28) Maria è la testimone più alta della speranza cristiana, è la Mater Spei. Sotto la sua protezione materna chiediamo di insegnarci a percorrere questo cammino di speranza per il servizio; questo cammino che ci apre alla gioia dell’annuncio, all’incontro con Gesù Cristo, Figlio di Dio vivo.