Carniti è stato un grande sindacalista, in una grande epoca storica del sindacato.
Ogni grande sindacalista ha propri caratteri e propri meriti che è bene ricordare.
Carniti era un atipico, un eterodosso, uno fuori da ogni schema. In un periodo di tempo fortemente ideologico e politicizzato, dove ognuno veniva classificato per la sua provenienza e appartenenza, Carniti era indefinibile. Era il cruccio dei comunisti che, considerandosi i veri interpreti della classe operaia di cui conoscevano l’ortodossia e tutte le possibili deviazioni da questa, non riuscivano a collocarlo; varie volte hanno tentato di definire la FIM di Carniti come pansindacalista, anarco-sindacalista o altri vocaboli del genere, senza cogliere il vero carattere di questo strano e originale sindacato.
La FIM di Milano e quelle altre vicine che poi formarono la nuova FIM nazionale rappresentavano un caso raro; costituivano un esempio rarissimo di “sinistra sindacale”. C’è tanta sinistra nel sindacato e tanti sindacati di sinistra nel mondo, ma si tratta praticamente sempre di una sinistra politica che opera nel sindacato. La sinistra sindacale è un’altra cosa: parte dai problemi dei lavoratori e con essi agisce e lotta per cambiare la loro condizione. Per trovare qualcosa del genere penso che occorra risalire alle origini del sindacato.
Carniti era certo un rappresentante della Cisl, ma i principi confederali – sindacato libero, autonomia, contrattazione aziendale – venivano portati al loro limite ed effettività: autonomia sì, ma sino all’incompatibilità delle cariche politiche e sindacali; contrattazione aziendale sì, ma non a parole ma nei fatti e con la lotta; libertà sì, ma non per distinguersi nominalmente ma per dimostrare nella pratica che cosa vuol dire essere liberi.
Carniti poi aveva di suo delle doti notevoli che ne facevano un sindacalista d’eccezione. Era insuperabile al tavolo delle trattative contrattuali: non solo era estremamente preparato (penso che sapesse quasi a memoria il contratto nazionale), ma portava avanti il ragionamento non con demagogia, ma con una logica stringente che spesso metteva nell’angolo la controparte. Altri sindacalisti avranno altri meriti, ma sul piano contrattuale nessuno eguagliava Pierre. Aveva un forte ascendente sui lavoratori, portatore di un’autorevolezza innata, che nasceva da un misto di competenza, lungimiranza, determinazione.
Ma il merito maggiore fra tutti è che a Carniti si deve attribuire la responsabilità maggiore del cambiamento del sindacato in Italia.
Certamente un cambiamento del genere non può essere attribuito a una sola persona, ma è stata la sua risolutezza e la sua lucidità nel portare avanti la battaglia a determinare il coagularsi di un vasto consenso intorno a un movimento che stava maturando.
Tutto nasce dalle lotte aziendali che, subito dopo aver conquistato la Segreteria della FIM di Milano nel gennaio del 1962, sono partite nelle grandi fabbriche delle provincia. Il Patto con la FIOM era chiaro: la FIM accettava di fare le lotte unitarie (ciò che era assolutamente proibito e condannato dalla Confederazione), mentre la FIOM accettava che gli accordi sarebbero stati firmati dal sindacato e non dalle Commissioni Interne (che significava la conquista del principio della contrattazione aziendale, sinora riconosciuto in due o tre aziende in tutto il paese).
La Segreteria Confederale intera scese a Milano per fare un processo a Carniti, ma Carniti a muso duro rispose che stava portando avanti la linea contrattuale della Cisl e che aveva il pieno consenso democratico dell’intero direttivo dei metalmeccanici. Così si è conquistato nell’anno successivo il diritto alla contrattazione aziendale, che presto si estese a tutte le categorie, mentre la lotta divenne uno strumento acquisito (fino allora nell’ambiente cattolico era quasi uno scandalo), e i rapporti con la CGIL una prassi normale, “sdoganando” così i comunisti nei cui confronti esisteva dal 1948 un veto a qualsiasi rapporto.
Ecco come è cambiato il sindacato in Italia, E posso assicurare, essendo stato presente e partecipe, che fu un momento epocale perché non si trattava di una questione meramente sindacale, ma in quel frangente si confrontavano e si scontravano le forze ideologiche e politiche italiane, ferme da tempo nelle loro tranquille sicurezze; e il maggior peso di questo scontro, poi per fortuna finito positivamente, ricadeva sulla persona di Carniti.
In questa occasione Carniti è diventato un capo riconosciuto, una figura di statura nazionale, pronto per gli incarichi successivi.
Poi viene un momento in cui si lascia il sindacato; ma il sindacalista che esce dal sindacato è fuori dal suo habitat naturale e perde quello che è il bene più prezioso e irrinunciabile della vita sindacale, il rapporto coi lavoratori. Può prendere la parola, ma è un profeta disarmato. Lo ascoltano gli amici e pochi altri. Perché la forza di un sindacalista non sta nella parola, ma nell’azione, nella lotta, nel risultato contrattuale; è solo nella pratica, nella vita, che il sindacalista si dimostra tale.
Nell’epoca in cui è stato sindacalista Carniti è stata una figura di grandissimo rilievo, che resterà a lungo un esempio da cui prendere ispirazione; tocca ai sindacalisti di oggi, e innanzitutto ai suoi amati metalmeccanici, saper raccogliere questa preziosa eredità.
A me, che ho avuto la fortuna di essergli accanto nella sua esperienze milanese, rimane il lascito di un’esperienza indimenticabile e il valore di un’amicizia che rimane intatta.
Sandro Antoniazzi