Integrazione sovranazionale e politica italiana. Otto tesi per un nuovo paradigma

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Pubblichiamo, su segnalazione di Stefano Ceccanti, l’introduzione della  relazione di Sergio Fabbrini all’ultimo seminario della fondazione “Democratica” su integrazione sovranazionale e politica italiana (23 marzo 2012). Per Fabbrini è sbagliato continuare a pensare la politica nazionale come una realtà autosufficiente. Cambiare paradigma comporta, però, tutta una serie di conseguenze a vari livelli. E’ su queste conseguenze e implicazioni, soprattutto per la sinistra italiana, che si sofferma Fabbrini, che è professore di Scienza politica e di Relazioni internazionali e Direttore della School of Government della LUISS di Roma.

 

Il mio argomento è il seguente: la formazione di un governo a prevalente composizione di tecnici nel novembre 2011 ha avviato il declino dell’esperimento politico definito come Seconda Repubblica. Con la nascita di quel governo si è ufficializzato il fallimento di un sistema politico, delle sue élite dirigenti e dei loro modi di pensare la democrazia italiana. La Seconda Repubblica si è consumata per le sue arretratezze istituzionali e culturali, oltre che per le debolezze strutturali della sua political economy. Il Paese non è cresciuto negli ultimi vent’anni perché non è stato governato adeguatamente, sia dal centro-destra che dal centro-sinistra. Perché questo è avvenuto? Perché entrambi gli schieramenti politici sono stati prigionieri (sia pure con lodevoli eccezioni) di un paradigma politico introverso (culturalmente) e arretrato (politicamente). Un paradigma che ha continuato ad assumere la politica nazionale come una realtà autosufficiente.

Non può stupire che di fronte all’aggravarsi della crisi finanziaria, il Paese sia stato costretto a rivolgersi ai tecnici. Infatti, se è evidente è risultato il fallimento del governo di centro-destra nell’affrontare quella crisi, altrettanto evidente è risultata l’inadeguatezza dell’opposizione di centro-sinistra a prendere il posto dei suoi avversari. Così, contrariamente ad altri Paesi europei (come l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna o la stessa Slovenia), in Italia non è stato possibile affrontare la crisi ricorrendo a elezioni anticipate con cui legittimare nuove politiche di intervento. Un cambiamento al governo, infatti, non avrebbe prodotto sostanziali mutamenti di coesione governativa, essendo anche il centro-sinistra (al pari del centro-destra) diviso e frantumato al suo interno sulle basilari politiche per salvare il Paese. Si è ripetuto, così, vent’anni dopo ciò che era avvenuto nel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Anche allora, come oggi, il centro-sinistra è arrivato all’appuntamento del governo senza una cultura adeguata, un programma condiviso, una squadra ministeriale preparata, un leader riconosciuto in Italia e in Europa.

E’ possibile uscire da questa situazione in cui l’alternanza, più che tra governi di centro-destra e di centro-sinistra, è stata tra governi politici e governi tecnici? E cosa deve fare la sinistra per uscire dallo stallo in cui si trova? La mia risposta è la seguente: deve passare dal paradigma dell’introversione al paradigma dell’europeizzazione . Anche se, per poter davvero andare oltre la Seconda Repubblica, tale mutamento del paradigma politico dovrebbe essere realizzato anche dalla destra, pur all’interno della sua differente prospettiva culturale. Per spiegarmi meglio, argomenterò questo passaggio di paradigma in termini di Tesi (Fabbrini 2012a e 2012b).

Per leggere le otto tesi si rinvia al sito:

http://www.scuoladipolitica.it/static/magazine/Otto-tesi-per-un-nuovo-paradigma-654.aspx

 

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