JESUS: “Noi cristiani in quale Dio crediamo?” – OREUNDICI: un brutto ritratto dell’Italia – IL TETTO: camminare verso il futuro – AGGIORNAMENTI SOCIALI: liberi e forti, cent’anni dopo – LA CIVILTA’ CATTOLICA: soldi e felicità.

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Noi cristiani in quale Dio crediamo? Enzo Bianchi, il fondatore della Comunità di Bose, pone la domanda su Jesus di Febbraio, nella sua rubrica “La bisaccia del mendicante”. E confessa che questa domanda lo ha sempre accompagnato fin dalla giovinezza, accanto alla convinzione che “Dio è soltanto un mistero incommensurabile, indicibile, incomprensibile e che ogni nostra parola su di Lui non è soltanto balbettìo, ma rischia anche di essere blasfema”. Ma aggiunge che “è questa paura di Dio, con la quale nasciamo che dev’essere vinta per far posto alla fiducia, alla fede”. E la riflessione, molto bella, continua fino a sottolineare che la nostra immagine di Dio può e deve essere soprattutto “quella che Gesù ci ha consegnato … il Dio che il figlio Gesù Cristo ci ha raccontato, rivelato … ecco il Dio dei cristiani”. Sul medesimo fascicolo di Jesus si possono leggere molte altre cose interessanti: un’intervista a padre Francesco Occhetta sulle nuove vie dell’impegno dei cattolici in politica; un articolo di Alberto Guasco sulla rivoluzione iraniana e la nascita della teocrazia sciita che portò gli ayatollah al potere; un’ampia e bella riflessione di Pietro Pisarra sul peccato originale rappresentato nell’arte, in particolare nelle opere di Dùrer; e una riflessione di Marco Ronconi che auspica che il politico italiano Salvini smetta di esibire strumentalmente il Rosario.

Dacia Maraini (scrittrice, poetessa, saggista) scrive sul numero di gennaio di Oreundici un breve commento al rapporto Censis che offre quest’anno un brutto ritratto dell’Italia: un Paese scontento, infelice, arrabbiato … in cui le scelte irrazionali prevalgono sul buonsenso. E di fronte a questo scenario la Maraini si chiede: che fare? Certo non avvilirsi, dice, non sputare contro i difetti del paese ma riscoprire le tante iniziative dal basso segni straordinari di solidarietà. Bisogna ricominciare da ciò che è buono, ed è molto.

Auspicando fiducia e impegno per il futuro, Pasquale Colella nell’editoriale de Il Tetto (n 328, dicembre 2018) cita Papa Francesco che nella Episcopalis Communio dice che per “camminare verso il futuro serve il coraggio, serve una sana utopia, un mondo che viva un nuovo abbraccio tra giovani e anziani”. Nelle pagine successive de Il Tetto viene riproposto un ampio brano tratto dal libro di Anselmo Palini “Oscar Romero: ho udito il grido del mio popolo” (ed. Ave). E così si possono rileggere le parole del beato Romero (recentemente canonizzato) sulla reale situazione del suo paese, El Salvador: “Non mi stancherò mai di ripetere che, se vogliamo veramente una cessazione efficace della violenza, si deve far scomparire la violenza che è alla base di tutte le altre: la violenza strutturale, l’ingiustizia sociale, la mancata partecipazione dei cittadini alla gestione pubblica del Paese, la repressione …”.

“Liberi e forti, cent’anni dopo”: così Aggiornamenti sociali apre il numero di gennaio offrendo il testo, e commentandolo, dell’Appello ai liberi e forti scritto cent’anni fa da Luigi Sturzo e dalla commissione da lui presieduta. Il testo occupa solo due pagine della rivista, ma merita davvero di essere letto e riletto anche oggi; e commentato, come fa assai bene il direttore di Aggiornamenti sociali, il gesuita Giacomo Costa, che conclude: “Se qualcosa ci insegna la lettura dell’Appello è che il cambiamento di cui abbiamo bisogno sarà possibile solo se i liberi e forti che anche oggi popolano la società italiana ed europea sentiranno ancora il dovere di cooperare senza chiudersi dietro a barriere di interessi e appartenenze”. È vero!

Sul numero 4045 de La Civiltà cattolica si può leggere in apertura il testo integrale del Messaggio di Papa Francesco per la 52° giornata mondiale della pace; di seguito un interessante articolo sul dialogo interreligioso in Asia. E poi merita una particolare attenzione il saggio del gesuita Giovanni Cucci sul tema “Soldi e felicità”. La riflessione è ampia e chiara: parte dalla constatazione che “uno dei simboli più radicati nell’immaginario dell’uomo moderno è l’associazione tra felicità e ricchezza”. Rileva poi che “la storia di ogni tempo mostra che proprio la ricerca sfrenata di guadagno è la causa dei peggiori mali dell’umanità …”. E conclude che “solo chi è povero, chi non pretende di possedere e riconosce con gratitudine ciò che riceve, può veramente donare, anzi diventa dono”.

(a.bert.)

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