Sul fascicolo del 4 gennaio 2014 (n 3925) La Civiltà Cattolica, oltre alla consueta, meritata e fondamentale attenzione all’esordio dello straordinario pontificato di papa Francesco e ad altri temi di attualità (come il fenomeno della globalizzazione del crimine organizzato), dedica rinnovata attenzione alla presenza dei cattolici italiani nella vita politica del nostro Paese; e pone una domanda molto chiara: aurora o eclisse? L’analisi, sviluppata da padre Francesco Occhetta, è tra le cose più equilibrate e interessanti che si possano legge di questi tempi sul tema, così importante e complesso. L’autore svolge la sua analisi in costante confronto con i libri, articoli e interventi che si sono sviluppati recentemente sul tema anche ad opera di numerosi autori cattolici e laici (da Fabrizio de Bortoli ad Agostino Giovagnoli, da Alberto Melloni ad Enzo Bianchi, da Ernesto Preziosi a Giorgio Campanini a Luigi Alici a Franco Miano…). L’articolo, che merita di essere letto per intero, prende atto dei cambiamenti che sono avvenuti e della possibilità-opportunità che il fermento cristiano diventi sempre più di carattere etico e culturale. La speranza è che nasca un rinnovato cattolicesimo democratico che vada anche oltre l’esperienza di Dossetti, la Pira e Moro… Non si tratta di fondare un (nuovo) partito ma di pensare, credere e costruire una speranza e una possibilità di politica “alta”, impegnata a dare risposte concrete e vere ai temi del rispetto della vita umana, del rifiuto della guerra, della giustizia, dell’uguaglianza e dello sviluppo sociale…. “Trasformarsi in una minoranza feconda secondo il dato evangelico del lievito e della luce posta sopra il moggio condurrà i cattolici che si interessano di politica a difendere il dato umano delle scelte politiche, la progettazione di un nuovo patto educativo e l’ideazione di un futuro per le giovani generazioni…. Chi fa politica anche in partiti diversi si connota per quello che fa lì dentro, non per l’etichetta o la corrente….”.
“Fragili perché umani” è il titolo di Esodo (dicembre 2013) dedicato all’”educazione alla fragilità” nella consapevolezza che essa è non solo inseparabile dalla natura umana e dai suoi limiti, ma è anche, paradossalmente, una grande forza di crescita. Solo conoscendo e accettando la nostra fragilità possiamo crescere, aprirci agli altri e comprenderli, con spirito e gesti di cura reciproca. Vittorino Andreoli spiega che la fragilità è anche “espressione di salute mentale”, è “la condizione per stare con l’altro e non per combatterlo…la malattia è semmai il potere!”. C’è tutta una strada, dunque per educare alla fragilità, per valorizzarla, imparando da Gesù che incontra e valorizza la fragilità umana (Piero Stefani). Il tema è stato al centro di un’ampia riflessione nella redazione della rivista; tra i partecipanti Carlo Bolpin, Giuseppe Bovo, Paola Cavallari, Giorgio Corradini, Gianni Manziega, Davide Meggiato, Chiara Puppini, Carlo Rubini, Sandra Savogin, Lucia Scrivanti, che ne riferiscono in una serie di brevi interventi dai quali traspare proprio il messaggio centrale: “non si è autentici se non ci si spoglia delle maschere delle quali ci rivestiamo per apparire quali realmente non siamo….”. Insomma: occorre imparare a ripartire dalla fragilità.
Il gioco non è semplicemente un felice territorio dell’infanzia. Il gioco ha avuto, da sempre, funzioni fondamentali anche sul piano collettivo. Parte da qui la decisione della rivista Desk (rivista di cultura dell’informazione promossa dai giornalisti cattolici dell’UCSI, diretta da Andrea Melodia e Lucio d’Alessandro) di dedicare il n. 3/2013 al tema dell’intrattenimento e del gioco come servizio pubblico. La lettura del fascicolo è estremamente interessante e attuale anche perché mette in luce non solo gli aspetti positivi del gioco e dell’intrattenimento, ma anche i rischi, enfatizzati dai mass media e dal mondo digitale, del gioco come risorsa nella formazione dell’io al gioco disintegrazione di un io che non ha più alcun appiglio nella società in cui si colloca. In questo filone disumanizzante, nota Lucio d’Alessandro, rettore dell’università suor Orsola Benincasa di Napoli, si pongono anche le esperienze di dipendenza da videogiochi o da gioco d’azzardo. Il giornalismo, e il mondo della comunicazione in genere sono, infatti, davanti a un bivio (come vediamo spesso anche in Tv) tra l’informare intrattenendo e l’intrattenere informando. E sappiamo bene che spesso l’informazione passa in secondo piano rispetto all’intrattenimento, spesso spregiudicato e fine a se stesso.
Per una rivista che si rivolge soprattutto ai sacerdoti e che si chiama Presbyteri parlare di comunità (comunità ecclesiale, parrocchiale, umana…) può essere frequente e naturale. Ma chi avesse occasione di leggere il fascicolo n 10/2013 potrebbe avere una sorpresa, e molto positiva. Sacerdoti e religiosi, donne e vescovi convergono nella convinzione che è la comunità che costruisce, in larga misura, il prete che vive e lavora in essa. Come l’acqua per il pesce, afferma l’editoriale di p. Felice Scalia, così la comunità è l’elemento vitale per il prete. Altro che “duo sunt genera christianorum”! Del resto il Concilio ha descritto la Chiesa come popolo di Dio, la famiglia come piccola chiesa, la parrocchia come comunità. E p. Scalia aggiunge: “Le comunità ‘salvavita’ per il prete sono solo quelle che possiamo chiamare fraterne e amicali a tutti i livelli. Di queste comunità ne esistono nella realtà anche se troppe restano nei nostri sogni. Sogniamo parrocchie dove non si accolgono ‘clienti’ ma fratelli. Diocesi dove si incontrano confratelli che lavorano per il Regno di Dio, e insieme. Perché un’identica passione li ha spinti verso il sacerdozio. Sogniamo comunità che siano luoghi di piene e vere relazioni-aiuto. Aiuto dato e ricevuto non tanto per togliersi dai guai (dal peccato) o per sorreggere i sofferenti, quanto per crescere in umanità, nella maturità della fede; e divenire ciò che si è: casa di Dio, gioia dell’Eterno”.
Don Tonino Bello potrebbe presto diventare (anzi: essere riconosciuto) beato. Lo annuncia, con le parole dell’attuale vescovo di Molfetta Luigi Martella, il mensile dell’AC Segno nel mondo, che segnala anche, con un articolo di Paola Springhetti, il bel libro di Barbara Garavaglia dedicato a don Gnocchi (Malato d’infinito, ed Centro Ambrosiano). Sullo stesso numero della rivista (gennaio 2014) un’intervista di Gianni di Santo a don Alessandro Barban, priore generale dei Camaldolesi; e un’intervista ai responsabili dell’area famiglia dell’Ac Rita e Stefano Sereni in vista del Sinodo dei Vescovi che si svolgerà il prossimo ottobre sulle sfide pastorali che toccano la famiglia nel contesto della nuova evangelizzazione.
(a.bert.)
21 Febbraio 2014 at 10:30
GRAZIE PER LE INFORMAZIONI
Paola Cavallari