Questo piccolo libro introduce in modo semplice ed efficace un problema di grande importanza: gli effetti sulla cultura della diffusione dei nuovi strumenti informatici di massa.
Per parlare solo di Internet vi sono 4,39 miliardi di utenti nel mondo (daTi del 2020): in Europa gli utenti sono l’86%, in America del Nord il 95, nel Medio Oriente il 71, in Asia il 52, in Africa il 36. Se guardiamo all’Italia abbiamo un uso del 78% di Internet, del 73,8% di smartphone, del 67,5% di whatsapp e più della metà della popolazione usa Facebook e Youtube.
Di contro la carta stampata (giornali e riviste) hanno visto dimezzata la loro diffusione.
Con questi strumenti spariscono le distanze di un tempo e pertanto è sempre meno riconosciuta la competenza. La cultura non è più una cosa che si deve conquistare con impegno e fatica, apprendendo da chi ne sa di più. L’idea di un tempo dell’educazione delle masse è scomparsa. Chiunque ha accesso alla pari ai nuovi strumenti e questo ha l’effetto di sconvolgere le gerarchie di una volta.
La possibilità di accesso immediato mette in crisi l’intermediazione e il modo con cui per secoli si è trasmessa la cultura.
Secondo Bauman questi strumenti non tendono a soddisfare bisogni già esistenti, ma a crearne di sempre nuovi, perché il loro intento (o meglio quello di chi li governa) è consumistico. Così la cultura non è più agente di cambiamento; più che uno stimolante, si trasforma in un calmante.
Se l’accesso è libero e ognuno si sente autonomo, non si deve trascurare che nella rete agiscono algoritmi che orientano scelte e preferenze, lasciate al soggetto ma influenzate in modo tanto indiretto e invisibile quanto efficace. In altre parole, se non ci sono più i mediatori di ieri, questi strumenti svolgono una funzione analoga e sostitutiva.
Perdono d’importanza tutte le autorità: i politici, gli intellettuali, i giornalisti. Il giornalista competente e preparato filtrava le notizie, verificava le fonti, spiegava e commentava i fatti. Ora le notizie arrivano non si sa da dove, prima dai social che dai giornali, senza alcuna verifica, notizie vere e false mescolate assieme senza distinzione. E’ una grande sfida per il giornalismo autentico.
Questa cultura che chiamiamo orizzontale per la sua diffusione a tutti, se da una parte consente un’ampia partecipazione, dall’altra pone il grosso problema del rischio di appiattimento.
La quantità di offerta, la velocità, la facilità di accesso rischiano di determinare un consumo di massa (una specie di hub consumistico), ma insieme un impoverimento culturale, una rinuncia alla complessità.
E’ pur vero che, se la globalizzazione tende ad omogenizzare, si possono formare anche tante comunità di interessi comuni. I rischi però rimangono: lo dimostra l’alta percentuale di coloro che non riescono più a staccarsi da questi mezzi per l’intera giornata.
Il problema più grave rimane comunque la difficoltà di strutturare il pensiero, col rischio, secondo alcuni, di avere delle società senza pensiero.
In conclusione, gli autori ritengono che si porrà sempre di più l’esigenza di selezionare e orientare il flusso di informazioni; e ciò significa che la cultura orizzontale avrà sempre bisogno della funzione della cultura verticale.
Sandro Antoniazzi
Giovanni Solimine e Giorgio Zanchini, La cultura orizzontale, Laterza, 2020 Euro 14.
s.a.