Ci si è sorpresi della scarsa partecipazione alle ultime elezioni, personalmente mi stupisco invece di quanti vanno ancora a votare vista la scarsa consistenza dei progetti dei partiti (più elenchi che visioni), la qualità media del personale politico, l’impossibilità di scelta in un sistema elettorale che, come con i birilli, quando ne centri uno gli altri gli vanno dietro.
Certo la crisi delle democrazie (liberali o illiberali?) è un malanno diffuso ed è frutto dell’accumularsi di inadempienze e ritardi, dall’insistenza sui diritti tralasciando i doveri, dal crederla acquisita una volta per tutte, dal pensare che la vicenda democratica (governo del popolo) sia statica come una fotografia quando invece è dinamica come un film. La democrazia deve avere e coltivare un’anima!
Ora il Governo di Giorgia Meloni è partito, e speriamo che duri con dignità, ma il divario rispetto a chi lo ha votato resta ampio: non solo per le astensioni ma anche perché il rapporto fra voti e seggi ha premiato chi aveva una concentrazione di elettori nei singoli collegi uninominali.
Non sarà semplice ma, per recuperare energia e vivacità, credo converrà agire almeno su due livelli: quello istituzionale e quello culturale-valoriale.
Livello istituzionale.
Che siamo in una democrazia bloccata, incapace di rinnovarsi, lo si era già visto con la rielezione degli ultimi due Presidenti della Repubblica- persone di qualità (Napolitano e Mattarella) – costretti a dare disponibilità al rinnovo per incapacità dei partiti di accordarsi su un’innovazione. Ora il recente passaggio elettorale ha visto ampia conferma dei parlamentari della legislatura precedente con la limitata integrazione di segretari o dirigenti di partito: tutti ben posizionati nelle liste bloccate consolidando il ruolo della casta (che comprende qualche coniuge).
Eppure i partiti restano uno snodo importante per la democrazia, per garantire il livello formale, che resta non banale. Importanti perché incanalano l’elezione dei parlamentari, eleggono il presidente della Repubblica, approvano il governo, incidono sulle amministrazioni locali e numerose posizioni della pubblica amministrazione e dell’economia. Per questo la possibilità di voto dovrebbe risultare più aperta, sia nella composizione delle liste che nella possibilità di scelta del candidato. Lo stesso Piero Calamandrei, in occasione della discussione dell’art. 49 della Costituzione (metodo democratico nei partiti) rilevava: «…una democrazia non può esser tale, se non sono democratici anche i partiti in cui si formano i programmi e in cui si scelgono gli uomini che poi vengono esteriormente eletti coi sistemi democratici». Non se ne fece nulla per scelta (allora comprensibile) del PCI, ma oggi la situazione è mutata e lo esige. Anche se non va dimenticato che il voto poi non è solo di razionalità ma anche sentimento, simpatia, scelta di cuore e spesso di pancia.
A livello istituzionale occorrerebbe allora provvedere alla regolamentazione dei partiti perché dalla democrazia interna (e non da personalismi) si costruiscano classi dirigenti. Un passaggio importante per la relazione con l’elettorato dovrebbe diventare la valorizzazione dei sindaci, oggettivamente sempre in prima linea. Ma chi avrà il coraggio e sarà capace di avviare iniziative e una legge elettorale che dia di nuovo potere di scelta all’elettore – primarie preliminari? uso di piattaforme fra iscritti e accreditati? agorà? possibili preferenze da esprimere nel voto come in Comuni e Regioni? – così da recuperare quel rapporto perduto con la cittadinanza. In questo quadro sarà importante dare la possibilità di votare ai ‘fuori sede’, in genere giovani universitari. Se invece si abusa dell’elettore (come nella moltiplicazione dei referendum) questi si ribella o più facilmente si ritrae.
Da capire invece cosa presenterà la nuova maggioranza come riforme istituzionali e costituzionali.
Solo se credibili -partiti ed eletti- si avrà una democrazia robusta, capace di scegliere un indirizzo e di governare, ricomponendo gli interessi particolari in vista di un bene comune da ritrovare.
A livello culturale.
Di questi tempi quando non si sa più cosa dire si richiama un’astratta iniziativa culturale. Certo oggi la nostra democrazia non ha le motivazioni e l’effervescenza del suo avvio. Ma qualche percorso può essere individuato:
- l’informazione ancheprima della formazione vera e propria: si dovrebbe garantire un effettivo percorso di educazione civica (con orario dedicato) almeno a partire dal biennio superiore. Informazione di base di cosa dice la Costituzione ma anche elementi economici basilari (es. differenza fra imposte dirette e indirette e loro incidenza, effetti fra progressività e tassa piatta; rapporto imposte e servizi…). E’ importante ma non basta regalare il testo della Carta ai diciottenni, tanto più se sono nuovi cittadini.
- i momenti di aggregazioneper adolescenti e giovani diventano determinanti per la formazione. Calati in tempi di pandemia, le iniziative devono riscoprire la necessità di un minimo di struttura, meglio se flessibile, con un punto di riferimento stabile. E’ il luogo dove allargare l’approfondimento ai temi della giustizia, dell’ambiente, della pace, della parità… in questo enti, laici e religiosi, dovrebbero nuovamente investire a partire da Parrocchie e Oratori, Centri culturali. Ai giovani bisogna dare il messaggio che il carattere si forma nell’esercizio della gratuità e dell’impegno, nell’associazionismo e nel volontariato, e che se non lo si fa a quell’età col tempo si diventa narcisi, egoisti e talvolta violenti.
- enti intermedi, gli adulti devono trovare spazi di studio e approfondimento: per centri culturali e terzo settore; per il sindacato; per la carità e la solidarietà; per parlare e valutare la politica, ricercando se vi è coerenza fra programmi e realizzazioni, guardando alla credibilità delle persone. Lavoro da fare a partire dalle entità culturali, religiose, filosofiche.
- a livello pre-politico: occorre elaborare sogni e visioni, esercitarsi in progetti, realizzare reti e fogli di collegamento. Su questo occorre capire come si muoverà la Chiesa italiana con la nuova presidenza della CEI.
- a livello politico-partitico va recuperato il senso della competenza e della credibilità, superando l’equivoco che l’incompetenza permette di dire qualcosa su tutto. Ma occorre anche dirsi che l’esperienza di questi anni della presenza dei cristiani con l’idea di ‘ognuno per sé’ anche all’interno delle singole aree politiche (una specie di ‘uno vale uno’ teorizzato fra i cattolici) non ha reso neppure a riguardo della convergenza sui valori. Per i cattolici che fanno politica sarebbe utile una riflessione sul tipo di presenza.
Fare i conti con il cambiamento in atto.
Cambiamento accelerato da pandemia, guerra, scarsità di energia, crisi ambientale… fattori che accentuano le disuguaglianze e le povertà. Vorrei però soffermarmi su un aspetto a volte trascurato.
Il cambiamento presenta oggi passi avanti sul tema della parità ma attiva anche conflitti etici e antropologici di nuova intensità. Cresce la spinta ad una concezione della sessualità che da una parte la privatizza fino all’autopercezione ma nello stesso tempo richiede rilevanza pubblica per i suoi effetti, talvolta fino alla pretesa che tutti si conformino a tale visione, a partire dal linguaggio (asterisco, schwa,…) in modo che -si dice- si risulti ‘inclusivi’ (come sosteneva impropriamente chi presentava il DDL Zan, su cui concordo solo sull’applicazione dell’aggravante Mancino contro l’omofobia). Un tema serio, delicato, che per gli anni a venire coinvolgerà a vari livelli. Aspetto, quello della prospettiva antropologica, politicamente trascurato nelle recenti elezioni insieme ai diritti sociali di risposta alle povertà; pare invece entrambi abbiano inciso anche sul recente esito elettorale con nuove percezioni di ‘popolare’ e di ‘elitario’. Tanti cambiamenti che giocheranno sul futuro della democrazia sostanziale.
I cattolici, senza nostalgie, possono/devono portare il loro contributo di idee riprendendo la parola. Il mondo in cui molti di noi sono cresciuti non c’é e non ci sarà più. Ma la fantasia e la speranza cristiana possono dire ancora qualcosa alla convivenza democratica: ricucire e avviare processi.
Paolo Danuvola
(già consigliere regionale della Margerita e del PPI nella Regione Lombardia e dirigente dell’Azione cattolica ambrosiana)