L’accelerazione impressa da Renzi al processo politico merita qualche riflessione prima ancora che arrivi il suo nuovo governo. Sembra difficile negare che si tratti di una forzatura volontaristica della situazione: mi paiono risibili i riferimenti di qualche apologeta al fatto che si sarebbe verificata una specie di tendenza oggettiva, frutto della necessità di far coincidere la segreteria del partito di maggioranza con la premiership. Niente ostava a seguire un percorso diverso e se il fiorentino segretario ha scelto di accelerare i tempi con la sua nota decisione che sconfina nella brutalità si presume che si sia stato un ragionamento politico che l’ha sostenuto.
E deve essere stato un ragionamento forte, dato che indubbiamente egli deve scontare una serie di effetti negativi immediati, che hanno scosso anche alcuni dei suoi sostenitori: l’apparire la sua scalata frutto di una manovra di palazzo invece che di un chiaro mandato elettorale; la necessità di scontare una maggioranza composita di larghe (seppure non più larghissime) intese; la scommessa di governare con un gruppo parlamentare del suo partito non così docile come la direzione appena eletta… Insomma, quello che l’«Osservatore romano» ha chiamato il «peccato originale», cui si aggiunge una sorta di prevedibile cilicio aggiuntivo per il prossimo periodo di governo.
Se risponde al vero questa sensazione, dove può stare il motivo? Presumo che l’unica risposta debba andare a considerare la fretta di Renzi come motivata da una percezione acuta dei rischi che il consenso democratico corre in questa società stanca, sfibrata e sfiduciata. Insomma, il presidente incaricato, a differenza della gran parte degli altri politici di professione, ha colto l’urgenza di una situazione in cui ogni tipo di traccheggiamento rischia ormai di rendere ingovernabile la slavina della rabbia e della protesta antipolitica diffusa. In forme che forse nemmeno il precario argine dei Cinque Stelle potrebbe ancora ricondurre in alveo istituzionale, se continuano le cose così. Cioè se la politica non si dimostra capace di rispondere alle attese. Non si sarebbe rischiato solo il tracollo del consenso al Pd, ma ben di peggio.
Questo e non altro mi sembra possa essere il movente, che altrimenti sarebbe solo da ascrivere alla – indubbia e smisurata – ambizione personale del protagonista, cioè a una dimensione in fondo «impolitica». In quella percezione invece di politica ce n’è. E anche molta.
Ma se sta questo discorso, allora il problema si sposta su un altro terreno. E cioè sulle risorse, sia personali che politiche, che il presidente incaricato può utilizzare per dare veramente un segnale di cambiamento forte al paese. Che cosa ha Renzi che Letta non ha dimostrato di avere? Non si tratterà solo di un problema caratteriale? Ci sono idee e programmi nuovi da giocare? Culture originali da mettere a frutto? Su questo punto la sospensione del giudizio è doverosa. Ma per chi ha seguito finora – come chi scrive – senza particolare simpatia né astio preconcetto la corsa dell’ex sindaco, l’impressione è che le premesse fondamentali di queste risorse siano veramente difficili da reperire in quanto fin qui prodotto. Al di là di alcuni slogan ad effetto piuttosto semplificatori, in una vaga salsa liberale. E di una rilevante determinazione, che ha permesso ad esempio di sbloccare l’annoso problema della legge elettorale. Che però è problema che dipende in toto da una classe politica fin che si vuole riottosa e rissosa, mentre gli altri enormi problemi che un governo ha di fronte, ahimé, sono collegati a dimensioni e dinamiche ben più complesse e intricate, dal punto di vista storico, internazionale, sociale ed economico.
Il combinato disposto di una situazione difficilissima e di un indubbio peso costituito soprattutto dalla maggioranza non omogenea – con il gruppo di Alfano già pronto a esplicitare «condizioni» che lasciano poco spazio all’ottimismo – rende il percorso che Renzi ha di fronte veramente arduo. Per il paese e per il Pd, prima ancora che per i destini personali del protagonista, c’è da augurarsi che le risorse per intraprenderlo si trovino.
Guido Formigoni