La grammatica comunicativa di Berlusconi

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di Vittorio Sammarco

Su Berlusconi e le sue “qualità” politiche e imprenditoriali si è detto e scritto di tutto (e di troppo). Non ci torno. Ognuno filtri le sue idee secondo un approccio complessivo che non valuti però solo singoli fatti (del tipo: “anche B. in fondo ha fatto buone cose”), ma consideri complessivamente una figura determinate negli ultimi trent’anni, in grado (come nessuno) di dar vita al pensiero di una gran parte dell’opinione pubblica italiana (fortunatamente non tutta) e costruire grazie a questa opinione di base, il suo successo politico che ne è derivato.

Voglio, invece, provare a ragionare, su uno degli aspetti (il principale?) del suo successo: una grande, universalmente riconosciuta, capacità comunicativa.

 

Ma davvero i media formano il pensiero?

Si è dibattuto a lungo (e lo si fa ancora) tra gli studiosi dei fenomeni sociologici legati agli effetti pervasivi della comunicazione, se i Mass Media (d’ora in poi mm) sono il motore che crea e forma, o, piuttosto, il risultato di un abile sfruttamento dei movimenti che si generano in altri modi e che poi raccolgono consensi con l’utilizzo di programmi, format, servizi, dinamiche informative e spettacolari (a volte intrecciate). Insomma: i mm percepiscono la realtà o la favoriscono? la raccolgono e ripropongono o la generano a monte, o quantomeno la favoriscono? Il dubbio, troppo netto, è stato ormai risolto con una versione, non pilatesca, ma ragionevolmente equilibrata: sia l’uno che l’altro. Come in un circuito di perenne vitalità. Siccome autori e programmatori rilevano tendenze e scelte di consumo, le organizzano nei propri prodotti e le rielaborano elevate a storie, personaggi, eventi, emozioni, simboli, icone, produzioni che rimangono e rilanciano e (se possibile) ne rigenerino di nuove in grado di alimentare altre attese e altre risposte.

Ed è un meccanismo che Berlusconi ha scientemente creato, foraggiato e alimentato negli anni. È stato, come dire, un maestro: ha formato, negli anni (e quindi non subito con intenti politici, ma maturati nel tempo dopo la sua “famosa discesa in campo”) una specie di terreno comune, accettato senza neppure che ci si rendesse conto dalla opinione pubblica, funzionante come mentalità comune, stile, infrastruttura cognitiva e comportamentale, griglia di valori non palesati, in sottotraccia ma ugualmente forti. Altro che egemonia culturale! Il suo sistema comunicativo, (fatto prioritariamente dai contenuti Tv, e da un corollario di altri mezzi, pubblicità, giornali, eventi, slogan, ecc.), ha formato il tessuto nel quale, l’Italia e gli italiani di oggi, sono avvolti. Comodi e caldi…

 

Cittadino, spettatore, cliente…

Quando diceva che “il cliente, il pubblico, è un bambino di undici anni, neppure tanto intelligente” (in Curzio Maltese, Come ti sei ridotto, Feltrinelli, Milano 2006), diceva in fondo due cose: che il pubblico spettatore è sostanzialmente un cliente (pronto a comprare); non completamente passivo (11 anni a volte non sono pochi), ma fragile al consenso imponderato e persino (neppure) tanto intelligente.

Ecco: il grande sociologo canadese Marshall McLuhan, sosteneva in modo più articolato e complesso, che «in presenza di un eccesso di informazioni, la gente ricorre immediatamente a modelli precostituiti per strutturare la propria esperienza. L’opera dell’artista è scoprire tali modelli». Informazioni, quindi, intese come “dati conoscitivi”, anche grezzi, a pelle, non elaborati, ma che comunque creano idee (semplici o complesse), confusione, caos, rumore, incertezze, e che quindi necessitano modelli precostituiti, in grado poi di favorire giudizi sommari, scelte non solide e definite, fluide, intuizioni, virate, cambi improvvisi, e così via. Proprio come succede ad un giovanissimo (o ragazzo) appena affacciatosi all’età delle scelte di consumo.

La società italiana degli anni ‘80-‘90, con l’introduzione massiccia e pervasiva della tv commerciale, ha favorito la generazione di un modello di pensiero (non studiato e programmato a tavolino, forse, ma nient’affatto casuale), pronto ad accogliere come naturale il passaggio da Publitalia (la concessionaria di pubblicità che ha costituito e forgiato i quadri dirigenti locali) al Partito che lo ha visto leader per trent’anni. Non è solo una questione di infrastrutture e di risorse. È stato proprio un modello di pensiero, non solo dell’offerta, quanto piuttosto della domanda politica. In altre parole: se è questo che i cittadini (siano essi consumatori, clienti, elettori, spettatori) desiderano, la capacità di crearne un unico soggetto indistinto è stata la base per farne il salto determinate (e distruttivo) dell’attuale coscienza democratica del nostro Paese.

 

Ma le opinioni non sono tutte uguali

«Non è vero che il peso delle opinioni dei singoli sia “esattamente” uguale. Le idee e le opinioni non “nascono” spontaneamente nel cervello di ogni singolo», diceva con straordinaria lungimiranza Antonio Gramsci, (citato in Voci della democrazia, di S. Bentivegna e G. Boccia Artieri, Il Mulino, 2021, pp.174-5), aggiungendo con nettezza, che le opinioni «hanno avuto un centro di formazione, di irradiazione, di diffusione, di persuasione, un gruppo di uomini o anche una singola individualità che le ha elaborate e presentate nella forma politica d’attualità». Come se avesse già visto tutto, molti anni prima che si determinasse la pervasività dei mm.

Molti anni prima, inoltre, che un acuto osservatore dei fenomeni televisivi, purtroppo morto troppo presto e che in questi tempi convulsi, con la sua penna, ci avrebbe di certo illuminati, come Edmondo Berselli scrivesse: «nonostante la sua tremenda lunghezza, l’irreality show di Italia1 trionfa negli ascolti; proprio perché spiega agli italiani e alle italiane che guardano la televisione che tutte le inibizioni sono cadute: si può essere ignoranti, più incolti e disinformati del credibile, in quanto non c’è limite al peggio e non c’è remora nel mostrarlo; e si può anche essere spaventosamente inadeguati nel peso, nel tono muscolare, nell’aspetto , o meglio nel ‘look’, ma nondimeno si può stare in Tv, ‘fare’ televisione, diventare protagonisti, ammiccare alla telecamera, giocare narcisisticamente con i propri difetti» (La pupa e il secchione. Il trionfo dell’irreality show, La Repubblica, 2.10.06, in Cabaret Italia, Mondadori).

Perché, a guardar bene, sebbene sembri in contraddizione con la sua personale figura sempre disciplinatamente in regola con i canoni di una certa estetica formale, per i suoi “prodotti” simbolici televisivi, per renderli imponenti nell’immaginario collettivo incubatore del suo successo,  Berlusconi ha puntato su due assi portanti che Berselli configurava in questo modo: primo, la costruzione di un format, definito e reiterato per la gran massa degli spettatori: «come in un programma televisivo di successo (i suoi alfieri, mio…) sono riusciti a trasmettere un contenuto secondo modalità standardizzate, di tipo essenzialmente mediatico-televisivo, e quindi a mettersi in comunicazione con il pubblico!». Perché B. «è stato il primo a dare una cornice competitiva e spettacolare alla politica, separando gli italiani “della libertà” dai “comunisti” e quindi a declinare la gara elettorale con un giudizio di Dio fra due Italie separate e inconciliabili», (Quando la politica è un format, La Repubblica, 18.09.08). Secondo asse portante: la conciliazione degli opposti, pacificamente offerta con la frequentazione ordinaria di contenuti e stilemi, linguaggi e icone, slogan e simboli, un gigantesco infotainment applicato in politica: «le linee guida del colossale ossimoro forzista, il suo essere contemporaneamente potere e opposizione, comando e anarchia, moderazione ed estremismo insieme».

 

E regole vincenti di un ossimoro vivente

Tutto si è tenuto, senza grandi strappi, nella grammatica comunicativa di Silvio Berlusconi, che ha generato un modo di pensare diffuso, che sembra non staccarsi più dalla corteccia del pensiero medio italiano. Lo ha reso quasi naturale, spontaneo, inevitabile. Ereditato e rilanciato dai suoi attuali epigoni.

Se poi, da questo artificio psico-sociologico, si ha come effetto deleterio e non voluto, la disaffezione per una politica seria, pensata, ragionata, basata su scelte precise e coraggiose, beh, cosa volete che sia…

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