Se seguiamo il dibattito in corso tra le forze politiche italiane, notiamo quanto spesso esse sono autoreferenziali, più legate al contingente che a una prospettiva di lungo periodo, più mirate agli interessi di bottega elettorale che al bene complessivo del paese. C’è da rimanere disorientati dai contenuti, dal deserto culturale che esprimono, dal modo di affrontare le questioni: pensare di fare in fretta le riforme anche se male, stare dentro a tutti i costi alla maggioranza di governo, demonizzare l’avversario più sulle parole che sui fatti compiuti. Alcuni articoli apparsi recentemente ci offrono invece degli orizzonti più larghi, che i nostri politici “provinciali” non sanno o non vogliono elaborare, forse per non disturbare i “grandi” manovratori, i capi dei partiti personali dell’attuale panorama politico nostrano (PD, Lega, 5Stelle, Forza Italia), capi che mai si mettono seriamente in discussione, neanche a fronte di risultati elettorali deludenti.
Basta leggere, per vederne la distanza, le denuncie del sociologo Zygmunt Bauman secondo il quale “I governi hanno ceduto il loro potere ai mercati”, dell’economista italo-americano Giovanni Sartori che segnala il crescente vuoto culturale che colpisce i partiti, sbeffeggiandoli come soggetti con “poco pensiero, troppe immagini”. Intravvediamo davvero un orizzonte preoccupante, adesso con all’apice l’ Europa e la Grecia, ma con il possibile coinvolgimento anche del nostro Paese. L’elefante burocratico dell’Unione è bloccato dalla non decisione di troppi modesti statisti (28 sono i paesi , troppi per poterli coordinare bene ! ) che guardano più agli interessi di casa loro che assecondare una vera e sincera visione europea, come era nata e voluta col Patto di Roma del ’56. Non parliamo poi dei pasticci e delle incapacità di dare soluzioni concrete, degli eurocrati di prima fila, che non riescono a gestire questioni complesse (Grecia, Ucraina, rapporti con gli Usa e con la Russia di Putin, Libia e il controllo dei flussi migratori). E’ il caso della nostra ex-ministra degli esteri Mogherini, di cui non si è ancora capito quali siano state la sue proposte e quali siano andate a buon fine!
Nell’attuale deserto ideale e culturale della politica italiana , acuita proprio con la fine dei partiti dopo il ventennio della seconda repubblica, non riusciamo a vedere, al di là del finto pensiero veloce e delle immaginifiche decisioni immediate del “bomba” fiorentino, un vero e profondo cambiamento, una prospettiva solida di ripresa, un processo riformatore serio e ponderato, che non sia il “tanto per fare o da far credere”, ma che possa risolvere le cose nel verso giusto (più che cambiar verso sempre), come sosteneva John Naisbitt nei suoi famosi studi sui “Megatrends”, già negli anni ’80, quando ancora non si parlava di globalizzazione. Bisogna, diceva , “pensare globalmente” ma con coerenza “agire localmente”.
Hanno i nostri questa consapevolezza? Come si fa in questi partiti, sempre più“personali”, a costruire e realizzare, sia pure gradualmente, una base politico-culturale e programmatica, come opera collettiva e non di èlites scelte dall’alto, con congressi veri e non primarie fasulle, che diano spinta a idealità positive, per fare alleanze che abbiano una loro coerenza? Gli ultimi risultati nei vari tipi di votazioni ci dicono che ormai le competizioni elettorali non sono tra partiti e schieramenti omogenei, ma tra notabili e aggregati di pezzi di partiti che non sono tali ma soltanto grossi o piccoli comitati elettorali. Nel PD c’è chi ancora pensa ad un partito articolato sui territori e chi invece più sbrigativamente pensa che basta vincere, e questa è l’unica cosa che conta per i giovani politici in carriera, con il carisma di Renzi e dei suoi pro-consoli locali.
Ma questo “deserto” lo rivelano anche piccoli eventi nei dibattiti cultural-politici locali. Nella recente presentazione di due volumi di ex-parlamentari DC a Reggio Emilia, uno postumo su Ermanno Dossetti ed uno autobigrafico di Danilo Morini, abbiamo notato con sorpresa che autorevoli esponenti del PD, provenienti da quella tradizione, ancor prima culturale che politica (democristiana e popolare), l’unica cosa che hanno saputo (o potuto?) dire è che sì il PD è diventato un partito personale, ma che quello è il destino inesorabile di tutti i partiti. Mi chiedo: ma quando questo partito personale era incarnato da Berlusconi andava malissimo, adesso che questo è impersonato da Renzi va benissimo? Mi sembra, la loro, una valutazione riduttiva o di convenienza, pensando solo al chiaro ed inequivocabile insegnamento di Giuseppe Dossetti su “i valori della Costituzione” (è il titolo di un bel libro del monaco di Montesole), così spesso da loro stessi richiamato. Forse questa è la fatica di stare dentro ai numerosi luoghi di potere che anche la quotidiana realtà locale mostra ogni giorno a cittadini ormai stanchi e, purtroppo, senza voglia di reagire.
Luigi Bottazzi