Nella Lettera di febbraio degli appuntamenti epistolari mensili de “Il nostro ‘58” (la rievocazione degli anni dal 1958, indizione del concilio Vaticano II, al 1965, conclusione del concilio) di Luigi Pedrazzi è pubblicato, come allegato, il testo di una relazione che il monaco e sacerdote Giovanni Paolo Tasini, uno dei fratelli e padri della Piccola famiglia dell’Annunziata, residente a Oliveto di Monteveglio, ha tenuto lo scorso 17 dicembre a Monteveglio in una giornata di studio dedicata a Giuseppe Dossetti, organizzata per iniziativa della famiglia religiosa di cui Dossetti è stato fondatore.
Pedrazzi aggiunge al testo del monaco Giovanni Paolo Tasini, in alcuni punti, alcuni brevi cenni personali (in neretto nel testo) per sottolineare un collegamento con le problematiche affrontate
nelle “Lettere mensili” de “Il nostro ‘58”.
*Dossetti è stato sempre, per vocazione e per volontà, una personalità politica: nel senso che non ha mai concepito la sua esistenza e il suo cammino come un fatto e un destino privato. E “personalità politica” significa di più che “non privata”. In ogni ambito – dagli studi all’impegno civile, politico ed ecclesiale – ha sempre cercato di capire per poter intervenire sulla realtà, modificarla, cambiarla (si veda –per citare l’ambito più “lontano” – il giudizio della Commissione esaminatrice nel concorso nazionale per la cattedra di diritto ecclesiastico all’Università di Modena).
*In questo senso le scelte fondamentali della sua vita sono state una risposta alle domande di giustizia, di verità, di dignità degli uomini. Lì ha trovato, in concreto, la sua risposta alla volontà di Dio. Una risposta, dunque, ai problemi grandi, globali e profondi, della storia degli uomini e del mondo. (Anche le decisioni attinenti al suo impegno interiore non furono mai strettamente “private”, come si può vedere negli Appunti dell’inizio anni 50 sulle “catastroficità della situazione mondiale e criticità della situazione ecclesiale”: con la decisione di rovesciare, nella sua propria vita , lo squilibrio di una Chiesa del tutto sbilanciata sull’attivismo).
*Non vi è dubbio che una delle sue risposte e proposte più significative e profonde fu l’iniziativa di dar vita a una Sua Comunità: dove egli potesse esprimere compiutamente, vitalmente, la sua proposta per la Chiesa e il suo cammino
Tre punti verissimi e fondanti l’interpretazione della persona Dossetti e della sua opera. Ma forse è bene dire che, senza esagerare in questa “richiesta”, per Dossetti, i primi due punti valgono per ogni uomo (tutti dobbiamo prendere sul serio la responsabilità politica e il dovere di cercare una risposta alle domande di giustizia, verità, dignità). Quanto alla sua esigenza vitale di una sua Comunità, mi pare importante che vi possa di fatto pervenire solo dopo essere stato presente in una fase storica dura ed assorbente, nella quale imparò molto a conoscere i mali del mondo e i doveri dell’uomo credente la fede ebraico-cristiana, la quale è importantissima di necessità anche (forse specialmente) quando essa sia messa male nel “fatto dagli uomini”, perchè così alla storia mancherebbe troppo di ciò che, a suo modo, è sempre decisivo e necessario da parte di una vita spirituale reale, partecipata ed agita.
*Se è vero che don Giuseppe non pensò mai che la sua via di vita cristiana ed ecclesiale fosse l’unica vera via – la pensò sempre come una via fra molte possibili –rimane tuttavia decisivo considerare la sua via come la sua risposta/proposta rispetto ai grandi problemi del presente e del futuro della Chiesa (D’altra parte è così che egli stesso ha indicato nell’occasione in cui fu chiamato a dare pubblicamente conto della sua esperienza: il discorso in occasione dell’Archiginnasio d’oro è infatti impostato in modo da poter ricavare dalla sua esperienza e dalle sue scelte un insegnamento, una proposta per altri uomini e altri ambiti.
(e di questo essere stato lui stesso un “prestanome” coinvolto in eventi di cui altri furono autori o promotori prima di lui…).
*Orbene, l’atto originario, ispirato e fondativo della Comunità fu la stesura della Piccola Regola, avvenuta di getto l’8 settembre del 1955: non fu quindi la conclusione di una lunga esperienza, ma la risposta e proposta ideale, da sperimentare e realizzare. Qui, perciò, nella piccola Regola, possiamo cercare alcuni caratteri essenziali e originari della sua proposta per la Chiesa.
(anche se, dopo le esperienze fatte fino al 51-52, contarono molto anche quelle tra 53-55, e molto pure quelle tra 56-59: continuità assoluta, espressa e raggiunta in un decennio denso di approfondimenti e “obbedienze” di cui occorre comprendere bene le specificità che segnano la persona e l’opera).
1) La Piccola Regola inizia ed è tutta appesa a una preghiera: la richiesta a Dio di venire guidati dal Suo Santo Spirito.
Nell’esperienza di Dossetti lo Spirito, continuamente invocato, è luce per vedere e forza per agire, è discernimento per comprendere il movimento della storia degli uomini e forza di amore per rispondere, è luce per vedere e interpretare il nuovo nel cammino della storia e della Chiesa e forza di rinnovamento per superare il passato e guardare in avanti.
Certo, il suo impegno è sempre stato quello di far sì che la dinamica che egli perseguiva e cercava di realizzare non fossero puro frutto dell’intelligenza umana, ma fossero ispirati, sostenuti e accompagnati dallo Spirito di Dio costantemente invocato. Ma l’alternativa non fu mai quella della stasi e dell’immobilismo, della mancanza di idee e di progetti, della rinuncia a valorizzare tutte le energie messe a disposizione da Dio.
* Che cosa ha da dire tutto questo, questa concezione dinamica della vita cristiana e comunitaria alla Chiesa di oggi? A una Chiesa che si porta sulle spalle un’esperienza lunghissima e complessa di cristianesimo come “cristianità”, impero cristiano, società cristiana?
A una Chiesa che in larga misura, e particolarmente nelle sue guide più alte, pensa e vive nella situazione paradossale di cristianità, quando di fatto la cristianità, la società cristiana, non c’è più?
A una Chiesa che – proprio per questo – è costretta a guardare indietro, ad afferrarsi a una realtà che non c’è più? Che cosa ha da dire a una Chiesa che – in alcune sue più alte espressioni – addrittura si immagina di poter ricostruire la cristianità, l’Europa cristiana, l’Occidente cristiano ? Qui la medicina sarebbe quella di uscire da un mondo virtuale – prima che dalla cristianità!
*Sì, perchè dalla cristianità bisogna uscire: non basta che essa sia finita, perchè essa è ancora dentro di noi, dentro la Chiesa. Come possiamo uscire dalla cristianità?
2) Al centro della Regola c’è il mistero dell’Eucarestia. La Chiesa deve tornare ad essere semplicemente una “ekklesia”, un’assemblea liturgica.
Mi riferisco qui al libro “Per una Chiesa eucaristica” e alla sua tesi principale sulla coestensività fra Chiesa e assemblea liturgica. Quella deve tornare ad essere la sua identità e la sua figura storica e socialmente rilevabile: un’assemblea liturgica. E’ lì che essa può sperimentare la sua natura escatologica, può sperimentare in anticipo, in “questo mondo”, in questa storia, le energie del “mondo venturo”. E’ lì che si può creare una comunione escatologica, una comunione, cioè, in cui le diversità culturali, etniche,e sociali, senza venire eliminate, possano trovare una unità “in Cristo”. E’ così che è nata la Chiesa, come l’unità dei diversi che, rimanendo diversi, trovano la loro unità “in Cristo”.
Perciò lo “in Cristo” non può essere una realtà culturale: deve rimanere e ritornare ad essere una realtà escatologica, sperimentabile essenzialmente nella liturgia.
Dunque, la natura escatologica della Chiesa, la sua capacità di essere l’unione dei diversi, è stettamente connessa con la sua natura culturalmente, etnicamente anti-identitaria. La sua identità non può coincidere con nessuna cultura.
*Così pure, la sua capacità di comunicare l’evangelo, la buona notizia di Gesù morto e risorto: presuppone la rinuncia a una via culturale di evangelizzazione (rinvio alla lezione tenuta il 19 ottobre 2006 da G.Ruggeri all’Università di Pechino su Dossetti, cfr. “Il Regno” 15 Nov. 2006)
3) Proprio il tema della trasmissione dell’evangelo ci porta a quella che fu la scelta originaria, iniziale e permanente di don Giuseppe per la Comunità: la Bibbia.
Nella regola non si descrive l’importanza della Scrittura e come essa vada considerata: questo perchè la Bibbia – cioè la lettura quotidiana e integrale della Scrittura – viene prima della Regola e ne è il presupposto: la Comunità è nata dalla lettura comune, quotidiana e integrale della Bibbia; quando la regola fu scritta la Comunità già esisteva!
Quanto il ritorno della Chiesa alla Bibbia sia decisivo, vitale, condizionante tutto il suo futuro è ciò che don Giuseppe ha creduto con tutte le sue forze: impegnando la Comunità in una lettura continua e integrale di tutti i libri della Bibbia, e strutturando la giornata della Comunità attorno alle due ora quotidiane di lectio biblica.
Se l’Eucarestia – con lo scambio biblico comune al suo interno – è la volta e il vertice della vita della Comunità, le due ore di lectio biblica comune sono i due pilastri su cui poggia la volta. Togliete i pilastri e la volta cadrà! Togliete l’impegno continuo e dinamico sulla Bibbia, e anche l’Eucarestia della Comunità si seccherà!
*Ma ciò su cui debbo qui attirare la vostra attenzione e riflessione circa il ritorno della Chiesa alla Bibbia è che il valore decisivo e condizionante il futuro di questo ritorno alla Bibbia dipende dal fatto che esso sia concepito e attuato come un ritorno della Chiesa – una Chiesa di gentili – al rapporto con il popolo ebraico, con il popolo dell’alleanza, come un rapporto intrinseco alla Chiesa, originario, costitutivo della sua natura e della sua esistenza.
Forse Tasini avrebbe dovuto avere qui più tempo per passare da una descrizione dell’impianto della Comunità (giustificazione e significato delle grandi “scelte”) alla illustrazione del “valore decisivo e condizionante” per il futuro ecclesiale di questo “rapporto intrinseco con il popolo ebraico”. Di esso, Tasini dice con forza che è “originario e costitutivo della natura ed esistenza della Chiesa”, ma troppo lunga (almeno ai nostri occhi superficiali e frettolosi) è la storia che ha segnato tanto volto, istituzioni, abitudini dei cristiani e della loro maggior Chiesa nel mondo, per non sorprenderci troppo con le conseguenze, bellissime e vitali, ma riordinanti in grande profondità, di quasi tutte le nostre conoscenze e abitudini di pensieri e accomodamenti.
E’ qui poi, proprio in questa grande vitalità che verrebbe da questo “recupero dopo 19 secoli del rapporto della Chiesa di Gesù con Israele”, si addensano e intrecciano tutti i fili di dolore e di guerra, di incomprensioni reciproche che tanto appesantiscono la storia, il suo presente e il suo inquieto e incerto futuro: in una parola, le maggiori ingiustizie e i più significativi ritardi contro i quali l’energia e l’attenzione politica di Dossetti si sono impegnate, quasi nulla risolvendo, purtroppo, ma moltissimi avendo inteso, sofferto e contrastato nel microcosmo della sua “sintesi di pace”, personale, comunitaria ed ecclesiale; ma, per concretezza in lui connaturata e abituale, anche italiana e mondiale, Certo, nominare Israele, nel contesto dossettiano, significa il mistero di fede nato con Abramo, ma ormai raggrumato anche dentro e nonostante la realtà dell’omonimo Stato, sovrapposto a quella gloriosa tradizione e alle grandi complicanze politiche venutene con il Sionismo realizzato.
Molto anche della politica italiana e del suo ritardo, affaticante la costruzione di una nostra autentica democrazia; molto del ritardo europeo e dello stato giuridico intercontinentale in via di emergere, hanno ricevuto, a metà del XX secolo, indicazioni interessanti e serie dall’energia mentale profusa dal cristiano esigente e coerente che Dossetti è stato, nel corso della sua attenzione e partecipazione alla politica, “massimo dei beni comuni di cui gli uomini siano in cerca”. Ma Tasini si permette passi troppo rapidi, per soddisfare il nostro bisogno di avanzare verso gli obiettivi di conoscenza e speranza che Dossetti ha indicato in vita: sono poche parole, sulle quali cercheremo di tornare per chiarircene meglio senso e prezzo. E molto di più deve essere posto in chiaro, ma qui –dopo il Vaticano II – il futuro della Chiesa può trovare il suo tempo di sviluppo sorprendente e grande riordino innanzitutto interiore.
Il ricupero – dopo 19 secoli – del rapporto della Chiesa di Gesù con Israele come rapporto intrinseco alla sua natura ed esistenza, potrà essere ‘antidoto radicale’ ad una futura nuova deriva della Chiesa in “cristianità”:
perchè solo una fede “in Cristo” non ebraica può arrivare a concepirsi e a evolvere in una “nuova religione” rispetto alla fede di Israele;
e solo una “nuova religione” rispetto a quella di Israele può assumere in modo adeguato la funzione di “religione civile dell’impero” – ciò in cui propriamente consiste il “regime di cristianità”.
di Giovanni Paolo Tasini