Per la seconda volta in pochi mesi – dopo il caso di Riace – è tornato alla ribalta, con la vicenda Sea Watch, il complesso problema del rapporto tra scelte di coscienza, in nome di valori fondamentali, e rispetto delle norme, considerate inadeguate o ingiuste.
E’ un tema delicato, perché non applicare una legge in nome di principi superiori non può certo voler dire ricorrere a un’individualistica e comoda interpretazione “fai da te” delle leggi stesse, deformazione ahinoi molto presente nella storia e nella realtà del nostro Paese. E d’altra parte è proprio degli ordinamenti più avanzati aver riconosciuto (dopo molto tempo e molte battaglie) ambiti – circoscritti e poi a loro volta normati – sottoposti alla possibilità di obiezione di coscienza.
Ora, dalle ultime notizie sembra che la decisione della Capitana Carola Rackete di far attraccare la Sea Watch a Lampedusa sia giustificabile anche dal punto di vista del diritto internazionale, che prevale su quello italiano. Pur non essendo un esperto in materia, l’ho sempre pensato e spero che la Magistratura lo confermi.
Sarebbe in ogni caso ormai ora di stabilire se anche rispetto alla Costituzione del nostro Paese si ravvisi una compatibilità delle parti delle nuove leggi sulla sicurezza inerenti i profughi e rifugiati; sembra evidente che esse non possano definirsi coerenti con i valori e i principi che, con chiarezza, essa afferma. Certo che se, al contrario, fosse sancita una compatibilità, ci sarebbe da chiedersi con grave preoccupazione come è possibile spingere l’interpretazione della Carta fondamentale fino a questo punto.
Ma, tornando al tema iniziale, l’affacciarsi nel dibattito pubblico del rapporto tra norma e coscienza (coscienza, non capriccio o soggettivismo di comodo), tra leggi transeunti e diritti fondamentali e immutabili sarebbe, fuori dalle polemiche legate al singolo caso del momento, quanto mai opportuno.
E’ un ambito in cui i credenti possono dare un contributo molto importante. E anche solo tenere viva l’attenzione a questo nodo, rendere il confronto meno istintivo e superficiale, aiutare a sviscerare la questione nelle sue tante implicazioni, sarebbe un bel servizio alle nostre comunità civili ed ecclesiali.
Questo portale è desideroso di ospitare ogni riflessione, piccola e grande, anche su questa quarta ”C”: la C di Coscienza.
Sandro Campanini
5 Luglio 2019 at 18:17
Se si vuole aprire un dibattito libero e non politicamente riveduto e corretto sul tema della coscienza, si potrebbe iniziare dalla lettura del libro edito in questi giorni da Studium “Tommaso Moro.La luce della coscienza”, con prefazione del Card. Robert Sarah, il quale definisce la coscienza prima di tutto come il luogo di ascolto di Dio.
E’ opportuno riprendere la dottrina del Beato Card. Newman sulla coscienza che è “l’eco della voce di Dio”. E poi c’e la presa di posizione del beato apostolo Pietro “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” e nell’antichità greca Antigone reclama l’obbedienza alle leggi sempiterne piuttosto che alle leggi positive degli uomini. Allora ci si deve appellare alla sovranità della legge universale ( i diritti naturali della persona, creata a immagine e simiglianza di Dio) che è valida in quanto universale per ciascuna persona. Il potere legislativo che applica il diritto positivo assicura una formale legalità, cosa diversa dalla giustizia sostanziale, e può trasformarsi così come il potere giudiziario in un potente strumento per limitare la libertà dell’individuo, eludendo la volontà di una persona e facendo valere la volontà di una maggioranza.