Il dibattito sulla riforma costituzionale, purtroppo più elitario che pubblico e inevitabilmente incentrato su questioni tecniche di metodo e di merito, non sembra attualmente preoccuparsi di mettere in luce da cosa è ispirato l’impianto di riforma elaborato da Renzi e dal suo esecutivo. E’ a mio avviso possibile e interessante farne invece anche un’ermeneutica culturale, evitando gli aspetti tecnico giuridici, economici, su cui non ho competenze e che altri meglio di me hanno messo in luce. Lo farò da cattolico democratico, nell’ambizione di essere parte di quel cattolicesimo progressista che, in quanto tale, coltiva legittimamente punti di vista diversi, anche sulla riforma costituzionale. La mia sensibilità, il mio taglio, le mie lenti sono quelle di un cattolico democratico, fortemente segnato da una storia fatta di antifascismo, di attaccamento alla Costituzione, di grande attenzione al Concilio e al forte rinnovamento che ha innescato nel mondo.
In questi due anni, il governo Renzi si è mosso con una postura post-ideologica. Ha messo ottanta euro nella busta paga di quasi tutti i lavoratori a basso reddito, e questa è inoppugnabilmente una misura di sinistra. In un secondo tempo ha tagliato le tasse sulla prima casa e ha abolito l’articolo 18, istanze che fortemente marcavano il programma della destra e ne erano la bandiera. Ha criticato l’Europa e le sue istituzioni definendole avulse dalla realtà sociale e rigoriste, con derive burocratiche di ostacolo allo sviluppo, tema caro ai Salvini e Meloni vari (alla destra dura e pura, se ci pensiamo bene, ha lasciato solo il razzismo). Ha richiesto tetti agli stipendi pubblici apicali, inseguendo temi cari ai Cinque stelle.
La stessa cultura che muove l’azione di governo, quella post-ideologica, al di là dei posizionamenti di destra e sinistra, la troviamo nella proposta di riforma costituzionale. Infatti facciamo la riforma per abolire il sistema bicamerale perfetto e rendere rapida ed efficace l’approvazione delle leggi (Ulivo), per abbattere i costi della politica (Cinque stelle) e dare più potere nelle mani del governo e del suo capo (centro destra): tutte idee che attraversano e fortemente segnano i vari schieramenti politici.
In questi ultimi mesi, si leggono articoli sulla riforma costituzionale, con approcci giuridici, politici, sociologici, economici e poco nulla dal punto di vista culturale. Tuttavia possiamo asserire che, se è una riforma omogenea al clima culturale dominante in cui le ideologie non occupano più un ruolo centrale, non lo è con l’elaborazione intellettuale del cattolicesimo democratico che, nella sua storia, si contraddistingue per due aspetti imprescindibili rispetto ad una significativa elaborazione teorica: la collegialità (o sinodalità), il discutere con tutti, convincere il più possibile mescolandosi, innovando, coinvolgendo, e un’opera testimoniale, preziosa per la città dell’uomo e attraverso la quale i protagonisti di un tempo hanno avuto una profonda influenza, innestando un patrimonio valoriale rilevante per tutti. Questi aspetti, sinceramente, mancano nella riforma costituzionale messa in campo dal governo Renzi ed è secondo me una ferita profonda che nel lungo periodo si farà sentire.
Alla Costituente, Dossetti, La Pira, Lazzati, Moro, Mortati, con il loro metodo collegiale e con la loro opera testimoniale, hanno anticipato il Concilio, sono stati dei pionieri fecondi, hanno reso una diaconia imprescindibile alla politica, un esempio per tutti. Un grande lascito, che ci ricorda come solo i poteri forti come i mercati, la finanza, le borse, istanze anonime, non vogliono discussione, partecipazione, ma decisioni sopra la testa di tutti. Nella fase storica futura, quando il Pd subirà battute d’arresto, ci si ricorderà di come la sinistra si è mossa in questa congiuntura, di come sono state fatte le riforme costituzionali, cioè senza coinvolgimento delle minoranze, e avremo davanti passaggi duri, dove si dovrà lottare per salvaguardare il forte impulso valoriale che caratterizza la nostra amata Costituzione.
C’è infine un’ultima considerazione da fare sulla politicizzazione del referendum, una scelta che non aiuta a discutere nel merito delle questioni. Renzi lo ha fatto nella previsione, confermata, di un eventuale insuccesso alle elezioni amministrative, dandosi l’opportunità di spostare la resa dei conti sul referendum. In questo caso avrebbe avuto due vantaggi legati al referendum, che non è abrogativo, ma confermativo e non richiede il quorum: si sarebbe rifatto della sconfitta pesante alle amministrative e avrebbe avuto quel consenso di cui tutti gli rinfacciano la mancanza, senza passare dalle urne. Egli infatti confida nell’appoggio aprioristico di strutture come la confindustria, parte del sindacato, buona parte del suo partito, fetta rilevante dell’informazione, tutte realtà non abitate da cani sciolti e che, combinate con l’astensionismo, visto che non c’è il quorum, possono dargli la possibilità di spuntarla. L’esplosione dei populismi, la politicizzazione della contesa, la crisi economica complicano il quadro. In questa fase la tradizionale democrazia dell’alternanza tra un centrodestra e un centrosinistra che guardano al centro ha esaurito la sua spinta propulsiva ed è finito un ciclo storico un po’ in tutta Europa: dobbiamo ora misurarci con i populismi.
In questa difficile congiuntura sarebbe quindi un grave errore politico lasciar cadere l’insegnamento lasciatoci dai grandi cattolici democratici che nella loro stagione storica, tormentata come la nostra, legata all’elaborazione della Costituzione, hanno dato un grande contributo per costruire una società giusta, partecipativa e sostenibile; sono stati agenti di cambiamento straordinario con il loro metodo collegiale e una prassi testimoniale fertile per tutti. Non lasciamone cadere l’esempio.
Molli Mario Giuseppe
23 Novembre 2023 at 12:28
Bravo Mario, contenuto ottimo, hai detto la verità come sta!!!!!
Le scuole sono un posto dove l’insegnare viene prima di tutto
Continua con i tuoi testi programmatici sulla politica e la religione italiana,