Già nel gennaio scorso Michele Ainis, sul “Corriere della Sera”, avvertiva che la cosiddetta riforma Renzi-Boschi-Verdini era “una riforma incompiuta sui ruoli e sui poteri”. Perché c’è il rischio di dover aspettare molto tempo prima che arrivino le numerose leggi ordinarie attuative dei 47 nuovi articoli della nostra Costituzione. Un ginepraio dove su molti aspetti decisivi il testo licenziato dal Parlamento non decide, o meglio, rinvia la decisione alla legge specifica che verrà. E’ quindi giusta la critica sollevata dal fronte del NO: infatti abbiamo troppi poteri in capo al governo e pochi contropoteri; forse qualche efficienza in più, ma poche garanzie per una democrazia che voglia essere rappresentativa della volontà popolare.
Anche nel mondo cattolico, pur nella sua varietà e nelle diverse sensibilità, sta crescendo una motivata preoccupazione per i rischi di un siffato “nuovo” modello di articolazione costituzionale. E’ di pochi giorni fa un articolo di un illustre costituzionalista su “La Stampa”, già presidente della Corte Costituzionale, Ugo De Siervo di Firenze, allievo di Giorgio La Pira, che, fuori dai denti, dice “La Carta: doveroso cambiarla, ma non così !”. Questa è solo la punta di un più ampio movimento che sta nascendo tra i cattolici, almeno quelli capaci – per dirla con Giuseppe Lazzati – di “pensare politicamente”. Infatti a Roma lo scorso 21 marzo è stato presentato il Comitato dei “Cattolici del NO” con un appello intitolato “No alla democrazia dimezzata”, che invita ad un’attiva partecipazione al referendun consultivo di autunno, ritenendo il No una risposta coerente per il rigetto di una riforma che, che fra l’altro, elimina il Senato come organo eletto dai cittadini e rappresentativo della sovranità popolare e che ingloba una legge elettorale perniciosa, già dichiarata incostituzionale in alcune sue parti (Italicum) dalla Consulta. Invita ad opporsi a quella che viene letta come una controriforma. I promotori del NO affermano, e credo sia difficile smentirli con le battute “spiritose” dei massimi esponenti del governo attuale, che nel nostro Paese i cristiani “già altre volte, in momenti cruciali della storia della Repubblica, sono stati determinanti con le loro scelte nei referendum per un avanzamento della democrazia e della laicità e per tenere aperta la via di vere riforme. Oggi – continua l’ Appello dei cattolici – ci sentiamo di nuovo chiamati a votare No alle spinte restauratrici” per «una questione di giustizia», «di verità», per «patriottismo costituzionale», come spesso Dossetti incitava a fare, e per «coerenza storica». Le firme in calce al testo si aprono con importanti nomi, fra cui, quelli di Anna Falcone (avvocato), Domenico Gallo (magistrato), Raffaele Nogaro (vescovo emerito di Caserta), Alex Zanotelli (missionario comboniano), Lorenza Carlassare (costituzionalista), Paolo Maddalena (vice-presidente emerito della Corte Costituzionale), Boris Ulianich (storico del cristianesimo). In particolare un “grido di dolore” per questa preoccupante deriva populista, proviene dal direttore, ai tempi del Concilio, de “L’Avvenire d’Italia”, Raniero La Valle che, quale presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione, in una lettera aperta del 18 aprile indirizzata al Comitato bolognese del NO, evidenzia come “la riflessione durante la battaglia referendaria dovrà prendere in carico e approfondire l’analisi dello ‘scarto’ che si è venuto a creare tra la Costituzione italiana e la natura barbara di questa ultima fase della storia d’Italia, d’Europa e del mondo, scarto che politici zelanti vorrebbero cancellare abbassando la Costituzione a specchio dell’esistente e addirittura a regressione al passato pre-costituzionale. Io credo – continua La Valle – che a noi tocchi un’altra scelta: tenere alto il disegno etico e istituzionale della Costituzione del ’48, richiamando la coscienza pubblica a onorarlo e a mantenerlo come traguardo sempre da raggiungere; e nello stesso tempo rimettere radicalmente in questione le attuali scelte politiche e di civiltà che ci stanno riportando nella notte “. I termini sono forbiti, ma la sostanze è chiara!
Ma ancor più pregnante, anche se meno polemico, è il documento di 56 costituzionalisti ‘contro’ la riforma della nostra Carta, promosso e firmato da alcuni dei più importanti e noti costituzionalisti italiani. Oltre a Valerio Onida ed Enzo Cheli, lo hanno sottoscritto personalità di diverso orientamento culturale e politico, cattolici e laici: tra gli altri Gustavo Zagrebelsky, Francesco Paolo Casavola, Lorenza Carlassare, Ugo De Siervo, Gianmaria Flick, Paolo Maddalena, Franco Bile, Luca Antonini, Antonio Baldassarre, Franco Gallo, Fulco Lanchester, Fernando Santosuosso. Laddova si afferma che quella approvata dal Parlamento non è “l’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi” della Carta o “di una sorta di nuovo autoritarismo” ma è però una potenziale e pericolosa fonte di nuove disfunzioni del nostro sistema istituzionale”.
Innanzitutto i costituzionalisti si dicono “preoccupati” per il fatto che il testo della riforma, “ascritto ad una iniziativa del governo, si presenti ora come risultato raggiunto da una maggioranza (peraltro variabile e ondeggiante) prevalsa nel voto parlamentare (“abbiamo i numeri” però passando dal patto del Nazareno, di impronta berlusconiana, all’aiuto trasformistico e spreguidicato di Verdini) anziché come frutto di un consenso maturato fra le forze politiche; e che ora addirittura la sua approvazione referendaria sia presentata agli elettori come decisione determinante ai fini della permanenza o meno in carica di un governo”. Questo perchè “la Costituzione, e così la sua riforma, sono e debbono essere patrimonio comune il più possibile condiviso, non espressione di un indirizzo di governo e risultato del prevalere contingente di alcune forze politiche su altre”.
Nel merito, scrivono, l’obiettivo, “pur largamente condiviso e condivisibile”, di un superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto, è stato “perseguito in modo incoerente e sbagliato” perchè il nuovo Senato risulta “estremamente indebolito, privo delle funzioni essenziali per realizzare un vero regionalismo cooperativo”. Inoltre “l’assetto regionale della Repubblica uscirebbe da questa riforma fortemente indebolito attraverso un riparto di competenze che alle Regioni toglierebbe quasi ogni spazio di competenza legislativa”.
E se ci sono “anche previsioni normative che meritano di essere guardate con favore” come la restrizione del potere del governo di adottare decreti legge o la previsione di tempi certi per il voto della Camera”, “questi aspetti positivi – dicono i 56 – non sono tali da compensare gli aspetti fortemente critici”.
La situazione in cui ci troviamo credo sia ben tratteggiata da un volumetto dal titolo Riappropriarsi della democrazia, uscito nel 2014 dalla Editrice Vaticana, di Mons. Mario Toso, vescovo di Faenza, uno dei “padri” ed animatori della Dottrina Sociale, che scrive: “La crisi della democrazia è, assieme alla sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e delle élites politiche democratiche, sotto gli occhi di tutti. Le società stanno diventando sempre più diseguali, insicure e conflittuali. Oggi, non soltanto manca l’autorevolezza e l’efficacia dei detentori del potere politico, ma anche delle élites economiche e sociali. Diventa sempre più chiaro che se il mondo cattolico non vuole perdere uno stile di vita di tipo democratico e partecipativo, occorre procedere alla nascita di nuovi movimenti sociali, alla riforma dei partiti e delle molteplici istituzioni sociali, non esclusi i sindacati, che popolano il tessuto civile. Questo però non potrà accadere senza un rinnovato ethos della responsabilità sociale e non potrà esserci senza il rilancio dell’ideale di una democrazia sociale e veramente partecipativa “.
Luigi Bottazzi , già consigliere regionale PPI dell’ Emilia-Romagna