In un agile libretto il sociologo Carlo Trigilia affronta il problema del declino della sinistra, mettendo a confronto diversi sistemi sociali.
Non è certo materia nuova né per lui né per altri autori; forse l’interesse sta nell’aggravarsi della situazione della sinistra.
Trigilia distingue quattro sistemi che chiama “crescita non inclusiva”, “crescita inclusiva egualitaria”, “crescita inclusiva dualistica” e infine “bassa crescita non inclusiva”.
Viene subito messo da parte il primo sistema della crescita non inclusiva, proprio dei paesi anglosassoni Usa e UK, perché troppo lontani da quelli europei.
Il confronto viene quindi condotto tra i paesi inclusivi egualitari e dualistici da una parte e i paesi non inclusivi dall’altra, cioè tra i paesi nordici e continentali e i paesi del Sud Europa.
Secondo Trigilia si possono indicare due tipi fondamentali di democrazie, una maggioritaria e l’altra negoziale: quella maggioritaria opta per sistemi elettivi maggioritari, inducendo i partiti a una politica rivolta verso il centro al fine di conquistare il maggior numero di voti.
La democrazia negoziale invece preferisce una legge elettorale proporzionale, con pluralità di partiti, ma si basa anche su una solida concertazione sociale.
In molti paesi, sulla spinta del liberismo e della globalizzazione, si è spesso scelto la soluzione maggioritaria; anche la sinistra, ad esempio con la Terza Via, ha accettato il liberismo, adottando delle attenuanti.
Ai nuovi problemi posti dai cambiamenti economici, i paesi nordici hanno reagito meglio, correggendo lo welfare e adottando politiche attive per il lavoro.
I paesi continentali hanno seguito la stessa strada, ma con risultati più limitati, perché hanno una struttura dualistica del mercato del lavoro e non sono stati in grado di proteggere adeguatamente le fasce deboli.
Gli ultimi paesi, quelli del Sud Europa, fra cui l’Italia, non sono riusciti a difendersi adeguatamente: il dualismo in questo caso è diventato radicale e il peso del vecchio welfare non ha consentito una risposta incisiva alle esigenze dei nuovi lavori non qualificati.
Anche la concertazione, più rilevante nei paesi nordici, si è presentata troppo incerta e discontinua nei paesi del Sud.
Passando ad esaminare la situazione dei partiti, Trigilia analizza la perdita di voti della sinistra da parte dei lavoratori, dovuta a una diminuzione della classe operaia omogenea di un tempo e alla dispersione attuale delle basse categorie.
La sinistra avrebbe così deciso di rivolgersi piuttosto ai ceti medi, ma l’operazione non è riuscita che in minima parte.
I due capitoli finali sono dedicati, uno al capitalismo democratico e l’altro alla realtà italiana.
Il capitalismo democratico (termine piuttosto in disuso ed è comprendibile il perché) è una convinzione dell’autore che sostiene che una forte democrazia è compatibile con una forte economia (di libero mercato?) e che questa sarebbe la situazione migliore possibile.
Ma a parte i Trenta Anni Gloriosi del dopoguerra, situazione del tutto eccezionale (anche se l’autore ne dubita), non sembra che oggi ci sia molto accordo tra le due realtà: lo avverte anche Trigilia quando afferma che dalla globalizzazione ci si aspettava più ricchezza per rispondere alle diseguaglianze (ma è proprio questa ricchezza globale che va ai più ricchi!).
Sulla situazione italiana le sue indicazioni sono sostanzialmente quattro, che riassumo:
- Responsabilizzazione delle organizzazioni sindacali
- Partecipazione e cooperazione dei lavoratori nelle imprese
- Sviluppo dell’istruzione, scuola, ricerca
- Responsabilizzazione dei partiti, sia di governo sia di opposizione
Se teniamo conto che sia il 2^ e il 3^ punto significano responsabilità dei lavoratori nelle aziende e nella loro qualificazione professionale, la proposta di Trigilia si riassume in un grande invito alla “responsabilità”.
In sede conclusiva, per esprimere un breve giudizio critico, ritengo senz’altro condivisibile l’idea di una democrazia negoziale e quella di un sistema elettorale proporzionale.
Mi sembra però che non appaiano per nulla chiare le cause della disuguaglianza e che sia troppo trascurata la materia economica, che con la disuguaglianza ha molto a che fare.
Ora una causa strutturale della disuguaglianza proviene proprio dalla globalizzazione che provoca la “race to bottom”, la corsa al ribasso dei salari e delle condizioni di lavoro (diffondendo il lavoro informale) che colpisce tutti i paesi; i più deboli soffrono di più, ma anche i più forti ne sono colpiti duramente: basti vedere la situazione degli USA e l’ascesa di Trump, ma anche i n Europa, la vittoria della destra in Svezia e una possibile crisi profonda dell’economia tedesca legata alla Russia e alla Cina.
Ci sarebbe poi molto da discutere sulle classi popolari e la sinistra. Non credo che sia soprattutto questione di welfare.
Le forze populiste guadagnano voti con promesse facili e con proposte fantasiose: la difficoltà attuale sta nel far accettare soluzioni di medio/lungo periodo a una popolazione elettorale sempre più mobile da una votazione all’altra.
In sostanza l’analisi politica di Trigilia, confrontando i diversi sistemi politici, esprime una chiara preferenza per quello nordico-continentale, sottovalutando che è proprio l’aumento strutturale della disuguaglianza, a cui non si è trovato una risposta valida, il brodo di cultura del populismo, di cui tutti i sistemi sono vittime in eguale misura.
La parte più convincente del discorso riguarda la necessità di una rappresentanza generale (e unitaria) del lavoro, capace di una concertazione efficace delle politiche economiche. Ma su questo passo la palla ai sindacati.
Sandro Antoniazzi
s.a.