La via italiana alla laicità

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Il teologo Piana recensisce, sul quindicinale “Rocca”, il libro di Franco GarelliReligione all’italiana. L’anima del Paese messa a nudo”, Il Mulino, 2011

di Giannino Piana, in “Rocca” n. 4 del 15 febbraio 2012

Tra le tematiche più interessanti affrontate dall’indagine di Garelli e dei suoi collaboratori occupa senz’altro un posto privilegiato il capitolo dedicato alla laicità. Ad esso vanno ricondotte tanto le questioni tradizionali riguardanti i rapporti tra chiesa e stato quanto (e soprattutto) quelle relative all’azione pubblica della chiesa, cioè alla sua presenza diretta nelle battaglie politico-legislative; presenza che si è fatta, negli ultimi decenni, sempre più accentuata, grazie anche all’emergere di problematiche etiche di particolare delicatezza, designate (con un termine discutibile) «questioni eticamente sensibili».

La linea di fondo, che sembra avere a tale proposito il sopravvento, considerando l’insieme delle risposte alle domande del questionario, risulta piuttosto equilibrata. Ciò che si chiede è infatti che i rapporti tra sfera religiosa e sfera secolare siano improntati a un reciproco rispetto degli ambiti di pertinenza e di competenza, e che l’azione tanto dello stato e della società civile quanto della chiesa si mantenga entro tali ambiti. Il che impone una grande (e non sempre facile) attenzione ad identificare, di volta in volta, il limite oltre il quale non è possibile andare per evitare di incorrere nel pericolo di una indebita ingerenza, senza cadere tuttavia in una forma di radicale separazione che finirebbe per nuocere allo sviluppo della stessa convivenza civile.

Alcune questioni rilevanti

I nodi critici, che hanno assunto, al riguardo, sempre maggiore rilevanza sono molti e di diversa natura: dai simboli religiosi alle esenzioni fiscali, dalla scuola cattolica (e dall’insegnamento della religione nella scuola pubblica), fino alla partecipazione già ricordata della chiesa (e più specificamente della gerarchia) al dibattito pubblico su questioni eticamente e socialmente di particolare significato.

Quanto ai simboli religiosi, la discussione si è incentrata in questi anni attorno all’esposizione del crocifisso negli ambienti in cui si svolge un servizio pubblico (scuole, ospedali, tribunali, ecc.). Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i 3/4 degli intervistati ritengono giusto esporre il crocifisso – i contrari sono soltanto 1’11,5% – considerandolo un simbolo di valori universali e, in misura quantitativamente minore, un simbolo del sentimento nazionale (in questo caso gioca un ruolo importante la questione dell’identità che alcuni ritengono verrebbe ad essere gravemente compromessa dalla presenza sul territorio di religioni diverse, e in particolare dell’islam). Non vanno tuttavia sottovalutate le motivazioni di chi denuncia – in maggioranza giovani e persone con un alto livello di istruzione – i rischi legati a tale esposizione: dal mancato rispetto verso chi non ha una fede cristiana o non ha alcuna fede a una riduzione della scelta religiosa a scelta privata, fino alla considerazione – condivisa da un numero significativo di praticanti – che il crocifisso è un simbolo troppo importante per essere esposto alla mercè di tutti con il pericolo che susciti atteggiamenti di indifferenza e sia talora fatto oggetto persino di disprezzo.

La posizione degli intervistati è, invece, rovesciata a proposito delle esenzioni fiscali di cui gode la chiesa, in particolare del pagamento dell’imposta sugli immobili. La maggioranza del 54,8% è nettamente contraria all’esenzione, che viene da essi giustificata soltanto laddove si tratta di edifici a specifica finalità religiosa: l’ostilità è maggiormente presente tra i giovani e gli abitanti del Centro Italia, ma anche, in numero consistente, tra i cattolici impegnati, i quali parteggiano per una chiesa che rifiuti ogni vantaggio da parte dello stato. Chi si dichiara favorevole all’esenzione mette soprattutto in luce il grande apporto della chiesa alla società attraverso gli oratori, i centri di assistenza e di cura, nonché le istituzioni ricreative e culturali. Più variegate e controverse sono, infine, le valutazioni relative alla scuola cattolica e all’ora di religione nelle scuole statali. Sul primo fronte – quello della scuola cattolica – il 43% degli intervistati ammette la possibilità che esistano scuole non statali, purché chi le vuole se le paghi in proprio; se a questi si aggiunge il 37% di coloro che ritengono che la scuola dovrebbe essere soltanto statale si deve concludere che i 4/5 degli italiani sono sfavorevoli al finanziamento pubblico della scuola privata.

Sul secondo fronte – quello dell’ora di religione – la percentuale di chi è d’accordo con il sistema attuale – il 60,9% (con un 30% che si dichiara contrario) – non sembra corrispondere alla realtà della partecipazione effettiva: la stragrande maggioranza delle famiglie e degli studenti continua infatti a scegliere di avvalersi dell’ora di religione, sia pure con una consistente contrazione degli studenti delle superiori, specialmente in alcune regioni italiane: in Toscana, Piemonte e Liguria la percentuale di chi non si avvale è di circa il 30% (a Milano di quasi la metà).

 Gli interventi nella sfera pubblica

Ma la questione più delicata, che è venuta assumendo negli ultimi anni sempre maggiore centralità, riguarda – come già si è detto – l’opportunità dei pronunciamenti della chiesa su questioni eticamente sensibili o socialmente rilevanti. Un momento particolarmente critico, a tale riguardo, si è verificato nel 2005, in occasione del referendum abrogativo della legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita, che ha visto una forte presenza della chiesa cattolica nel dibattito pubblico con una esplicita presa di posizione a favore dell’astensione dal voto; astensione che ha di fatto ottenuto il 75% (anche se è difficile stabilire quanto abbia inciso sul risultato l’intervento dei vescovi). Si è sviluppata, in quella circostanza, una forte polemica circa la liceità di tale intervento, con la richiesta avanzata da più parti di limitare la presenza della chiesa nella sfera pubblica. I dati forniti dall’indagine Garelli registrano in realtà una situazione maggiormente fluida con posizioni contrapposte, che godono ciascuna di un consenso piuttosto ampio: mentre infatti circa 1/3 degli intervistati ritiene illecita la ingerenza dei vescovi, il 40% afferma che si è trattato di un atto doveroso e legittimo. Al di là del caso particolare la questione delle dichiarazioni della chiesa su tematiche pubbliche appare decisamente controversa. Poco meno della metà degli intervistati è convinto che la chiesa abbia il diritto/dovere di manifestare la propria opinione ed invoca a sostegno di questa tesi il diritto di cittadinanza della religione. Il 27% si dichiara invece contrario a qualsiasi tipo di intervento, facendo appello ad una visione del tutto spirituale della chiesa, la quale proprio per questo deve coltivare e promuovere semplicemente i valori dello spirito. Vi è poi chi distingue tra interventi di ordine etico, relativi cioè a tematiche eticamente sensibili, e interventi di ordine sociale riguardanti tematiche legate alle situazioni di ingiustizia e di povertà presenti nella società; in questo secondo caso il numero di coloro che considerano legittimo l’intervento è piuttosto alto; ed è curioso rilevare la netta inversione di tendenza presente all’interno dello stesso mondo cattolico: mentre infatti i credenti socialmente impegnati auspicano che la chiesa si pronunci apertamente sulle questioni sociali, promuovendo la giustizia e tutelando i diritti dei poveri, i cattolici tradizionalisti sono favorevoli alle battaglie della chiesa per la difesa dei valori (o dei principi) «non negoziabili», che vanno riproposti anche sul terreno politico-legislativo in quanto cardini di un ordinamento civile a misura d’uomo.

L’analisi di Garelli tenta, in definitiva, di dare conto della concezione di laicità che emerge dall’inchiesta e che costituisce la via propriamente italiana. Egli individua, a tale proposito, la presenza di quattro modelli di definizione dei rapporti tra chiesa e stato: il modello della limitazione, il quale prevede che lo stato ponga un preciso limite all’intervento delle chiese nella vita pubblica, quello della neutralità negativa, per il quale la separazione è concepita come indifferenza, quello della neutralità positiva, che implica da parte dello stato un rapporto di collaborazione con le religioni, e, infine, quello della preferenza in cui lo stato accorda un rapporto privilegiato alla religione prevalente (nel caso italiano a quella cattolica), in quanto costitutiva della cultura della nazione.

I risultati che l’inchiesta fornisce non sono univoci; lasciano intravedere una varietà di atteggiamenti, che riflette la presenza delle molte anime degli italiani. Ciò che tuttavia risulta chiaro scorporando i dati è la netta prevalenza – circa il 60% – dell’adesione ai due ultimi modelli – quello della neutralità positiva e quello della preferenza – con una percentuale assai più limitata di adesione ai modelli della limitazione e della neutralità negativa. Il che sembra indicare che la maggioranza degli italiani guarda con favore a un rapporto costruttivo dello stato nei confronti della sfera religiosa, con una particolare attenzione alla religione prevalente, senza venire meno per questo al rispetto del pluralismo delle fedi e al riconoscimento della laicità delle istituzioni pubbliche.

Il modello di laicità che caratterizza la sensibilità media degli italiani è dunque equilibrato; al rispetto della autonomia dello stato e delle istituzioni che ad esso fanno capo si accompagna infatti il riconoscimento dell’importanza delle religioni nell’ambito della società civile, in quanto portatrici di valori destinati a rendere più umana la convivenza. In altre parole, ciò che sembra emergere dall’insieme delle risposte degli intervistati è la chiara attestazione della laicità dello stato e, nel contempo, la convinzione che la società non può che essere «plurale», e che la presenza in essa delle religioni, lungi dal costituire un attentato alla laicità, è piuttosto un fattore di arricchimento della vita della comunità.

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