L’alibi del “migrante economico”

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Intervento del presidente del Centro Astalli all’incontro “Cristiani e mussulmani per la misericordia” organizzato a Roma il 7 dicembre dalla Associazione Amici di padre Dall’Oglio e dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana. Il titolo dell’intervento è redazionale

 

Parto da un’espressione che mi ha molto colpito del card. Kasper: “La mistica della misericordia è una mistica degli occhi aperti”. Parto da questa espressione perché la ritengo molto adatta ad affrontare il tema della misericordia verso i migranti. Il fenomeno migratorio, pur essendo sotto gli occhi di tutti e pur dovendone constatare la enorme portata (secondo proiezioni i migranti nel mondo sono arrivati a essere 237 milioni, e di questi 59 milioni sono i migranti “forzati”), pur vedendo continuamente immagini che apparentemente sembrano toccare la nostra sensibilità, noi facciamo fatica a vederlo nella sua reale portata: è come se pur guardandolo non lo vedessimo nel modo adeguato.

E non lo vediamo in modo adeguato perché lo vediamo dal nostro punto di vista di europei, di occidentali che tendono alla salvaguardia dei propri interessi e alla difesa delle proprie frontiere più che alla difesa dei diritti di tutti. E trasformiamo i diritti in privilegi. Ad essere sinceri, abbiamo una sorprendente familiarità con i numeri e le percentuali che riguardano questo popolo in movimento ma ci fugge la cosa più importante: avere cuore per queste persone, riportare loro al centro delle nostre riflessioni, delle nostre riunioni strategiche, delle agende politiche, non considerandole una massa informe. Occorre riportare la loro dignità al centro.

Credo allora che la misericordia, il giubileo della misericordia, ci offra una chiave per aprire gli occhi di fronte a tale fenomeno. Misericordia, letteralmente “avere un cuore per i miseri”, ci invita a metterci nei loro panni, nei panni di questi poveri. E i migranti, i migranti forzati in particolare, sono loro i miseri che ostinatamente non vogliamo vedere così come sono nella loro necessità di trovare un luogo e un ambiente ospitale e accogliente.

Dice un proverbio africano: “prima di criticare qualcuno cammina per un miglio nelle sue scarpe”. Siamo disposti in ogni occasione a giudicare le motivazioni del loro peregrinare, ma mai che veramente cerchiamo di comprender le reali motivazioni che li hanno condotti sulle nostre coste.

Cerchiamo in continuazione alibi ben ponderati e che spesso fanno leva sulle nostre paure ma che non vanno alla verità delle cose e soprattutto non guardano con verità alle persone.

 

Per esempio: di fronte al flusso di persone di diverse nazionalità della scorsa estate si è fatto avanti l’alibi del “migrante economico”. Da più parti abbiamo sentito ripetere che si può essere disposti a accogliere chi fugge da guerre, ma chi parte in cerca di condizioni più umane per sé e la propria famiglia costui non ha diritto di entrare in Europa; va identificato e rimandato a casa sua. Tuttavia oggi si registra una crescente tendenza a riconoscere tali persone come rifugiati “de facto” per ragioni umanitarie, data la natura involontaria della loro migrazione. Giustizia ed equità richiederebbero un atteggiamento diverso per coloro che fuggono da condizioni economiche che minacciano la loro vita e la loro integrità fisica. Pensiamo solo ai così detti migranti ambientali: come distinguere veramente le motivazioni della loro partenza? In un territorio divenuto instabile dal punto di vista ambientale, in cui la produttività dei terreni si è ridotta, e quando la presenza di cibo e acqua scarseggia, e a volte imperversano conflitti, da questo luogo una persona decide di partire o fugge? È una migrazione spontanea o forzata?

 

Il terrorismo. Mi rendo conto di urtare la sensibilità di molti in un tempo in cui la paura rischia di impadronirsi delle nostre vite e in cui il tema sicurezza ha il sopravvento su tutto, e il rischio è anche di essere frainteso; eppure, dopo le stragi di Parigi, il binomio migrante-terrorista o rifugiato-terrorista è difficile da scalfire, e poco valgono dichiarazioni di smentita anche di persone autorevoli quando nei fatti si opera in altro modo. “Trovo pernicioso mettere sullo stesso piano i rifugiati e i migranti con i terroristi. Ricordiamoci che si tratta di persone che sono obbligate a scappare dal loro Paese per colpa di chi sparge il terrore in Europa”, ha ribadito Jean-Claude Junker lo scorso 25 novembre, in un discorso al Parlamento Europeo. Eppure la rinnovata enfasi sulla sicurezza ha avuto come conseguenza immediata un’accelerazione delle politiche di chiusure dei confini che già alcuni Stati membri dell’Europa orientale avevano iniziato a mettere in atto. Molti Stati hanno immediatamente dichiarato che l’attacco terroristico di Parigi implica una revisione delle politiche di accoglienza e, senza andare troppo lontano, anche nel nostro Paese e ahimé nella nostra città, si sono intensificati i controlli soprattutto in quei luoghi di aggregazione di migranti che da mesi, per non dire da anni, sono sotto gli occhi di tutti nelle modalità in cui appaiono oggi. Tutto questo non fa certo verità sulla vita della maggioranza di queste persone che arrivano nei nostri paesi ma complica la loro vita creando confusione nell’opinione pubblica.

 

Allora credo che il giubileo della misericordia e la misericordia per i migranti e i rifugiati passino innanzitutto nel mettersi nei loro panni, nel cercare di capire le loro motivazioni, nel cercare di entrare nella varietà delle loro culture e di dialogare con le diversità delle loro religioni. “Questo Anno Giubilare vissuto nella misericordia possa favorire l’incontro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose; ci renda pi aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione” (Misericordiae vultus). E’ solo allora che la misericordia, la compassione si fa vera accoglienza e apre la strada all’integrazione.

Integrazione: unica via per una convivenza pacifica; un processo che allo stesso tempo è una sfida culturale affascinante e complessa, perché comporta la necessità di uscire dalla logica del io e del tu per entrare in quella del noi, un noi multietnico, multiculturale e multireligioso. La società del domani, che consegneremo alle giovani generazioni europee, non dovrà più essere nostra in contrapposizione a quella di un fantomatico straniero, con un volto diverso a secondo del Paese dal quale proviene, ma dovrà essere la nostra casa comune, di cui ciascuno si senta parte integrante, cittadino, corresponsabile.

 

 

  1. Camillo Ripamonti sj

 

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