“L’Unità” pubblica una parte dell’intervento che la storica Emma Fattorini ha tenuto venerdì 10 febbraio al convegno “Gesù nostro contemporaneo”, nell’ambito della tavola rotonda in cui si è parlato di Gesù e le donne (insieme alla Fattorini hanno partecipato Paola Ricci Sindoni, Liliana Cavani e Ermenegildo Manicardi). I partecipanti al Convegno sono state introdotti in questo tema da un video inedito realizzato dalla regista Liliana Cavani che ha proposto la testimonianza di un gruppo di clarisse francescane. Un video nato in modo spontaneo e senza prove, ma ricco di provocazioni su come la Chiesa potrebbe valorizzare meglio il genio femminile. Al video è seguito l’intervento della Fattorini che ha sottolineato come l’appello spontaneo delle clarisse debba essere ascoltato dalla Chiesa, non come una rivendicazione di quote rosa ma perché la Chiesa non può fare a meno della componente femminile e delle sue capacità di annunciare e testimoniare Cristo oggi. La Chiesa – ha osservato la storica – deve recuperare l’alleanza con il femminile, perché le donne possono essere il centro di un nuova costituente antropologica, grazie alla loro capacità naturale ad essere ponte con i non credenti.
di Emma Fattorini, in “l’Unità” dell’11 febbraio 2012
La donna è più predisposta a quell’unità di vita tra piccolo e grande, tra dentro e fuori, tra interiorità ed esteriorità che è il modo contemporaneo in cui Cristo ci appare oggi. In un tempo come il nostro nel quale è forte la scissione tra le affermazioni di principio e i comportamenti pratici, anche tra i cristiani che tanta fatica fanno a raggiungere una unità di vita.
Però, come non credo all’inferiorità femminile, non credo neanche ad una superiorità della donna neppure nel rapporto con Gesù. Credo invece, profondamente, in un’assoluta parità della donna con l’uomo, ma una parità così radicale da consentire una sua altrettanto radicale differenza con lui. Una differenza anche nel loro rapportarsi a Dio. Una differenza che purtroppo gli uomini, tutti, anche quelli di Chiesa hanno tradotto, banalmente, con inferiorità. Un errore, ma direi di più: un vero e proprio peccato che non solo Gesù non commise mai, ma dal quale proprio e solo lui, in tutta la storia umana, ha aiutato davvero ad affrancarci, cambiandone il segno.
Questo non è ciò che avviene nella Chiesa. Le suore oggi sono consapevoli dell’assurdità di questa posizione, dell’errore enorme, della perdita secca che, non loro, ma il mondo maschile della Chiesa subisce nel non valorizzare il femminile. Qualcosa che non può dominare, controllare e che pure sarebbe una ricchezza e una benedizione per lui e per la Chiesa.
Credo che la Chiesa rischi di perdere l’occasione storica di una grande, potente, alleanza con il genere femminile. La Chiesa, lungo la sua storia, si è alleata tante volte con le donne: nei momenti in cui si è sentita sconfitta, ad esempio dopo la rivoluzione francese, o in i tutti i passaggi cruciali del processo di secolarizzazione, si è sempre alleata con quel senso di pietà religiosa che la donna riusciva a fare vivere in casa comunicandola ai propri uomini, ai figli, al proprio marito sempre più lontani dalle pratiche religiose. Si trattava di una devozione mai disgiunta da un profondo e rigoroso cambiamento interiore, fatto di onestà, formazione del carattere e coerenza. Ecco allora, ancora una volta, la capacità femminile di tenere uniti il dentro e il fuori.
Poi, con il processo di emancipazione femminile, dalla fine dell’Ottocento in poi, questa alleanza si è spezzata: la donna è diventata sempre di più veicolo e metafora della modernità vista solo nei suoi pericoli, in primo luogo la libertà dell’individuo.
Oggi questo processo è giunto agli esiti più estremi. Quello che papa Wojtyla ha chiamato svolta antropologica, che non è quella bandiera ideologica rinfacciata su tutti i fronti. Lui l’assume, fin dal tempo in cui, lavorando al Concilio contribuì al n. 22 della Gaudium et Spes in questi termini: Cristo svela pienamente l’uomo all’uomo, perché solo nel mistero del Verbo anche il mistero dell’uomo incarnato trova vera luce. Dio ha posto nell’uomo un seme di eterno. Cioè Cristo aiuta l’uomo ad essere pienamente uomo e qui Wojtyla aggiunge che, in questo passaggio, la cooperazione femminile è fondamentale, essenziale. È fondativa, non accessoria o secondaria.
Oggi la libertà soggettiva e i diritti individuali sono la cultura dominante, come a fine Ottocento fu la questione sociale. E come allora la Chiesa riuscì a farsene carico con una dottrina sociale capace di rispondere in avanti alle domande del collettivismo socialista e dell’individualismo liberale, così deve fare ora con il tema delle libertà individuali. E la donna da minaccia suprema potrebbe essere la più preziosa alleata.
Vorrei dire molto serenamente ai nostri sacerdoti e alle nostre gerarchie: non dovete avere paura del rapporto vero con le donne. E questo significa in primo luogo che, quando si parla giustamente e inevitabilmente di valori irrinunciabili, l’etica, che ne è il fondamento, si può fondare solo sull’amore e non sullo scambio politico: quello, lo sappiamo bene, ci vuole, sarebbe dannosamente ingenuo ignorarlo. Ma non è mai, assolutamente mai il patteggiamento politico a dovere avere l’ultima parola. E questo non per purismo imbelle ma perché, semplicemente, non funziona. Le donne possono essere il centro propulsore di una sorta di nuova costituente antropologica, in cui in nome di un comune umanesimo, che non può esistere se non è anche un umanesimo femminile, si possono trovare più ragioni comuni con i non credenti che argomenti di divisione. Due sono i vizi da evitare perché questo sia possibile: la colpevolizzazione o il moralismo, ne abbiamo avuti tanti esempi in questi dieci anni e abbiamo visto come siamo finiti.
Nel nuovo protagonismo dei cattolici nella politica italiana le donne possono essere centrali, quale ponte e dialogo con i non credenti, possono essere pilastri di una nuova cooperazione. E, invece, come sono apparse le donne sulla scena pubblica nell’ultimo ventennio? O come corpi mercificati, o come fattori divisivi dei valori non negoziabili. Eppure è altro lo spazio per le donne.
È chiaro ormai per tutti che la crisi del mondo occidentale è etica prima che economica. Ma se nuove regole, una stessa nuova etica non cresce e matura dall’interiorità, dalla maturità complessiva delle persone non potremo mai risollevarci. È irrealistico, prima che sbagliato, pensare ai bisogni dei giovani, i più penalizzati dalla crisi, come pure opportunità di occupazione. Lo so, sembra da pazzi, eppure è proprio adesso, quando la situazione materiale si fa più difficile, che la forza interiore dell’amore e della generosità diventa potente per sperare e progettare, per essere onesti e generosi. Un sentire che dobbiamo comunicare alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi di un Occidente ormai neppure più sazio ma solo disperato.