L’America, l’Europa e la fine della guerra in Ucraina.

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di Sandro Antoniazzi

Le parole e le decisioni di Trump che si susseguono a ritmo accelerato lasciano sbigottiti e interdetti gli interlocutori alleati.

Ma al di là della giusta indignazione e irritazione, rimangono sul tavolo i problemi da affrontare e soprattutto l’interrogativo cruciale: che cosa fare?

Chiaramente le posizioni di Trump trovano l’Europa impreparata, abituata com’era a un’intesa pacifica e concorde con Biden sul contrasto dell’invasione russa in Ucraina.

Trump ha repentinamente rivoltato la politica americana, aprendo il confronto con la Russia e dimostrando aperto fastidio per le posizioni di Zelensky.

Non si può certo misconoscere la verità e questo deve essere un punto fermo: l’aggressione è opera della Russia e Zelensky ha coraggiosamente guidato la resistenza del suo paese.

Però l’Europa – meritevole per il suo sostegno militare e finanziario all’Ucraina – ha mostrato nella sua azione due limiti, due punti deboli, su cui è intervenuto Trump.

Innanzitutto in tre anni di guerra non è stata capace di avanzare una seria proposta di pace, continuando così a sostenere una guerra di cui non vede e non pensa la conclusione (in modo piuttosto incauto, ancora in ottobre, un mese prima delle elezioni presidenziali USA, Zelensky è stato in America, proponendo un proprio piano ”per la vittoria”!).

In secondo luogo, la Russia è l’aggressore, ma è anche un grande paese, una grande potenza – anche se un po’ ridotta rispetto al passato – e confinante con l’Europa: è un avversario ma non lo si può demonizzare e condannare all’ostracismo, perché i rapporti prima o poi si devono riprendere.

Il limite che frena l’Europa è certamente la sua natura asimmetrica, è un’Unione economica, ma per nulla un’Unione politica; non ha pertanto i poteri per presentarsi da “Stato”, come invoca Draghi.

Ciò fa sì che la sua presenza di fronte ai problemi internazionali si dimostri inconsistente.

Ora diversi dirigenti politici europei si muovono per cercare di rimediare comunque, nella misura del possibile, a questa situazione e impedire che l’Europa sia esclusa dalle trattative.

L’unità politica non esiste e pertanto si tratta di ricorrere ai ripari, ripiegando su soluzioni di emergenza.

Ci sono un insieme di condizioni che si potrebbero assumere- nei tempi più rapidi possibili – per mettere l’Europa in condizioni migliori nei confronti dell’America e più protagonista nelle trattative che si aprono.

Se ne può tracciare un elenco indicativo:

  1. Riformare al più presto il sistema decisionale del Consiglio, superando il criterio dell’unanimità (del resto ci sono vari paesi che vogliono entrare nell’Unione e che rendono ancora più pressane questa scelta, per via di un’accresciuta difficoltà del sistema unanime di decisone)

 

  1. Nominare un politico rappresentativo (Sanchez, Macron, Merz?) quale responsabile europeo per la trattativa riguardante l’Ucraina. Non penso, con tutto il rispetto dovuto, che né la Von der Leyen né la Kaya Kallas abbiano la statura e le qualità necessarie per svolgere questo ruolo. Si tratterebbe di una decisone eccezionale, a tempo, che dimostrerebbe la volontà dell’Unione di fare politica internazionale.

 

  1. Preparare delle proposte europee per la trattativa. L’Europa può avere poca voce sulla ripartizione dei territori, ma può e deve averlo sul tema della sicurezza sia dell’Ucraina sia europea. Anche le questioni finanziarie avanzate da Trump devono essere materia di discussione (se si riesce in tempo).

 

  1. Costituire un gruppo di lavoro di esperti che affrontino il problema degli armamenti: abbandonare quelli che non hanno prospettive valide, scegliere quelli su cui puntare, valorizzare la possibilità di fusioni e collaborazioni, insomma andare verso un sistema integrato di produzione di armi (che consente anche risparmi). Parallelamente bisognerebbe iniziare a elaborare progetti e proposte su che cosa significhi la difesa comune.

 

  1. Con altrettanta urgenza si pongono i problemi della politica industriale: quello della situazione di crisi dell’automotive, ma soprattutto quelli strategici dell’energia e dei sistemi satellitari di comunicazione, del digitale e della IA. Siamo troppo dipendenti e arretrati in questi campi e anche senza costruire colossi economici come quelli americani e cinesi, possiamo fare squadra e migliorare notevolmente le nostre posizioni. (Ad esempio, come Europa non possiamo dipendere nei sistemi di sicurezza dallo Starling di Musk, che fra l’altro ha minacciato di toglierlo all’Ucraina).

 

L’elenco potrebbe continuare, ma è meglio fermarsi sui nodi essenziali e vorrei dire immediati: Trump su problemi di questa natura è in grado di decidere all’istante, mentre l’Europa ha bisogno di mesi, se non di anni.

È necessario accelerare i processi quando gli avvenimenti lo richiedono e non si vuole essere tagliati fuori.

E nello stesso tempo occorre formare un pensiero, una proposta, una piattaforma UE in merito all’Ucraina per partecipare alla trattativa – sostenuta da un processo reale di coesione e di rilancio della sua capacità industriale e di difesa – che ne faccia un soggetto “politico”, almeno tendenzialmente.

 

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