L’antropologia del semipresidenzialismo

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Sono stato spinto alle riflessioni che seguono dopo aver letto l’articolo di Filippo Pizzolato comparso su questo sito il 2 giugno e che ho velocemente commentato. La lettura e soprattutto il titolo “L’ambiguo fascino del (semi) presidenzialismo, mi hanno fatto pensare che dietro l’ingegneria del semipresidenzialismo, alle spalle dei pro e dei contro dei  Saggi e della Commissione, si nasconda qualcosa che oltrepassa la seduzione della formula. L’annunciata ri-forma della Costituzione  non riguarda infatti solo una nuova forma di Stato, ma a mio avviso si riflette pesantemente sul nostro modo di valutare e intendere i rapporti umani e i nostri legami sociali. Sino a interessare valori e comportamenti che esorbitano dalla sfera politica.                                                                                                                                      

Il semipresidenzialismo non è allora, a mio parere, solo una tecnica costituzionale. E soprattutto non è una tecnica costituzionale neutrale. Suggerendo un modello verticale di società di tipo monarchico o patriarcale, possiede una sua impronta culturale le cui ricadute sarebbe bene comprenderle per tempo dal momento che plasmano l’intera antropologia della polis. E cioè dalla “vecchia” concezione dell’uomo nella sua natura relazionale e solidale paritaria, si passa al nuovo modo di stare insieme agli altri uomini attraverso un contratto sociale entro cui giocherà sottotraccia il ruolo preponderante della delega e del conseguente disinteresse. Una impronta culturale che interroga dunque l’etica dello spazio pubblico, e che sfida valori e principi della democrazia rappresentativa orizzontale e partecipata. Quella che abbiamo conosciuto nel bene e nel male sino ad oggi.

Possiamo o non possiamo essere d’accordo sul semipresidenzialismo, ma dobbiamo essere consapevoli che quando si cambia un patto della storia politica di un Paese fondato sulla comunità, sul collettivo, sulla mediazione, sulla stessa dialettica sociale con i suoi inevitabili conflitti, e al suo posto subentra l’idea dell’individuo decisore solitario legittimato da una investitura popolare a cui si delega la governabilità del Paese, non si cambia solo una forma di Stato, ma si capovolge un paradigma culturale. Con un Presidente eletto dal popolo, ritenuto prioritario sul collettivo e sulle istituzioni, sul primo ministro e sui ministri, sul partito politico e sul Parlamento, non si ri-formano solo i principi e le regole fondamentali dello Stato. Ma si propone un nuovo modo di intendere e ricercare il bene comune, in cui diventa superfluo lo sforzo – che è sforzo collettivo – orientato a tutelare le libertà e la dignità di ogni uomo, le istituzioni, la giustizia e l’eguaglianza. Un modo che sostituisce l’azione dei molti e il gioco di squadra, e fa subentrare  il fai-da-te dell’azione del singolo che evoca l’individualismo della filosofia neoliberista, del soggetto autonomo motore del mondo e del mercato che si autodetermina. Con un paradosso: che questa filosofia nega seriamente la concentrazione delle decisioni e delle conoscenze. Nel privilegiare la società e la piena libertà, nega cioè qualunque forma di Stato e di intervento, compreso quello legislativo. 

I dubbi sono allora quelli che il modello politico del semipresidenzialismo  nasconda una  cultura sociale democratica che potrebbe vanificare la libera discussione e il libero dibattito. L’opposizione. Il pluralismo. Il dissenso. I diritti dei gruppi e dell’insieme. Sino a rendere superfluo il suffragio universale i cui segnali stanno già arrivando da un pezzo attraverso le cifre nordamericane dell’astensionismo. Un modello che, sotto il mantello e la giustificazione della governabilità, legittima le preferenze individuali e la personalizzazione delle decisioni e del potere, una volta depositate nelle mani di un uomo eletto dal popolo. Soprattutto se, incautamente, non saranno garantiti attraverso opportuni bilanciamenti i contropoteri comunitari della nostra democrazia politica.

 

Nino Labate

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  1. Nino, rileggi Maritain, “Per una politica piu’ umana”, li’ ti spiega bene il semi-presidenzialismo.

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