Il cattolicesimo democratico è da tempo, a mio parere, in una situazione di stallo. E’ cambiata un’epoca e, al di là dei problemi comuni a tutti, vi sono problemi più strettamente inerenti al cattolicesimo democratico che richiedono di essere affrontati, se si vuole superare l’impasse.
Il primo di questi è relativo alle relazioni personali, ai rapporti sessuali, alle questioni connesse alla vita: questo insieme di problemi costituisce ormai una mole cospicua che fatica a trovare soluzioni legislative e che registra anche un’insufficienza di elaborazioni morali e culturali. In questo campo i cattolici democratici sono rimasti fermi perché la Chiesa ha avocato a sé la materia, scoraggiando con fermezza ogni tentativo di pronunciamento e di dibattito.
Il sinodo dei vescovi, al di là dei risultati attesi, è importante per essere stato preceduto da una consultazione che ha dato la parola alle chiese locali. Questa apertura va considerata un avallo a prendere la parola e dunque un’occasione che i laici devono far propria per impegnarsi da ora in poi a discutere con franchezza dell’argomento.
Sono problemi che attraversano diffusamente l’intera società “democratica” ed è difficile vivere in essa democraticamente senza costruire visioni, confronti e risposte adeguate ai problemi che emergono.
In secondo luogo la visione dei cattolici democratici è sempre stata eminentemente politica e dunque portata a difendere e sostenere la democrazia, soprattutto nelle sedi politiche e istituzionali. Senza sottovalutare questo ordine di problemi, va detto però che le questioni decisive della democrazia oggi non sono qui.
La democrazia è messa in crisi da una trasformazione della società che vede l’economia dominare su tutto e da una progressiva fragilizzazione e precarizzazione del lavoro, a favore di una costante crescita della diseguaglianza e di un indebolimento delle rappresentanze sociali. Non è concepibile una democrazia reale, senza condizioni eque di cittadinanza, potenzialmente estese a tutti.
Ora i cattolici democratici hanno sempre guardato con attenzione e simpatia a questo ordine di problemi, ma la materia economica e sociale non fa parte organica della loro visione. Qui c’è un vero e proprio salto di prospettiva da effettuare, una svolta imprescindibile se si vuol sostenere e sviluppare la democrazia oggi.
La terza questione riguarda il fatto che il cattolicesimo democratico è legato a una tradizione occidentale (anche quando è stato esportato) e spesso addirittura nazionale. Oggi necessita una cultura e una sensibilità mondiale. Non si tratta di interessarsi di più dell’Europa e dei problemi internazionali, peraltro impegni indispensabili, ma di avere una mentalità e una visione mondiale con cui guardare ormai ogni problema, piccolo o grande che sia.
Questo mi sembra uno dei grandi contributi di papa Francesco il quale non manca mai di connettere i problemi del Sud con quelli del Nord, di parlarne come di problemi comuni a tutti, a cui mettere mano assieme. Anche in questo caso il cambiamento da realizzare è radicale; siamo ormai cittadini del mondo e dobbiamo ragionare costantemente in termini universali adeguati ai tempi. I problemi stanno diventando ogni giorno di più mondiali: non possiamo guardare all’immigrazione, alla globalizzazione, al lavoro con occhi italiani o occidentali, ma con una visione mondiale comprendente.
Per concludere, e in una prospettiva più ampia, una riflessione andrebbe rivolta sugli stessi fondamenti del cattolicesimo democratico.
Il problema è stato posto con decisione da Dossetti nel suo discorso del 1962, recentemente pubblicato dal Mulino (“Gli equivoci del cattolicesimo politico”, 2015); Dossetti, in quel discorso, dopo aver riconosciuto i meriti del pensiero di Maritain, ne propone il superamento, criticandone due assunti essenziali: i valori infravalenti e l’idea di una società cristiana profana.
Se una società cristiana profana non può più costituire l’obiettivo dei cattolici, occorre pertanto individuare di volta in volta la miglior convivenza possibile.
Separando eccessivamente la funzione del temporale (fini infravalenti) dal compito primario dello spirituale (”lodare il Nome di Dio”) si rischia di “andare contro l’unità dell’ordine reale in Cristo” e di lasciare aperta una pluralità di significati interpretativi con un pericolo di ambiguità.
Del resto anche la celebrata affermazione della Gaudium et spes, “per loro vocazione è proprio dei laici cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio”, non può e non deve essere letta nel senso che ai laici tocca dedicarsi al temporale e al clero spetta l’ecclesiale e il sacro.
I laici sono nel temporale come condizione, ma anche per loro il fine primario è quello spirituale, vivere del Vangelo.
Detto in altre parole, nella società di oggi, secolarizzata, occorre individuare una nuova sintesi che dia il giusto ruolo prioritario spirituale ai laici (sia nel temporale come nella chiesa, uscendo a riguardo da un eccesso di passività ereditato dal passato) ed esprima una maggiore aderenza ai problemi e alle persone, dunque una maggiore incisività nel reale, rispetto alle consuete visioni dottrinali troppo generiche.
Sandro Antoniazzi
3 Settembre 2015 at 17:26
Antoniazzi ha designato un quadro articolato e retto delle sfide che riguardano i cattolici democratici, sul quale siamo ( dovrei dire ormai “siete”) tutti chiamati a lavorare.
Vorrei dire intanto a partire da una cornice entro cui collocarli.
Ha ancora senso l’espressione “cattolicesimo democratico” al singolare” ? O è proprio l’idea di una strategia programmatica tutta comune e unitariamente definita che rischia di indebolire ormai il contributo dell’esperienza religiosa alla politica?
Se fosse davvero definitiva, come sembrerebbe, la collocazione dell’intero messaggio ecclesiale, ne quadro della assunzione ecclesiale della fratellanza umana anche nel quadro costituzionale e poliitico; se assume il carattere di “anticattolico” ogni comportamento civile e politico basato sulla difesa delle disuguaglianze fra umani, ( e non è questo Papa Francesco, come è stato il Concilio ?)
le forme , i modi, i tempi della radicalità con cui sostenere, politicamente quella che chiamiamo democrazia, non possono che essere molti e variabili, secondo la varietà degli status poltici consolidati, le realtà e potenzialità, le situazioni nazionali e locali, le urgenze variamente percepite nella nostra attenzione alle vicende cui partecipiamo, il tasso di convergenza possibile per renderle più forti con ciò che nella società cattolico non è.
voglio dire momenti di riflessione unitaria da parte di chi vive l’esperienza religiosa sono sempre positivi. Ma si può davvero pensarne le conclusioni come quelle di un partito, chiamato ad offrire ai cittadini opzioni determinate e concrete nel quadro di ordinamenti politici dati , di maggioranze da costruire nel concreto?
Insomma gli aggregati cui parteciperanno i ” cattolici democratici” al plurale potranno essere anche, in qualche modo più e diversi, a seconda delle priorità privilegiate, delle esperienze vissute, delle competenze sperimentate. Ciò che conta non è l’identità degli obiettivi primari, della forma tecnica che dovranno assumere, semmai, entro la concretezza di programmi specifici e praticabili, la qualità dei rapporti fra i diversi soggetti politici, delle lealtà e del rispetto delle autonomie, della capacità di mediazione razionale e pacifica dei conflitti, del rispetto reciproco.
Altro certamente resta il discorso di fronte a un mondo in cui ancora il termine ” democratico” è tutt’altro che una qualificazione definitiva e di fronte al quale abbiamo insieme ancora doveri comuni irrinunciabili e da richiamare con forza. Ma speriamo che il futuro possa esser un altro Paola Gaiotti de Biase
8 Settembre 2015 at 10:59
O forse è l’espressione stessa “cattolici democratici” ad essere ormai se non equivoca, comunque imprecisa, giacché rimanda ad una fase storica in cui la centralità della democrazia, il suo ruolo positivo anche in senso teologico, non era ancora comune patrimonio all’interno della Chiesa, anche dopo il famosio radiomessaggio natalizio del 1944 di Pio XII, visti anche i comportamenti contraddittori assunti dalla Curia romana e da molti Vescovi che consideravano il regime vigente in Spagna ed in Portogallo molto migliore di quello definito dalla Costituzione. Passate diverse generazioni di Vescovi, passato il Concilio Vaticano II, in una fase di secolarizzazione avanzata, i problemi sono evidentemente diversi. Il fatto però che si continui a discutere, ad esempio in materia di riforme costituzionali, come se si dovesse continuamente ripartire da zero e rifarsi ai sommi principi non mi sembra un segnale di maturità da parte nsotra (posto di sapere chi siamo “noi”, evidentemente).